Mio padre aveva un amico, ne ho già detto qui in epoche remote, Pietrino. Era sardo Pietrino Sini, portava i capelli a spazzola, come d’uso, e aveva un occhio meraviglioso e nero e uno meraviglioso e azzurro. Pietrino era una persona meravigliosa, era nato operaio, era anarchico e aveva sposato a Parigi una sarta. Un po’ di più di una sarta, Odette, première non ricordo dove da Balmain forse, chi sse lo ricorda, e peraltro figurati se tu sai chi fu Balmain e che cos’è una première… in sintesi la capa delle sarte, quella che dalla discussione del figurino fabbrica l’abito avendone ogni responsabilità… Pietrino appunto era operaio, un po’ più che operaio, era infatti stampista, in pratica colui che realizzava gli stampi per la fabbricazione di ogni genere di cose in metallo stampato, forse anche caffettiere, non lo so, di sicuro, parti di motori, cose di ferro. Pietrino aveva combattuto in Spagna e in Francia nelle brigate antifacha anarchiche. Conosceva dunque la morte da vicino. Perché avesse deciso di tornare in Italia, credo nemmeno il dio che invece non conosceva lo sapesse. Era tornato in Italia a Milano e aveva messo in piedi una minuscola officina di stampi con altri due operai. Erano i primi anni sessanta nel mio ricordo, ero piccolo insomma, e una sera tardi sua figlia Irene, una delle più belle creature che mai ho visto, suonò alla nostra porta, io ero già in pigiama, entrò e disse, Papà è uscito stamane e non è ancora tornato. Mio padre, orsù cappello e cappotto e via con Irene a cercare Pietrino. In macchina, ché Irene era arrivata fino da noi con la circonvallazione 90/91 ; chi è di Milano e ha almeno settantanni, sa di che periferia si trattava allora, un viaggio fino in via Oltrocchi da via Tortona dove abitavano gli operai dell’Ansaldo e adesso caravellano le fighette del design. Mio padre aveva una Volkswagen, un maggiolino bianco, perché eravamo un po’ più benestanti e mio padre aveva appena trovato un lavoro stabile dopo il fallimento di mio nonno. Orbene, la polizia allertata subito da mio padre trovò Pietrino di lì a qualche ora, all’alba, un Ofelia sarda a mollo in una roggia dalle parti di Chiaravalle (il milanese che c’è in te sa dov’è). Suicidio, ovviamente. Pietrino era un tipo sommesso e se ne andò senza gnanca un plissé ( modismo milanese che traduce il rossiniano senza fare confusione per la scala del balcone presto andiamo via di qua ). Non chiese, non pretese : al buio, d’inverno, in mezzo ai campi senza cappotto, una boccata d’acqua in una roggia del Lambro e via. Per mio padre e per tutti ( per qualche ora casa nostra divenne un centro operativo di amici, ricordo la Giovanna maestra, il pittore Attilio Vella, il Bruno e la Nuccia) anche per me che ero piccolo ma avevo già ben chiaro in cuore chi amare e chi no, fu un colpo, al cuore appunto. Bella storia, non è così?
Da venderla ad Almodóvar che, invece sul tema, La stanza accanto, confeziona una vicenda, sì attuale perché se ne fa un gran parlare da destra e purtroppo anche a sinistra, guarda in Inghilterra, ma che pare sospesa tra attici e appartamenti di democratici-radicali-giornaliste-scrittrici. Tutte donne, sì nella migliore tradizione di Almo ma insomma pare come a dire, se vuoi suicidarti minimo minimo devi avere un reddito di 400,000 euro l’anno e un penthouse vista Manhattan. Salvo non si sottenda un anche i ricchi piangono. Insomma Almo è sempre perfetto, ma ha girato un film di Woody Allen ( l’apertura in totale sulla vetrina della Rizzoli a New York è imbarazzante quanto il primissimo piano di un scatola di biscotti Dolce & Gabbana, due sfacciati product placements). In un lingua che non è la sua, per cui si sente che Almo racconta imbustato e ingessato in cliché, come in sovrimpressione, si vede, si sente che si doppia e non pensa anglosassone, soprattuto non pensa americano. Le attrici, doppiate anche loro al solito male, sono dirette benissimo perché Almo è maestro proprio per questo e sono strepitose, la Swinton soprattutto è impressionante e l’altra, la Moore, le corre dietro senza il fiatone ; ma sono anglosassoni e con Almo non c’entrano una beneamata fava. Non mi è piaciuto, anzi mi è dispiaciuto.
Non chiedermi che cosa penso del tema, la vita, la morte e cuccuruccù, perché non sono prete, non sono cattolico apostolico, democristiano, musulmanno o meloniano e perché l’ho fatto capire in chiaro mi pare: Pietrino, d’inverno, un mattino, e glub. Salvo valide alternative.

Una storia straordinaria. Strordinaria proprio perchè fuori dall’ordinario, perchè da scritta lascia all’immaginazione lo spazio che il cinema non può più dare. Un cinema stretto dalla pubblicità. Dai tre tempi, dalla fretta di tornare a casa e dalla trama che tanto si sa già. Un cinema che si alimenta solamente di sondaggi, che decide il finale in base alle proiezioni campione. Un cinema fatto in funzione dei gusti del momento. Del politicamente corretto, del personaggio famoso o del remake del remake. Il cinema da opera d’arte a operazione di marketing.
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Sì. è in larga parte come dici, caro Azsumusic, ma ci siamo già detti che il cinema è nato industria, più del teatro di sicuro, più di altre arti, non più della scrivitura, ché ormai la letteratura è questo : fabbrica di kinder bueno. Di preciso con gli stesi scopi, origini e difetti che tu riscontri nel cinema. L’arte è sempre stata soggetta al mercante. Gli stessi maestri pittori del passato, niente da fare, o trovavano un committente o fame nera. Mozart lo sai come se la cavava. Insomma non sto a farti tutti gli esempi che conosci da te. La differenza oggi sta nel fatto che tutto non è mercato ma marketing. L’escussione del rischio d’impresa. È vero. Ricordo un collega di mio padre, noto produttore di libri d’arte. Mi disse una volta: “Guardi D’Ascola (da 11 a 35 anni mi chiamò D’Ascola) i libri sono un mistero … lei può avere la più bella idea fare la miglior pensata il miglior editing il miglior marketing e sa una cosa… alla fine il libro non va… e non si sa se non piace o che cosa… non va non passa non arriva si perde. Perché non l’ho mai capito…. ho perso soldi e devo correre ai ripari con un libro in cui non credo mi pare modesto e chissà se andrà… e invece mi ripaga del fiasco di quello bello”. Ma questo succedeva secoli fa. Oggi l’alea non si corre, in fondo Einaudi ha solo uno scopo, pagare gli stipendi e quindi vai con storie di sorelle e chenneso. E Adelphi si vende al gruppo e addio indipendenza. Anche lì, belli gli adelphi ma alla fine del mese gli stipendi, le pulizie, le tasse, il sapone nei bagni. L’editoria è quella cosa lì. Feltrinelli è un’industria. Mondadori non ne parliamo. Quindi cinema, guarda i titoli di coda di un film adesso e guarda quelli di un Cineriz del dopoguerra fino agli anni settanta abbondanti. Il cinema è lo stipendio di migliaia di persone. Allora era artigianato, evoluto ma artigianato, nemmeno Luchino(Visconti) aveva bisogno di tanta gente intorno, i film li montava lui, oggi in diciassette di cui otto sono i controllori dell’azienda casomai il montaggio non fosse quello previsto dallo storyboard. Stasera, come di consueto, dedicherò del tempo e le orecchie al circo della Scala. 7 Dicembre. Le solite interviste alla orrenda Netrebko, le opinioni di Chailly su Verdi, la partitura originale che Verdi scartò ma io la ripiglio così guadagno sulla revisione, le mutande della signora Prada, i tacchi di Domenico Dolce, i fiori della ditta olandese, i lifting della settantenne Carlucci, le borse sotto gli occhi dell’ottantenne Vespa, e come mai Meloni non c’è e la signora Sala : il festival di Sanremo per cinesi di lusso. Di milanesi lo sai chi ci può andare. Ai miei tempi tutto questo non esisteva. Che ci piaccia o no, noi siamo gli sfigati che vivono ai margini, di qua da un immenso commercial pubblicitario con personaggi reali che come nei commercial si compoortano, parlano, comprano, comprano comprano e si vendono. Il mondo è una messa nera o come volontà e rappresentazione della Unilever o entrambe le cose. Almeno : a me pare così.
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Quasi quasi avrei dato un ascolto all’ennesima raschiatura di botte della musica ottocentesca. Poi, dopo aver letto chi dovrebbe presentare la serata, ho pensato bene di rifugiarmi in Nono. Ma va bene pure Berg. Aspetto invano di sentire alla prima un tal Casella come un Alfano. Ma niente. Verdi & Puccini. Puccini & Verdi. Dopo gli anni ’80 hanno fatto marcia indietro e si sono fermati a questi. Si vede che non hanno aggiornato il database. O non hanno più direttori artistici per via dei tagli al personale. Oppure trovano troppo difficile studiare nuovi repertori: domani si canta a Berlino, Giovedì a Roma, Sabato a Vienna e di mezzo c’è un matrimonio. E poi, la classica è superiore. Chi lo dice? I classici. E quelli classici ma troppo moderni meglio di no. E ancora, figuriamoci se mi metto a studiare il Grand Macabre. C’ho il reflusso, i picchettati mi danno fastidio. Il Licht? Dura troppo. I compositori in vita? Non se li fila nessuno, rischiamo il flop. Ecco a voi il Sanremo della musica vetusta. Detta anche mancanza di coraggio.
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Che rischino il flop caro mio non è escluso. Esclusa dai cartelloni la musica contemporanea si è scoperta superata dal rock e in modo più deciso dal pop. Oggi come allora alla musica si chiede di essere pucciosa, termine che vedrai userò tra pochino. Musica per cervelli delicati come sederini di bimbi, cui mi pare non freghi niente di strutture, orchestrazione e contrappunto, che ignorano cosa fanno i celli, non lo sentono proprio, mentre la melodia, ah la melodia che bel che bel. Che, è mia opinione, non si accorgono di quanto sia difficile e complicato Otello, piuttosto che questo sforzo del destino. Credo che Verdi contrabbandasse le sue architetture con il cantabile. Al resto pensano cantantazze come la Netrebko che, nel suo ruolo di massaia russa, passa lo straccio del bello strillo su tutto. E la casa trilla e brilla, sai. Già di fraseggio non si sa più e del resto anche il rap lo ha eliminato e sostituito con la noia titillante. Date quindi aria al pubblico e lo farete contento. Non c’è niente di male, beninteso. La modalità aria alle orecchie la assolvono oggi come ieri i motivetti che piaccion tanto (e che fan du du du du dufour). E sai perchè, a mio modo di vedere, piace tanto anche il pop o rock o che dir si voglia, perchè anch’esso, è sempre uguale da 80 anni ormai, è la stessa minestra di tam tam, chitarre sovracute e frenesie erotiche. Piace come Taylor Swift ( visto tra parentesi un suo concerto molto strombazzato e ho sonnecchaito in attesso che apparisse sul palco la musica e invece no, solo calzamaglie). Se non piaci che ci stai a fare al mondo. Una risposta sarebbe : mi faccio i cazzi miei. Ma ciò non è puccioso. Non è ferragno. Non swiffers. La realtà ultima, mi pare di poter concludere, è che la musica proprio non interessa ma il suo essere utilizzabile come succedaneo di questo o quell’alcaloide.
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