And We Begin to Let Go, 2013 by Njideka Akunyili Crosby
A seguito dell’articolo di Luca Sofri sul Post di Domenica 13 febbraio circa lo schwa, (https://www.ilpost.it/lucasofri/2022/02/13/un-po-di-cose-sullo-schwa-ma-soprattutto-non-sullo-schwa/) ho scritto alla redazione la notina che segue…
Non è corrette scrivervi, gentili, per una questione di lana caprina. Tollererete? Ho letto l’ultimo fondo di Luca Sofri circa lo schwa. E l’anno passato un altro vostro pezzo in merito. Non mi sono strappato i capelli ma osservo.
Quando ero bambino, molti millenni orsono, non capivo che cosa fossero i misteriosi taid e sevenap di cui magari mi chiedevano certi altri bambini, molto meglio vestiti di me e con molti giocattoli, se mi piacesse più o meno della Cocacola. Quest’ultima in casa mia era proibita dal nostro medico. Ma il sevenap e il taid ci misi poco a scoprire che si trattava del detersivo Tide e della cola 7Up. Per certo un mio analogo delle stesse modeste origini in Spagna, Francia o Germania avrebbe continuato a dire Tide/Tidé e sevenup/sevenüp.
Non sono d’accordo con il direttore con quanto scrive ma questo obiettivamente conta poco. Però mi pare di potere dire che lo schwa, impossibile da pronunciare da non germanofoni o romagnoli non è una novità, soprattuto non è linguistica. Le lingue è vero agglutinano usi e costumi e così se ne difendono. Tranne l’italiano dei media ( mèdia non midia) e delle classi dominanti che tende a parodiare o ad acquistare per dominare, non mi pare per farsi koiné. Come i bambini della mia infanzia. Garantito che nacquero marketing oriented.
Ma quella dello scva non è a mio avviso questione linguistica ma semantica, la stessa materia mi pare che studia quale santino mettere sulle porte dei gabinetti per segnalarne la destinazione: se per femmine o maschietti. Scva pertiene peraltro e più giustamente al novero dei segni dell’alfabeto fonetico ed è vero che può tradurre, con qualche approssimazione, il suono degli allofoni di E o di A in finale di parola per alcuni dialetti meridionali e di altre lingue più nobili. In sostanza scriviamo Napule, ma a Napule tutti dicono più o meno Napul’ e non credo che si senta l’esigenza di vedere scritto appunto NapulƏ. Scrittura che come altri segni di trascrizione pretende di indicare la sostanza del suono benché non la traduca del tutto. Semantica. Non è obbligatorio tenerne conto nello scrivere, è vero e nemmeno nel parlare. Non ancora. Ma ho letto lettere interne di certe amministrazioni che hanno preso a scriverlo per non offendere. Chi si offende è perduto mi viene da dire.
Se vuoi imitare un napoletano sei libbero di sfumare la finale: agg’ vist’ ‘ena bbell’eguaglion’. Ma sono sicuro che tra Napoli e Salerno e Benevento ci saranno differenze di pronuncia, le stesse che al Nord fanno sì che si distingua una di Padova da un di Pordenone. Senza rivare a Trïéste. Dunque lo scva non sarebbe acquisizione linguistica, come magazzino e mandorla, ma proprio un’imposizione, un prestito semantico di malintesa politica. In sintesi viene a dire che se vuoi appartenere a una schiera di persone che giudicano e non vogliono essere giudicate usi lo schwa così sappiamo che non sei uno sporco fascista ( ma ci sono dei fascisti che si lavano), paternalista, maschilista, machista che non rende onore, non considera, non si inchina alle comunità, LGBTHAQFWSMNPQRINCONSUPERTRAFRA. Ai miei tempi in dette comunità omo-, non gay mai sentito dire dagli interni, ci si autoriferiva come checca, frocia, cula, vera donna, velata, uoma, leccaciuffe. Le sfumature erano nella dizione e si capivano e no. Io ero chiamato vecchia troia benché non fossi né l’uno né l’altro. Erano gentilezze di omo verso l’etero indifferente ai differenti.
In conclusione attenzion battaglion: si comincia col bruciare i libri e si finisce per bruciare gli uomini. Segnalate segnalate che poi il Minculpop ordina. Per parafrasi si potrebbe dire che dai e dai si comincia col volere lavare la lingua e si finisce per lavare i cervelli. Dimenticavo che questo sta già avvenendo. Nessuno osa più usare una parola, c’è in spagnolo e non la si può cambiare: negro (vedi in L. Ariosto) e zingaro. So che qualche imbecille pretenderebbe di rinominare l’opera Lo zingaro barone e c’è maretta circa l’ abbietta zingara di Trovatore. Così senti le persone più impensate, spesso fasci doc, perifrasare di colore. Come se non lo avessi anch’io: sono verdastro. Verdastri di tutto il mondo unitevi.
Il dilagante pippone desinenziale trova origine etimologica in un termine ebraico (šěvã’) che compendia in sé tutto l’inutile, l’ ininfluente, l’inimportante. Appunto.
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Dotto e risolutivo commento per cui si ringrazia.
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bravo e grazie!
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Prego ma ddeché. Grazie a te per la visita e il commento: si tratta di onore.
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