Se è vero come scrisse Carl Kraus che la donna non ha una sessualità ma che è il sesso, allora se il film, la pellicola è femmina, quest’ultima del signor Bellocchio, Rapito, è senza fica e lo sai che non ho peli quasi da nessuna parte e men che meno che sulla lingua. E che non mi piace la critica come esercizio di stile ma di ricordo con rabbia. Tal che se di un’opera qualesiasi non riesco ad odiare o amare o a piangere, a smuovermi e muovermi per questo o quello tanto che per me pari sono, allora io dico ‘sta opera che me l’hai fatta a ffa’, punto di domanda. Così potrei chiudere qui citando mia moglie che, all’uscita dalla proiezione l’altro ieri, esclama, È un film vecchio. Non di un vecchio ché ci sono e ci sono statai vecchi gagliardi come Ken Loach e soprattutto capaci di guizzo poetico, per non dire poesia, di lirismo e umorismo che, a sentire lo spagnolo Francisco Umbral – La Noche que llegué al Café Gijón-Austral 2021/ La notte che arrivai al caffè Gijón- Ed Settecolori – è letteratura pura ; vero perché l’umorismo fino alle vette del comico stravolge il reale, lo ribalta così che mostra le mutande della dama infiocchettata che scivola sul marciapiede ( non è una metafora, di persona personalmente al vedere il tapis roulant dei divi alla Croisette penso sempre all’odore dei loro piedi ).
Insomma si fa ridere, o piangere o quel che è, perchè si scuote. Rapito non scuote nulla se non le briciole dalla tovaglia o la polvere dal tappeto ( entrambi metafore adesso sì) ; perchè è un film piovuto dal 1972 – mostra autogestita del cinema a Venezia, dove peraltro fu presentato la Ragazza del bagno pubblico di Jerzy Skolimowski ( da sussultare sulla sedia e lo feci) – ; ma nel 1972, chi lo può dire, forse Rapito sarebbe stato fischiato per i formalismi, le bellissime luci, il montaggio serrato, la musica di troppo, le smorfie dei primi piani e un eccesso generale di non-straniamento degli attori, bravi nèè, persino più bravi del solito, tutti ripuliti dal loro accento come Gifuni, candeggiati, deficati. Con tutte queste eccellenze da 4 hotel milanesi, il film non ti fa odiare il Pionòno – si chiamava così il mulo di Garibaldi che peraltro del personaggio diede una definizione icastica, un metro cubo di letame – ; eppure non lo si odia, te ne impipi della sua bava, quasi il Bellocchio si fosse sintonizzato con il pensiero di quel gran reazionario di Gipaolo2 che il Pionono lo beatificò. Ignoro il perché e delle virtù spirituali di chicche e ssia me ne fotto tanto che non so che vuol dire spirituale. Mi è capitato già di affermare che di una persona apprezzo se è spiritosa ma non credo che i due termini appena usati siano sovrapponibili, non nella vulgata.
Vado avanti cretino? Vado avanti e concludo. A parte detestare non si riesce nemmeno a piangere la sorte del povero Mortara, più che altro un Mortaretto; nemmeno quando libera Gesù dai chiodi in una citazione di Marcellino, pane e vino-1955 di Ladislao Vajda, film sì franquista di madre ungherese e padre spagnolo con Pablito Calvo che lui però ti spingeva i singhiozzi su per il gargarozzo da non riuscire più a vedere lo schermo. Sì sì ripeto ma che c’entra; anche Condottieri di Luis Trenker fu film fasistissimo ( Italia-Germania 1937) ma che tensione di campi e controcampi e di archi ( una volta si usavano i proiettorri ad arco per illuminare con le potenze da 5 e 10 kw) all’arrivo di Giovanni delle Bande Nere in Vaticano, conquistato lui Giovànbandanera da Sua Luminosità.
Nè si riesce a partecipare, in Rapito, il dolore del padre, un manzo israelita o della madre, bella donna ma preferisco è ovvio le madri di Todo sobre mi madre, persino di Mutter Courage und Ihre Kinder del BiBrecht dove la maternità è potenza (che mi dici te della madre che scendeva dalla soglia di uno di quegli usci di Manzoni -PS-cap. XXIV?), così com’è terragna, proserpinica, de core e de panza, non de strilli; e nemmeno de potere. Insomma mi pare che Bellocchio abbia concertato un bel lavoro democristiano o Ellyschlein-oriented, adatto ai tempi ma non agli spettatori. O se mai a spettatori democristiani e Ellyschlein-oriented. Insomma un film di compromosso antistorico. Poi si potrebbero fare gironamenti sul fatto che tutti i bambini sono rapiti nolenti all’infanzia e al gioco e alla impenitenza, dagli egotebaptizo ed eccecorpuschristi, da una religione – questa o quella per me pari sono – e insieme da un lessico familiare di riti e abusi – non è che la violenza è meno tale se non è carnale – e prima che dalla scuola (Chiudiamo le scuole Giovanni Papini 1918). Poi si può ragionare sul fatto che subito il bimbetto è rapito eccome da quell’estetica senza etica che è il cattolicesimo, diventa un soldato di Cristo, cioè una carogna e nella realtà della vita vivrà fino a 90 anni florido e pasciuto. Poi si può ragionare su tutto ma a ragionare son ben capaze da mè. Da un film pretendo di essere rapito. Viva Schindler’s List