Mi palpita il cor né intendo perché, è gioia è dolore non so che cos’è, se un malessere o cosa : un disagio. Me ne sto qui aggrappato ai miei indubbi privilegi. Intendiamoci ottenuti senza sforzo, conquistati da torme di antenati che semplicemente pensarono che l’acqua fosse un bene e un bene per tutti. Conquistarono l’acqua e poi il sapone, lo sciacquone e il bidet. Dopo la fine, dopo quella dell’impero, delle terme romane, tutte cose fuori dal normale persino nei tanto decantati palazzi imperiali e regi e ducali. I Gattopardi facevano ogni tanto il bagno, per cultura ma non oso immaginare com’erano i loro culi dopo le necessarie faccende intestinali. Né le loro bocche, dopo pranzo. Se c’è una cosa che ha rappresentato il sol dell’avvenire è l’igiene corporale personale. La pulizia è arrivata molto dopo la polizia e non per lo stesso bisogno.
Io sono ancora qui, apro il rubinetto e scorre un torrente di acqua gelata, viene da una fonte montana qui da queste parti, e più si sale, e più ci si addentra nelle Alpi, più quest’oro vero, senza prezzo, di valore inestimabile, scorre fresca, rigogliosa si potrebbe dire, come se sbocciasse ad ogni istante. Sempre diversa aveva intuito quel greco di spirito e abitante presso fiumi copiosi. L’acqua ha il bene di essere femmina. Mi va bene, acqua a volontà ; ma la mia volontà sta piegando il bisogno di ripulirsi a prendere due docce, in questa stagione, due al giorno ma di un minuto e mezzo ; utilizzo un cronometro da bagno ; la somma di tre minuti costituisce il tempo massimo di una doccia a bordo di un sommergibile, per quanto sia tecnologico, per quanto nucleare, per quanto tanto. Ma per lavare un bicchiere mi rendo conto che entro nel campo del lusso, pochi secondi sono centilitri, bagno il bicchiere e la spugnetta per l’insaponare, sfrego ; alcuni secondi perché l’acqua si riscaldi buttandosi via, e poi risciacquo. Da centilitri a litri. Faccio esercizi di penuria se non di miseria, ma è chiaro che si tratta di simulazione.
È a questo punto che non riesco a non pensare alle miriadi di umani che non hanno o questo o quello, tutto. O per natura, perché essa è avara quanto sa essere generosa, prodiga di prodigi dove pare a lei, qui in quest’Europa benedetta, dove è stato possibile dare a tutti perché si è scoperto che ce n’è sempre stato per tutti, a dispetto dei Gattopardi e dei fasci combattenti. A Gaza lavare un bicchiere, ammesso di averne uno, lavarlo è un problema e lavarsi è un problema. Ne sono sicuro. Tra gli orrori della guerra è il peggiore ; ciò che caratterizza lo stato di guerra è di preciso la sporcizia, il fetore dei corpi abbandonati alla loro condizione primitiva, quando sono ancora vivi. Di quelli morti immaginarsi. Ma noi qui abbiamo di che spendere e spandere, non so quanti tra noi ne sono consapevoli e prudentemente angosciati. Noialtri abbiamo costruito in eccesso sull’eccesso ; non è nemmeno più consumismo ma consunzione di ogni ritegno, prima che di ogni risorsa, un’invettiva alla fortuna naturale di avere l’acqua che ti scorre sotto i piedi quando cammini per esempio su un sentiero alpino. Ma una volta disciolti i ghiacciai, e li ho visti questo luglio ridotti a tabernacoli dell’estinzione, allora le sorgenti boh.La civiltà è stata determinata dall’acqua o ti sei scordato del Tigri e dell’Eufrate. A Gaza non c’è nessun Tigri, nessun Eufrate. Sangue sì, quello scorre. Gli israeliani stanno stabilendo, hanno già stabilito il dominio del fetore, non meno di Hamas prima e dopo e sempre ; i russi in Ucraina stanno stabilendo il dominio del fetore, della contaminazione delle acque. È quello la loro civiltà. Il potere di fare quel che si vuole del rubinetto.
Qui si vive nel privilegio ; a dispetto a volte, quasi sempre nell’inconsapevolezza di essere circondati dal male, dal malessere, dal deteriore e delle carogne, vive e morte, accampate al perimetro dei nostri bastioni. Avere un po’ di disagio mi sembra dunque un sentimento doveroso. E benediciamo il sapone e l’acqua per la pasta.


