La montanara piange

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L’amico Taschera mi invia stamane un foto del lago di Livigno, della pozza di Livigno, aggiunge quel che è noto della Marmolada, il cui ghiacciaio in un tot di anni si è ridotto dell’80%, in altre parole che è alla fine. Tutto passa e finisce, lo sai no, lo insegna il buddismo ignaro, ai tempi, del contributo pernicioso dell’umano alla fine. Il buddismo, ismo ignoto all’Oriente dove si chiama piuttosto Zen, concettualizza il termine fine nell’ambito di un mondo circolare, dove tutto passa, muta e ritorna. Pensare ai virus. Un mondo intatto nel suo immobile continuare a riprodurre uno schema che non prevede il crimine contro natura. Contro la natura. Per quanto ne possa soffrire, il buddista come l’animista, nipponico o no ma altro ista inventato, nella natura ci sta, a suo modo, con tazza e bastone. In un angolo, à côté. Al contrario dell’Unno epitome del devastatore in cui ci siamo calati da secoli. Almeno due: devastare per produrre ricchezza altra da quella dedicata o ottenuta col coltivare. Le api succhiano il nutriente, ma non tutto, il loro capitale di miele non è inteso all’accumulo ma alla scorta. Il bipede stermina i bisonti e oggi qualsiasi altra forma di vita. Ma è arrivato a un successo, sterminare sé stesso. La guerra è una pallida imitazione delle possibilità devastatici dell’erectus. Le religioni, le rivelate, ponendo(se)lo al centro di un dialogo assoluto e privilegiato con l’Eterno monocolo, altro non hanno fatto che escluderlo dal suo ambiente, mettendolo in trono, in croce per comodità mitopoietica. Il mito fa cassa. Su questo insulto all’evidenza, al buon senso si fondano gli imperi tardi delle ciminiere. Il credente è l’astratto dal mondo per eccellenza, guarda al suo vangelo, ciascuno al suo, si occupa di salvezza diniegando la salvezza semplice e naturale dell’acqua e dell’elettricità, se vogliamo, ma prodotta come? Per precauzione stolta invoca il Terzo perché faccia piovere ( è successo a Milano dove il cardinale in carica – di preciso come il Borromeo contro la peste – invita a una sorta di danza della pioggia cioè a un walzer tra mutilati). Una parola cinquanta anni fa quando fu pubblicato il dossier I limiti dello sviluppo sarebbe valsa più di duecento enclicliche sulle loro questioni di lana caprina, cioè di bottega, cioè di parrocchia. E la parrocchia per dominare si deve occupare del cortile del condominio. Non se ne esce. Il patto tra gli uomini è perverso ma siamo tutti nella stessa barca ; peccato si chiami Titanic.

About dascola

P.E.G. D’Ascola ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: "Le rovine di Violetta", "Idillio d’amore tra pastori", riscrittura di "Beggar’s opera"di John Gay, "Auto sacramental" e "Il Circo delle fanciulle". Sue due raccolte di racconti, "Bambino Arturo e il suo vofabulario immaginario"" e "I 25 racconti della signorina Conti", i romanzi "Cecchelin e Cyrano" e "Assedio ed Esilio", tradotto questo anche in spagnolo da "Orizzonte atlantico". Nella rivista "Gli amanti dei libri" occupa da molti anni lo spazio quindicinale di racconti essenziali, "L’ElzeMìro".
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2 Responses to La montanara piange

  1. azsumusic says:

    Ci fu un tempo in cui tutti i governanti del globo si ritrovarono al Palazzo del Gran Sultano. Erano tempi in cui i popoli annaspavano, chiedevano ciccia dalla bocca delle madri come uccellini in fiore. Mamma uccellino diceva loro: vi do questo, tiè. Così li avvelenò tutti. Non ne poteva più. Il Gran Sultano disse: “Questo succo che voi amate è frutto della spremitura di tutto il creato, di centinaia di trilioni di miliardi di billenni”. Roba che non esiste, direbbe il fisico che tutti conoscono solo perchè l’hanno visto in TV. Come l’economia. Non esiste, ce la siamo creata. Ce la teniamo. Come le crisi. Come il fisico social ma non socialista. Tutta una fiction. La dicessero, i fisici, la Verità, cioè che il tempo passa diversamente all’ultimo piano di un palazzo rispetto al piano terra. Poi vediamo se gli danno ancora retta, a ste menti. “Ma tantè”, disse, Il Zultano di Zambir, leggennome ner pensiero. “Quindi, così stanno e cose: lo voi o nun lo voi? O paghi dazio o t’artacchi ar cazzo”. I governanti del Mondarello si inginocchiarono a lui, in posa subliminale, e dissero: “Vaben, Sior Paron”. Non fecero come l’uccelllaccio uccellino, che avvelenò i suoi figliocci pur di non farli soffrire a vita per l’egoismo di averli messi al monno. Che i resti della spazzatura accanto ar selciato dell’autostrada a loro non garbava. Ingrati, i signorini. Volevano la crème, i vermettini. Insomma, stamo li. Borghesi calano ‘e braghe ala plebe, popolo di voyeur. Mentre er monno s’è rotto er culo per noantri qua ce stamo a fa i filmini. Yes man, caro Jim, tutto scritto. Visto. Cotto e magnato. Se semo magnati i risparmi che ‘a tera ha messo in saccoccia per na vita. Intanto impazza l’ennesima perculata, Napolitana I.G.T. e non D.O.C.G. perchè trasportata a Mileno senza sapeeerlo, che se prenne gioco de tutti enventandose na lettura in corsivo, anche detta “diteme che devo fa’ per farve piascere e lo faccio”. E daje che stamo già ar nuovo tormentone: Se scrive “amore” se dice, en corsivo, “amoereee”. Se scrive “scrivere” se dice “scrivaraaeee”. E nove generazioni: dateje er nulla, creeranno ancor meno. E tanto, ar nulla, tra un po’, anvedi che ce tornamo. Quanno l’acqua se ‘a dovranno pijà sula Luna. E mo’ l’hanno capido perchè stanno a cercà i ghiacciai nell’universo? Mica ve state a crede che pensino de trovà E.T.. Questi stanno a cercà de sopravvive. Passamo da ‘a fonte “San Benedeto” ala fonte “Mons Esam”, un nome arabo dei “Montes Lunari”. Anvedi che curtura che c’ho. “Si, da copia e incolla”, disse er fisico. “E fatte i cazzi tua, ‘a stronzo” dissi io. ‘A verità? Ce compreremo l’acqua dar Nord Africa. Come cor petrojo. Er paradosso. E alora che ce fregherà più der succo der Sultano, che tanto tra trent’anni sta già finito. A proposito, er Giappone ‘o conosco, ma dico: in Giappone se magna fino a che s’è sazi. E enfatti stanno tuti magri, e donne nun c’hanno ‘a panza. Gli unici omini giapponesi su de peso so’ quelli der Sumo. Ma se so’ estinti, nun ce stanno più. Stavano en gabbia ma nun se reproducevano, a panza nun je lo permeteva. E poi e femine nun ce stavano, na gabbia. Era proprio empossibbile. Er Giappone c’ha paura de sprecà, o vedi, non se butta via niente. E enfati quei Sumo se li so’ magnati. Ner sushi. Prova ad anna’ ad un sushi, se prenni più de quel che magni poi te o fanno pagà, ‘a cassa. Se te vedono quanno esci. Che a vorte nun me so’ fatto vede, nun so se me spiego. Così se fa, così se educa. Qua anvedi, stamo ancora a prenne ‘e pernacchia da ‘a steppa, sennò’ stamo a scardarce coi copertoni de machine. Da noantri nun stanno a capì niente, stanno tutti magnà fino a scoppià, manco fosse Natale, comme ner film “A Grand Bouffe”. Stanno a scoppià, sti rencojoniti!!!

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