Ha tú velo?

L’argomento lo sai, mi provoca una rabbia assassina perciò ti lascio alla lettura di questo bella intervista con Giuliana Sgrena, donna che immagino così ben costruita da non demordere, con l’augurio, disatteso in anticipo e a futura memoria, che le sue parole  possano far volare via veli di ogni sorta dai capi delle signore, non nostre ma di loro stesse. E dei maschi che, come sai, sono pieni di cenci in capo e gli unici inclini al travestirsi per un mai sopito desiderio di giacere nel letto di un uomo.

Il pezzo è dalla rivista dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti (UAAR) alla quale mi pregio essere associato, con riserve ma associato. Finché dura la cuccagna della democrazia evviva,  e finchè non si va a fuoco tutti, veli inclusi. Pensa alle orrende ustioni sotto lo straccio.

L’ipocrisia del velo: intervista a Giuliana Sgrena

About dascola

P.E.G. D’Ascola ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: "Le rovine di Violetta", "Idillio d’amore tra pastori", riscrittura di "Beggar’s opera"di John Gay, "Auto sacramental" e "Il Circo delle fanciulle". Sue due raccolte di racconti, "Bambino Arturo e il suo vofabulario immaginario"" e "I 25 racconti della signorina Conti", i romanzi "Cecchelin e Cyrano" e "Assedio ed Esilio", tradotto questo anche in spagnolo da "Orizzonte atlantico". Nella rivista "Gli amanti dei libri" occupa da molti anni lo spazio quindicinale di racconti essenziali, "L’ElzeMìro".
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4 Responses to Ha tú velo?

  1. Paolo Prato says:

    Compongo un elenco trito. Vacuità di sé, bisogno di identità (fonte di approvazione fino all’Amore?), paura della morte fino alla paura della vita, abbraccio ad una religione (religione?!) come il naufrago, per farsi cavare dai flutti, si aggrappa anche con la bocca allo spazzolino del cesso di bordo. Comprendo assolutamente il naufrago, non il cagasotto da divano. Il tutto si chiama povertà, dilagante. Se non è un velo, caro a moschee, chiese e sinagoghe in eventuale versione parrucca, allora può essere la convincente opera di un tatuatore di orridi, godibili sulle nostre spiagge a confortare con un senso di identità (sono qualcuno!, non appartengo, perché sono libero!) insospettabili variamente datati. Un disastro di narcisi da supermercato. Senso critico? Sentimenti? Ma per favore! Basta che si possa contare sull’ “aiutino” di prammatica. E, pur di non perdere la sensazione falsa di essere correttamente sulla cresta di un’onda che non c’è, si rinuncia alla partecipazione criticamente, intelligentemente sentita alle tematiche contemporanee. Pur di non essere presi per omofobi, si accetta il silenzio sul vajuolo delle scimmie e si potrebbe considerare l’idea di mettere in rete le proprie marchette fatte A GRATIS (incredibile!) in luoghi tipo piazza Trento. E non mi si chieda come faccio a sapere di piazza Trento.
    P. S. A freddo ed a capoccia, cito Cinzia Sciuto ed il suo puntuale “Non c’è fede che tenga”. Vive valeque, c’è la faremo, cuccurrucurù Paloma.

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  2. azsumusic says:

    Che non si affidi tutto ciò retaggio della cultura islamista. Da qualche giorno leggo Molière su consiglio di una cara persona. Embè, nella “Scuola delle mogli”, non v’è più islamista integralista di Arnolfo. Chiudi la donna in casa, meglio se scema, assicurati che non esista per nessuno, nemmeno per te. La Francia del ‘600 più o meno cattolica, per così dire. Eppoi, sicuri dipenda dalle religioni? A me pare più l’insicurezza del maschio. Tutti i complessi e difetti. Come da bambini, coi giocattoli. Chi vorrebbe mai, da piccolo, prestare la propria bicicletta a qualcuno? Immaturità emozionale. Freud direbbe qualcosa del genere, forse no, ma di certo scritto meglio con palate di citazioni. Ora, si può pure pensare che coprirsi il capo in zone aride possa serva a proteggere le parti dall’ardore del sole. Come qui si fa con i berretti in testa. Qualche capo branco se ne sarà approfittato e con la scusa di fare del bene alla propria donna, come un Arnolfo, si sarà lasciato prendere la mano. E poichè di vesti si tratta, la moda era fatta. Come le donne di Londra, pure li è questione di moda. Come chi si fa i capelli verdi e rosa. Chi si ricorda la celebre frase “non piangere salame dai capelli verde rame” seguito da “era un gioco, non era un fuoco”?. Appunto, tutto un gioco.

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    • dascola says:

      Ohibò perbacco, caro Azsumusic la questione che sollevi sembra vera ma non lo è. Dunque.
      È vero sì, se andiamo indietro nella nostra storia, nei miei anni sessanta un uomo in polpe e tricorno custodiva la castità di San Marco(Ve) maltrattando frotte di stupite turiste ché si coprissero il capo di peccatrici, in quanto femmine, prima di entrare nel tempio – appositi bagarini appostati al medesimo ingresso vendevano non solo cavallucci marini essiccati e gondolette dorate ma anche veli da chiesa hand made lace of Burano di nylon –.
      È vero che per un lungo periodo la moda cioè il polso della società, attribuì alla signora il cappell(ino) alla serva il fazzoletto alla puttana niente o, se mai, la caricatura del cappellino. L’oggetto identificava il soggetto ( anche a scanso di equivoci). E vero che nel Manzoni per una questione di “il passo è mio/no tu no” si finiva al creatore semplice o si diventava Fra’ Cristoforo complesso.
      È vero che non “lo fo per piacere mio ma per dare figli a dio” e che all’inizio del tempo le femmine è probabile venissero violentate di default per dare continuità alla specie delle caverne.
      Ma dalle caverne, qua o là situate, fino a San Marco e oltre, il mondo, che non corrisponde sia chiaro all’umanità in toto, ha cambiato rotte, direzioni, ha cambiato persino i pregiudizi, ha fatto progressi; questo con l’eccezione della corte suprema americana che si sta costituendo governo di Altri Stati Uniti, dell’Arabia saudita, della Russia neosovietica, e dell’Afghanistan. Qua e là perdura la lotta tra il grattacielo e l’elemosina. Gli esempi a sostegno della teoria del “però anche qui”non finiscono qui.
      La parte di mondo che meglio rappresenta questo progredire (altro non vuol dire che andare avanti, passare oltre, “progredior”, intransitivo deponente) è il mondo occidentale. Sì, con vaste differenze: l’Italia, la Francia e la Spagna hanno Salvini & Meloni, Vox e RN, la Svizzera e la Finlandia no, c’è New York e agli antipodi il Texas. Nell’insieme tuttavia, nonostante vescovi, Casa Pound e gruppi provita, l’Occidente è il reame del meglio. Sul versante contrario c’è un fondamentalismo progressista e identitario (la versione 2.0 del vecchio stolido nazionalismo) che sbraita a una libertà per assurdo anche quella camuffata da scelta. E qui mi accodo all’intervista con la Sgrena. Ma aggiungo: quello dell’identità, è un mito senza poesia, senza Aurora dalle dita rosate, senza Ulisse o Enea, spacciato per culturale quando per cultura si può intendere una sola cosa – alla lettera – la coltivazione del sé e del nuovo, non la riproduzione dell’”ei fu siccome immobile”. Mai l’invenzione di una tradizione a scopo repressivo e l’attaccamento alla stessa a dispetto dell’evidenza e del buon senso, che non è il senso comune ma il senso che alle cose si può o non si può attribuire stando all’evidenza e a una dose non ovvia di logica e raziocinio. È evidente che la religione, “questa o quella per me pari sono tra quant’altre d’intorno d’intorno mi vedo”, anche la religione del questa terra è mia, la religione del noi sì/loro no, per questa definizione non sta nell’insieme del buon senso. È un’imposizione che non genera altro che imposizioni, non è, non può essere cultura in quanto fossilizza, non muta o muta in apparenza come il cristianesimo, e genera ( ha in sé) quel verme pernicioso che è l’identitarismo vociante, che esclude, che non tollera o mal tollera la differenza tra noi e loro perché il noi, nella sua bibbia, ha sempre da vincere: è la verità ragazze. A part ça che uno straccio segnali cultura e identità, guarda che ce ne vuole a dirlo. Identità, basta uno specchio. Così ti vedi.

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