Nel nome di Pippo, delle pippe e della mancanza di pepe

Se è vero come scrisse Carl Kraus che la donna non ha una sessualità ma che è il sesso, allora se il film, la pellicola è femmina, quest’ultima del signor Bellocchio, Rapito, è senza fica e lo sai che non ho peli quasi da nessuna parte e men che meno che sulla lingua. E che non mi piace la critica come esercizio di stile ma di ricordo con rabbia. Tal che se di un’opera qualesiasi non riesco ad odiare o amare o a piangere, a smuovermi e muovermi per questo o quello tanto che per me  pari sono, allora io dico ‘sta opera che me l’hai fatta a ffa’, punto di domanda. Così  potrei chiudere qui citando mia moglie che, all’uscita dalla proiezione l’altro ieri, esclama, È un film vecchio.  Non di un vecchio ché ci sono e ci sono statai vecchi gagliardi come Ken Loach e soprattutto capaci di guizzo poetico, per non dire poesia, di lirismo e umorismo che, a sentire lo spagnolo Francisco Umbral – La Noche que llegué al Café Gijón-Austral 2021/ La notte che arrivai al caffè Gijón- Ed Settecolori –  è  letteratura pura ; vero perché l’umorismo fino alle vette del comico stravolge il reale, lo ribalta così che mostra le mutande della dama infiocchettata  che scivola sul marciapiede ( non è una metafora, di persona personalmente al vedere il tapis roulant dei divi alla Croisette penso sempre all’odore dei loro piedi ).

Insomma si fa ridere, o piangere o quel che è,  perchè si scuote. Rapito non scuote nulla se non le briciole dalla tovaglia o la polvere dal tappeto ( entrambi metafore adesso sì) ; perchè è un film piovuto dal 1972 – mostra autogestita del cinema a Venezia, dove peraltro fu presentato la Ragazza del bagno pubblico di Jerzy Skolimowski ( da sussultare sulla sedia e lo feci) – ; ma nel 1972, chi lo può dire, forse Rapito sarebbe stato fischiato per i formalismi, le bellissime luci, il montaggio serrato, la musica di troppo, le smorfie dei primi piani e un eccesso generale di non-straniamento degli attori, bravi nèè, persino più bravi del solito, tutti ripuliti dal loro accento come Gifuni, candeggiati, deficati. Con tutte queste eccellenze da 4 hotel milanesi, il film non ti fa odiare il Pionòno – si chiamava così il mulo di Garibaldi che peraltro del personaggio diede una definizione icastica, un metro cubo di letame – ; eppure non lo si odia, te ne impipi della sua bava, quasi il Bellocchio si fosse sintonizzato con il pensiero di quel gran reazionario di Gipaolo2 che il Pionono lo beatificò. Ignoro il perché e delle virtù spirituali di chicche e ssia me ne fotto tanto che non so che vuol dire spirituale. Mi è capitato già di affermare che di una persona apprezzo se è spiritosa ma non credo che i due termini appena usati siano sovrapponibili, non nella vulgata.

Vado avanti cretino? Vado avanti e concludo. A parte detestare non si riesce nemmeno a piangere la sorte del povero Mortara, più che altro un Mortaretto; nemmeno quando libera Gesù dai chiodi in una citazione di Marcellino, pane e vino-1955 di Ladislao Vajda, film  sì franquista di madre ungherese e padre spagnolo con Pablito Calvo che lui però ti spingeva i singhiozzi su per il gargarozzo da non riuscire più a vedere lo schermo. Sì sì ripeto ma che c’entra; anche Condottieri di Luis Trenker fu film fasistissimo ( Italia-Germania  1937) ma che tensione di campi e controcampi e di archi ( una volta si usavano i proiettorri ad arco per illuminare con le potenze da 5 e 10 kw) all’arrivo  di Giovanni delle Bande Nere in Vaticano, conquistato lui Giovànbandanera da Sua Luminosità.

Nè si riesce a partecipare, in Rapito, il dolore del padre, un manzo israelita o della madre, bella donna ma preferisco è ovvio le madri di Todo sobre mi madre,  persino  di Mutter Courage und Ihre Kinder del BiBrecht dove la maternità è potenza (che mi dici te della madre che scendeva dalla soglia di uno di quegli usci di Manzoni -PS-cap. XXIV?), così com’è terragna, proserpinica, de core e de panza, non de strilli; e nemmeno de potere. Insomma mi pare che Bellocchio abbia concertato un bel lavoro democristiano o Ellyschlein-oriented, adatto ai tempi ma non agli spettatori. O se mai a spettatori democristiani e Ellyschlein-oriented. Insomma un film di compromosso antistorico. Poi si potrebbero fare gironamenti sul fatto che tutti i bambini sono rapiti nolenti all’infanzia e al gioco e alla impenitenza, dagli egotebaptizo ed eccecorpuschristi, da una religione – questa o quella per me pari sono – e insieme da un lessico familiare di riti e abusi – non è che la violenza è meno tale se non è carnale – e prima che dalla scuola (Chiudiamo le scuole Giovanni Papini 1918). Poi si può ragionare sul fatto che subito il bimbetto è rapito eccome da quell’estetica senza etica che è il cattolicesimo, diventa un soldato di Cristo, cioè una carogna e nella realtà della vita vivrà fino a 90 anni florido e pasciuto. Poi si può ragionare su tutto ma a ragionare son ben capaze da mè. Da un film pretendo di essere rapito. Viva Schindler’s List

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Quanto ci resta (affermazioni e domande)

Porto all’attenzione di chi non l’avesse letto il commento postato ieri da Davide Galassi a chiosa del biliardo di detti e contraddetti su una questione che a tutti i frequentatori di questo blog pare stia in un modo o nell’altro molto a cuore, e che potrei riassumere appunto con il titolo di Quanto ci resta. La risposta pare la diano persone di scienza nel mondo e da tempo. Questo si è detto.

Confesso che le mie informazioni sullo stato di salute del pianeta e dei virus più potenti che lo abitano, cioè come implicitamente nota Galassi, gli esseri chiamati con voce impropria umani – 8.000.000.000 ; mille più mille meno – queste informazioni non le traggo da letture speciali o specialistiche ma dalla stampa, come sapete soprattuto internazionale ( sono molto bravi in merito al NYT, al Guardian e al País che riportano e rimandano a testi che di volta in volta rimandano a pubblicazioni, studi, ricerche apparse sulle varie e illustri riviste scientifiche.)

Soprattutto però le mie opinioni le formo osservando così a occhio nudo le mie 60 piante ogni anno da anni: si risvegliano un poco più presto ogni primavera, stagione che ormai si situa tra fine gennaio e i primi di febbraio, di più, tendono ad avere una sete paradossale – fatto che mi è stato confermato sabato scorso da una vivaista ad Orticola ( Milano) – si asciugano a venti che corrono come stasera in modo strano e caldo, sì non fosse che non è föhn da nord ma un scirocco, raro mi sembra in queste plaghe settentrionali. Poi osservo la difficoltà che si ha a tenere pulito un paesone come Lecco e a mantenere un certo rigore e disciplina nello smaltimento individuale dei rifiuti che sono di molte altre città la principale attrazione turistica. Osservo la quantità sempre maggiore di veicoli che ingombrano le strade invece di corrervi. Osservo il fermarsi al bar a chiacchierare col motore del suv acceso. Osservo lo spreco, anche quello che produco io se non mi impegno alla rovescia, osservo tante cose, non ultima la catastrofe ( catastrofe di animali per esempio affogati negli allevamenti intensivi – fatti non per sfamare ma per arricchirsi – ;   ho letto di cavalli che hanno nuotato per giorni nell’acqua alta ; non parlo dei gatti e dei cani  e di conigli  sì dei conigli morti e migliaia; non parlo degli umani, ai quali per abitudine fin dall’infanzia non va tutta la mia tenerezza… e i figli? E i  figli già te l’ho detto, per loro provo disperazione e rimorso perchè politicamente chi come noi pensava, avrebbe dovuto svegliarsi un po’ prima di Greta Thurnberg e invece di occuparsi di Moro e Berlinguer battersi per la questione della sopravvivenza onorevole della specie o almeno dell’uomo europeo) non ultima dicevo questa catastrofe ; cose insomma che riguardano il quotidiano e sulle quali lascio a te il compito di trarre se ci sono, altre considerazioni, di là  quelle già postate.

Questo per dire che di sicuro su molte questioni chi scrive parla un po’ a Vànvera, personaggio che si sa risponde quasi sempre a Muzzo. Mi pare però che concludere o che siamo troppi, verissimo, o che non c’è più niente da fare è stato bello sognare, o che xe pegio el tacòn ch’el buso, ovvero che dalla spirale industriale o del capitalismo non si esce, che le pale non girano abbastanza svelte e le centrali elettriche inquinano più dei milioni di autoveicoli e di fornelli a gas ma quelli elettrici sono i tacòni pegiori dei busi bah, a prescindere dalla fonte  di formazione di queste opinioni, a prescindere, tutto questo mi pare porti a concludere che ci sono due vie d’uscita. Cioè di soluzioni finali: una, tirare a campare di inerzia come si può fino all’ecatombe che prima o poi arriva ; due, sperare nella bomba fine di mondo di Stranamore. Bomba che potrebbe non essere atomica ma demografica, bomba a miccia mica tanto lenta, anzi. Non so, siccome sono come si dice àteo non nutro il malessere della speranza ma il suo contrario, tuttavia penso che arrendersi non sia un’opzione. Salutandovi indistintamente

Non conosco l’autore qui di seguito, nel titolo mi specchio, domani lo compro. 

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Senza titolo

Mah

Replico colletivamente ai commenti fatti al post di ieri, commenti per i quali come sempre sono grato ai loro estensori. Un commento argomentato e ben costruito, anche contrario alla direzione data al post è, come in ogni conversazione civile, un nutrimento al discorso. Un po’ come al biliardo. Ciò dettto, stamane presto ho mandato a tutti coloro da ascoltare la rassegna stampa di Francesco Costa sul Il Post, mia testata italiana on line di elezione.

L’intento è quella di offrire il destro a tutti per modellare una sorta di opinione comune di là dalle mie posizioni oltranziste, posizioni che so benissimo Inattuali ; ma sono posizioni di un inutile letterato che vive con angoscia e desolazione il presente e vede con orrore il futuro che rotola a capofitto su un piano inclinato sul quale alloggiamo temporaneamente tutti. Interpreto il discorso di Taschera e ne condivido del tutto lo sconforto di chi vede i chiorbini di figli e nipoti dormienti nel sonno dei giusti e sa che se li è già mangiati. Come un conte Ugolino che giochi di anticipo. Non ho molto da aggiungere.

Peraltro: non so quante sono le auto in circolazione, ne vedo l’enorme massa. Basti per tutti venire a vedere qui a Lecco una domanica dalle 16 in poi, quando sembra che tutta la Lombardia abbia girato le chiavi di accensione senza potersi mettere in moto di ritorno per tornare a valle. (Nota bene: per percorrere i 30 chilometri da qui a Bergamo occorrono 2 ore circa; del treno minga fidass). Vedo i scimmannati motorini che scoreggiano in modo molto più rumoroso di quanto potessero fare i dinosauri – quelli molto meno numerosi sulle terre emerse di quanti sono i due ruote oggi solo qui a Lecco, ma ripeto cifre non sono in grado di darne, non è il mio mestiere – . Posso credere che il gran danno all’ambiente lo fanno le industrie, sono sicuro che ogni dire perde, in bene e in male, in gioco col fare. ( Mi spiego : se ti dico, Ti ammazzo, sono violento, nutro pensieri neri su di te e me li tengo ma non faccio danno quanto col passare all’agito, come dicono gli psic, nevvero?)

Sono grato a chi fa poco, a chi spala il fango ma lo fa. Sono sicuro, con qualche ragionevole dubbio che presto la Romagna tornerà a spalettare invece cumuli di gelati artigianali a torme di turiste finlandesi in cerca di italiani brava gente, sole, piadina e pizza e abbronzati rapidi. Me lo auguro davvero. Auguro tutto a persone rappresentate credo in bene da quel pianista ravennate che secoli orsono mi disse, Noi qui siamo ben diversi dagli emiliani e molto, intanto non abbiamo il dono della loro arroganza. Vabbè divago. Concludo. Ricordo a tutti che il mio, parafrasando un titolo di Tom Stoppard è uno, Speaking up in anger. Parlare con rabbia.

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Tempo di inattualità

 
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An Unconscious Naked Man Lying on a Table Being Attacked by Little Demons Armed with Surgical Instruments; Representing the Effects of Chloroform on the Human Body – 1912 – Richard Tennant Cooper (1885–1957)

Quand’io era piccino i’ mi’ babbo tra le tante storie che raccontava e ripeteva c’era quella del diamogli un’aspirina. Da parte dei medici militari di allora, tempo di guerre – raccontava – diamogli un’aspirina era la prescrizione per ogni tipo di malattia che non rientrasse nel novero dei disastri, la blenorragia per esempio, per la quale invece avevano tinture e salsepariglie ; in mancanza però di antibiotici. Si agiva, se si agiva, sul sintomo. Diamogli un’aspirina era la panacea, l’elisir di Dulcamara, voglio credere non tanto per ignoranza totale di medici che tuttavia avevano studiato, quanto per scarsità di medicinali adatti e di medicinali in genere. Ora non voglio farla lunga ché mi pare sarebbe di cattivo gusto aggiungere un’altra goccia al vaso sbeccato e traboccato ma osservo che di fronte alla catastrofe, diamogli un’aspirina, mettiamo in campo le pale, anche di elicottero, e i volontari, bella lì, e soprattutto i condizionali futuri e i participi assenti di una politica, per mia ferma convinzione, patologicamente sorta da e preparata alle mosche dei consigli di classe in oscuri istituti dell’agrigentino, non di più, e geneticamente dall’altra parte della realtà : oltre lo specchio di Alice in un mondo di trattorie e fettuccine e maglioncini della protezione civile. Alé oh oh alé ohoh. Sai vero la storiella di quell’olandesino che tappò il buco nella diga con un dito. Bella lì.

Un amico con buona memoria ieri mi ricordava che già nei primi ’70 il professor Principe di lettere, al liceo Manzoni di Milano, spengeva i termosifoni in classe e tuonava contro le automobili e faceva a suo modo ostruzionismo al dilagare di Fiat 128 azzurre, catafottendosene ad attreversarle non sulle strisce ma rotolando sui cofani anteriori, tra strepiti e furie dei guidatori. E credo che le cose fossero chiare già nel 1974, anno del rapporto del Club di Roma (→Treccani) sulla salute del pianeta. Qui invece si parla di maltempo e di eventi estremi, cioè si attribusce il morbo agli untori. Non alla formidabile diffusione dell’attuale peste nera: l’inquinamento. L’inquinamento nasce dalla canna del motore che scalda l’atmosfera e patatì e patatà alla fine genera il maltempo, nel senso di mala tempora currunt. Punto. Ora mi pare che sarebbe tempo per la politica di dasri al buon tempo di scendere dal pero ma anche da mezza altezza e di buttarsi a capo basso, intanto a studiare che male non fa dicono, e poi in azioni drastiche non in improvvidenze divine cioè ministeriali.

Per l’Italia mi pare che sarebbe il momento di proibire da subito, ma subito domani, ogni tipo di veicolo a combustione, sequestrare e riciclare il parco pubblico e privato attuale (anche la mia Skoda che mi costò 6 anni fa 10k euro ma che non posso sostituire con un elettrica che di euro ne costa 30/40k se bastano e non li ho ; maaa non mi dire tu che non si può fermare il padroncino con il furgone a nafta di 40 anni fa, farlo scendere e buttargli il furgone in un fosso, ope legis) vietarne da domani la fabbricazione e piegare le industrie, che peraltro sembrano più attente all’elettrico di quel ministretto di poco corso che abbiamo, a installare motori elettrici alle macchinine in fabricazione e punto. Poi smettere di trivellare petrolio e gas. Cioè farsi nemica di petrolieri e dame del FAI con il SUV ma dama di compagnia della sopravvivenza; sempre che si punti ad essa. (Poi si sa l’auto è inquinante in sé, mi ricorda lo stesso amico, datosi che è un cartoccio di plastica e metallo).

Inascoltati e anticipatori c’è una schiera di letterati ambientalisti che fuma di rabbia in articulo mortis, prendi Calvino ma anche Rigoni Stern, ma prendi anche Rosi il cinematorgrafaro: Le mani sulla città denuncia la camorra e il suo senso spiccato per il cemento, cioè per la devastazione del territorio. Sento, oh se lo sento, qui intorno a me il coro degli avvocati del diavolo, dei pigri, degli opportunisti, delle persone dal buon senso fino, perversione di ogni senso, che mi rabàrbarano eh ma Paschca’ tuminsegni eccome si fa di ogni cosa che disturbi il delicato loro equilibrio casa-supermercato-terza puntata di Law and Order. Come si fa’ ; si fa; ma ci vuole il coraggio di essere inattuali. Sono stufo dico di sentire sparare cazzate su fratello sole e matrigna pioggia. L’uomo televisivo, anche come commentatore, è scotòmico: vede la goccia sulla punta del suo naso. Di imbecillità si crepa. QED (→ Wiki)

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L’ElzeMìro di Martedì 16 Maggio

Fablìole – Irenèide renitente

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in  http://www.gliamantideilibri.it a cura di Barbara Bottazzi

BAMANTI
Desideria Guicciardini-L’Elzemiro alla sua tastiera
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In difesa dell’etnìa

O almeno di’ qualcosa, esclama Giovanni Moretti in Aprile fronte al televisore acceso su uno sciagurato Portaporta con D’Alema in trincea muta e sorniona contro le bave del Cavigliere in Vespa. Il resto della battuta è il celeberrimo, D’Alema di’ qualcosa di sinistra. Ho rivisto questo mercoledì e ieri l’altro i film del nostro, Aprile appunto e Palombelle rossa.

Quest’ultimo è proprio che te lo devi rivedere se hai voglia. Un po’ perché ti rendi conto di quanto acuto sia e profetico Moretti – ma sappiamo, poi girò Il caimano la cui profezia, almeno in superficie, ancora non si è avverata ma non si sa mai – un po’ perché è un piacere constatare a distanza di quarantanni i suoi tratti geniali, tratti caratteriali e d’arte in Habemus papam e da poco con il capolavoro in essere, Il sol dell’avvenire. ( qui in Aprile, 21, Una fontana zampillante) Ma ciò che mi ha colpito, guardando e riguardando questi film a memoria, è l’accento posto da Moretti alla questione delle parole: in palombella l’amnesia del suo eterònimo Giovanni Apicella va al passo con le ripetute esclamazioni contro la manipolazione del linguaggio… trend negativoio non ho mai usato queste paroletrend negativo. Se hai voglia, ripeto, riguardi e ci fai attenzione.

Per concludere in profezia ti domando se per caso il nostro attuale cognato della “prima ministra poi chi lo sa”, dr.Insalatariccia, abbia scoperto la parola etnìa come titolo, succedaneo ma altrettanto machissimo e fascistissimo, per un altro rivisto de noantri in preparazione forse nel suo piccolo orto nero, La difesa dell’etnìa ( vedi foto) In effetti suona più grattaevinci che il nerissimo, La difesa della razza : https://it.wikipedia.org/wiki/La_difesa_della_razza.

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L’ElzeMìro di Martedì 2 Maggio

Fablìole – Desaparecido

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Desideria Guicciardini-L’Elzemiro alla sua tastiera
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Cento di questi Aprili

Conosco assai bene l’esercizio retorico intorno al 25 aprile, esercizio che non ha fatto perdere un etto di peso alla retorica stessa. 71 anni il D’Ascola e, lo sai, rallevato a pane, venticinquiaprili e guarda che cosa indossavano i prigionieri nei campi, ho visto l’esplosione di retorica marxista, maoista, ista pista sista nel ’68; ma il ’68 ha avuto un pregio, fuor di retorica, di sbrigliare certi cavalli dalle lor poste, di portare attenzione davvero a cose antifasciste: in generale un’attenzione a questioni autentiche come quella della repressione femminile, in particolare la legge 194, il divorzio, la pillola per tutte, oggi gratuita e che tanto prurito anale provoca ai movimenti vitaminici dell’ultracattolicismo, epifenomeni di un fascismo inveterato, e nella chiesa cattolica, pensa a CL, e all’interno della borghesia italiana, specie la piccola, la miope, la del tinello maròn, passata spessissimo dalla sezione Agramsci del PCI a sostenere Lega e FDI contro i negri che ci portano via il lavoro … che non vogliamo fare o che ci piace fare grazie a un privilegio… siamo o non siamo tachsisti a Milano e spiaggiatori cortesi da Milano Marittima a Capoliveri ?

Sempre per questioni anagrafiche ricordo, da piccino e da un po’ più grandino, i discorsi dentro le famiglie borghesi, quelle patinate di certi miei compagni di scuola; ricordo un noto commerciante di tessuti, il signor A., ricchissimo mi pareva, megappartamento su due livelli a Milano e villa in Brianza, il tweed si sa che rende dopo la camicia nera e l’adesione a Salò; anche simpatico il tale ma bizzarro: una sera alla sua ricca mensa dove ero piccolo ospite gradito, ma da imbambolare, mi disse, Se chiedi a tuo papà vedrai che ti risponde come me che ci sono cose che si vergogna di avere fatto in guerra. Mio padre riferito della frase, mio padre, medaglia d’argento della Resistenza, ex ufficiale gappista delle Garibaldi e resistente fin dal ’35, un cv di antifascista da paura, lui e la famiglia, mi rispose, Dì al signor A. che non ho proprio niente di cui vergognarmi e che solo essere stato lui repubblichino per lui è vergogna bastante. Ricordo la signora B. che, occhi da Santateresa nell’estasi del reazionario, di ritorno da una vacanza nella Spagna balneare di Franco, mi raccontava di come lì tutto fosse in ordine, le strade pulite, la gente che sapeva stare al suo posto, la polizia che poliziava e che niente sindacati… lì la gente lavora. Ricordo anche il signor C. presso la villa del quale ero spesso ospite in vacanza: una mattina a colazione mi disse beato, Tu sai cos’è un norcino – domanda – il norcino è uno che castra i maiali e li macella… ecco i teroni – il lombardo risparmia sulle doppie – bisognerebbe darli in mano ai norcini, e zic fece il gesto delle forbici. Sapeva benissimo che parte delle mie origini affondano nel profondo sud e capirai che goduria sentirsi assimilare a un maiale. Passi il castrato ma sono vegetariano perbacco.

Il fascismo fu ovunque un’ostentazione furiosa di machismo, violento, truce, odioso, col nero anche tra le dita dei piedi, impomatato, smègmico – si guardi si guardi Una giornata particolare, si legga Gadda La cognizione del dolore – fu la canonizzazione dello stupro – lo stesso che invocava il cattolicissimo ( ma bravo scrittore) Claudel nel ’37 contro i rossi di Spagna – fu sistematico, brutale, schifoso, mafioso quanto lo è oggi quello di altre mafie: le donne sempre nel mirino, sempre, sempre, sempre e la menzogna nel taschino, al bisogno. Ora il 25 aprile, bisognerebbe guardare a mio avviso di sfrondarlo del tutto dalla retorica dei coretti e dei cortei, e anche dalla retorica delle memoria ma poi tutti a casa tutti al mare, e guardare al che cosa e se ha realizzato di utile al paese questa rettorica. Il fatto che oggi si torna a diatribare tra retoriche, tra accuse e volemose bbene, oggi che abbiamo un governo parafascista regolarmente eletto e una classe dirigente di sinistra che si distingue da quella di destra per proclami e strilli fuori labiale, non mi pare testimoni a favore di questa retorica ( riassumibile in un motto: chat and bags). Ognuno vede tuttavia che l’andazzo mondiale non è per niente favorevole alle democrazie liberali ( tenersele strette) che sono una scarsa manciata mi pare, rispetto ai paesi oppressi da una qualche forma di fascismo (tutte le dittature senza distinzioni lo sono e la religione, in questa o quella forma, ne è il combustibile), spesso spaventosa, guarda l’Iran e la Russia, la Cina, il Sudan, la Nigeria, il Congo, l’Arabia Saudita, la Tunisia… macché te lo dico affa’, più fasciste di così è difficile. Nella stessa Europa il quadro a oggi 25 aprile 2023 è cupo, se persino le superdemocrazie scandinave ay ay ay ay canta y no llores.

Poi apprendo che il socialista Costa in Portogallo ha avviato in pochissimo tempo un programma, osteggiatissimo dalla destra locale, di trasformazione ecologica del paese. Mi pare che il negazionismo climatico, come lo chiama il socialista Sánchez in Spagna, (tutto ne Il país  di oggi 24 aprile) che il dagli all’Orsa del nostro ragionier Fratini in Picchetto all’ecologia, che le cabine di regia per l’emergenza idrica, che il trastullarsi con l’emergenza creata invece dai motori a scoppio e i noi difendiamo made in ita-lì, ecco tutta questa roba andrebbe ricordata il 25 aprile, Per li-be-rar-ce-ne. Non mi ci vi si fraintenda ma volendo, la lotta potrebbe continuare, a guardare in avanti verso il sol dell’avvenire… anche quello di Nanni Moretti of course.

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Una fontana zampillante

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In questo paese di ingrugniti che dettano legge e con successo perché l’arena cui si rivolgono è ingrugnita quanto e più di loro e perciò fa voti, ieri sera uno spritz di avventura e di arte: Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti ( qui a Lecco, città ingrugnita, al cinema Nuovo Aquilone che va detto del nuovo e dell’aquilone si fa paladino per virtù del suo promotore (don) Davide Milani, coltissimo cinefilo).
Io come sai non faccio il critico tanto che solo la parola mi annoia. Sono di fatto un guardone, sai quanti film ho visto per televisione con mia moglie durante la pandemia, punto di domanda, fai il conto due a volte tre al giorno per quanti giorni, 700 (?) Bon fa 1400 uno più uno meno. Porcherie spessissimo, remake dei remake di soggetti di cui noi anziani  scommettevamo a prevedere ( mia moglie è più brava perchè è più critica e annoiata alle volte di me che, dico io,  guardo le figure) il prossimo passo, la prossima inquadratura, il prossimo intervento musicale; senza mai perdere. Del resto il cinema oggi è così, un’industria che fa gioire i suoi padroni, le grandi società di affari, solo al constatare gli incassi ( in oltre 190 paesi-Nanni Moretti in op.cit.) Nel film di oggi  dietro la pellicola non si percepisce o è raro percepire la gioia di chi lo fa, solo un bieco nulla che piace ai grugni. Me ne intendo e so di che parlo (da tutta la vita lavoro in arte, non mi conosce né riconosce nessuno tranne talvolta lo specchio, sì): il mestiere d’arte, il cinema nel caso, che non è il divertimento ( né l’intrattenimento) di cui gli stolti fanno e accettano la vulgata, è il gioco serissimo dei bimbi più belli, un’effervescente fontana di talenti ( nel film messi nell’inquadratura e non estromessi) di idee, di invenzione, di meraviglia: è del poeta il fin la meraviglia chi non sa far stupir vada alla striglia (G.B.Marino 1569-1625).

Questo compito di stupire è proprio dell’arte. L’arte o sorprende o non c’è, pensa a Morricone, per capirti. Bono. Tutto questo per dire appunto che il film di Moretti è una fontana delle meraviglie: lo stop al collega per dissertare sull’etica del mostrare o no la violenza con allegata telefonata a Scorsese deviata dalla segreteria telefonica, la danza derviscia improvvisata sul set, lo psicoanalista che confessa i suoi vuoti di memoria. Questo per significare oltretutto che il film è un film che non c’è, non sappiamo se ha un soggetto, una trama; è un cubo di Rubik, per usare una metafora, che non ha voglia di manifestarsi in una figurazione ortodossa (prendendo il film le mosse dall’anno delle rivolta antisovietica di Budapest la parola ci sta) ma che si scompone e ricompone su sempre nuovi e appunto sorprendenti e paradossali pattern. Guarda che cos’è  la scena d’amore in cui Moretti, in coda accanto all’auto di una coppia in lite, suggerisce a lei che le ripete le battute di un litigio. Da schiantarsi per terra. Eppure il film specie per gli anziani non muove che a considerazioni come quelle di apertura qui; ma… [e fino allo sberleffo (o rebus a chiave) finale [che vabbè, una coppia di quarantenni lecchesi dietro di me non ha per niente inteso e sbuffava (ma chissenefrega, lasciali al loro Il fatto Quotidiano, testata  ignrugnita di ignrugniti che ha stroncato il film, al loro Netflix, altra scena nel film da ribaltarsi, ma loro, i due lecchesi figurati se capiscono, muti come marmotte con la stitichezza)]… ma, ma, ma, ma come scrisse Nietzsche, cui il film sarebbe piaciuto e tanto, con il cuore che è una fontana zampillante. Di poeta.

IL POETA E LA MERAVIGLIA

 Vuo’ dar una mentita per la gola
a qualunque uomo ardisca d’affermare
che il Murtola non sa ben poetare,
e c’ha bisogno di tornare a scuola.
     E mi viene una stizza mariola,
quando sento ch’alcun lo vuol biasmare;
perché nessuno fa meravigliare,
come fa egli, in ogni sua parola.
     È del poeta il fin la meraviglia
(parlo de l’eccellente e non del goffo):
chi non sa far stupir, vada alla striglia!
     Io mai non leggo il Cavolo e ’l Carcioffo,
che non inarchi per stupor le ciglia,
com’esser possa un uom tanto gaglioffo.

IX – VI
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Commento di Leonardo Taschera al post di oggi

Senz’altro mi permetto di pubblicare l’ardita requisitoria di Leonardo Taschera in difesa dell’orsa Jj4, mi associo alla richiesta di chiamata a correo del Presidente della Regione TAA, chiamo i lettori a prendere partito e rifletto su possibili altre azioni.

Ai commentatori del post dieci orsi per ogni ranne’

Signor Presidente, Signori della Corte, Signori della giuria, siete chiamati ad emettere un verdetto di colpevolezza o di innocenza nei confronti della mia cliente, un’orsa denominata Jj4, accusata di aver aggredito e ucciso un escursionista, il Sig. Andrea Papi, intento a svolgere la sua pratica di running nel territorio onninamente noto come abitualmente frequentato dalla specie Ursidae, a cui appartiene la mia cliente. Non possiamo sapere come si siano svolti i fatti in quanto la mia cliente non ha il dono della parola e l’aggredito è, purtroppo, deceduto. Però possiamo affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, sulla base dei rilievi effettuati sul luogo dell’accaduto e della conoscenza delle abitudini di difesa e attacco degli individui di sesso femminile della specie di cui sopra, che la mia cliente, vedendo correre contro i suoi cuccioli un esemplare della specie Homo Sapiens, armato di bastone, specie a sua volta onninamente nota per la sua pericolosità in quanto a sistematica distruzione dell’ecosistema in cui vive e a sistematica predazione degli esseri viventi – vegetali o animali – di esso ecosistema fino all’estinzione di numerosissime specie animali e al rischio di estinzione di altre altrettanto numerose, la mia cliente, ripeto, madre premurosa e a buon diritto gelosa custode dell’incolumità e della vita dei suoi figli, ha reagito come ci si aspetta che ogni madre reagisca. Quale madre appartenente alla specie Homo Sapiens, non avrebbe difeso la sua prole anche a costo della vita, non solo propria, ma altrui? D’altronde che l’individuo femminile appartenente alla specie Ursidae sia noto come strenuo e temibile difensore della propria prole è noto dai tempi dei tempi. Mi sia concessa una citazione dal componimento di un poeta, vissuto tra il XVIII e il XIX secolo, Carlo Porta:
On’orsa, come disen i poetta,
Che la se veda toe da on cacciador,
O ferì, on orsettin sott a la tetta,
No la va in tanta rabbia, in tal furor
Come la sustrissima a vedè
Don Malacchia con in aria el pè!

Questa significativa similitudine la dice lunga sull’antica conoscenza delle abitudini di difesa e attacco dell’individuo di sesso femminile appartenente alla specie Ursidae. O noi vogliamo credere che il compianto Andrea Papi sia stato aggredito da un feroce orso predatore, quale viene descritto da Marjorie Kinnan Rawling, nel suo romanzo “Il cucciolo”, che narra, tra l’altro, di un povero agricoltore, la cui fattoria si trova ai bordi di una foresta della Florida nel 1870 e che deve difendere il suo magro allevamento – una mucca, qualche pecora, qualche gallina – dalle incursioni della bestia soprannominata Brigante? Ma via! Offenderei la vostra intelligenza se ritenessi per un solo istante che voi possiate credere a una simile situazione. Sta però di fatto che un individuo della specie Homo Sapiens è stato ucciso dalla mia cliente. E la si vuole punire, ma per quale reato? Per essersi comportata da madre – non dimentichiamolo, Signori, da madre! – quale la sua natura la obbliga a fare? Piuttosto domandiamoci quali sono le responsabilità a monte. Il territorio dove si è verificato il fatto è densamente antropizzato, in linea con la millenaria tendenza dell’Homo Sapiens ad espandere la sua presenza dovunque ed in qualsiasi modo. Per placare tardivamente i sensi di colpa dovuti allo sterminio dell’orso autoctono e per darci improvvisamente una veste di difensori degli ecosistemi – forse anche con la non confessata speranza che la presenza degli orsi in Trentino potesse essere un incentivo al turismo – abbiamo realizzato il progetto “life ursus” finanziato dalla UE, importando dieci orsi dalla Slovenia tra il 1999 e il 2002. È ovvio che gli orsi si siano moltiplicati. Quali misure sono state adottate per consentire una convivenza pacifica tra l’orso e l’Homo Sapiens? Quali informazioni sono state date ai turisti circa la presenza e la quantità degli orsi nel territorio? Quali i suggerimenti circa il comportamento da tenere in caso di incontri? Per concludere, Signor Presidente, Signori della Corte e Signori della Giuria, in prima istanza chiedo l’assoluzione della mia cliente in quanto ha agito per la legittima difesa della sua prole, e in seconda istanza, qualora la mia richiesta non venisse accolta, chiedo la chiamata di correo nei confronti del Presidente della Regione e dei responsabili della gestione del territorio.

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