Storielle di un bosco viennese

Vienna. Agosto. Yppenplatz che non c’entra con gli hippy né con gli hipster e, bada di dire üppen, con la u francese o milanese. E Yppen fu il conte van Yppen, nederlandese, che a fine settecento comprò terreni qui in questo settore a ridosso della città allora, oggi quartiere popolare, per edificare un palazzo e una residenza per veterani. Dalla piazza striscia via il Brunnenmarkt, il mercato all’aperto che lungo l’omonima Brunnengasse ogni giorno è il campo di lavoro di centinaia di mercanti orientali, ci paiono turchi la più parte. Il mercato sarà lungo due chilometri, ordinato e pulito come può essere un mercato. Ma ordinato. Le merci? Tutte: olive, frutta, verdura, carni, mutande, narghilé o come si chiamano, pizza italiana e turca, la pide, utensili, cibi cotti e crudi, tonnellate di dolci assassini, scarpe… una donna con lo/la hijab sui cinquanta , lei non lo/la hijab d’ordinanza prova un par di ciabatte aperte sostenendosi al braccio del mercante, lì nel bailamme… piedino dentro e fuori, hoplà noi viviamo.

L’approdo alla piazza con 36 gradi insoliti testificati dal termometro del telefono invoca un ristoro, stiamo camminando dalle dieci di mattina e sono quasi le cinque del pomeriggio. Il caffè si chiama Wirr am Yppenplatz ( ce n’è un altro in Bruggasse) e si nota subito, è accogliente, arredato in modo fantasioso, fuori ha grandi ombrelloni perché la piazza è a sua volta di mercato e gli alberi ci sono sì ma solo nel parco giochi al suo centro. Ci sediamo a un tavolino di ferro vintage, non toccato da una riverniciatura contemporanea e arriva una ragazzona di belle maniere con bicchieri e una mezzina di acqua di rubinetto che a Vienna è gelata. Da bere agli assetati. Poi chiediamo tè freddo alla menta e succo di mela frizzante. Si frescheggia perché al solito spira una brezza serale che asciuga malgrado non sia fresca. Beviamo in abbondanza. Accanto a noi c’è una coppia suocera-nuora, molto giusta la giovane in un vestitino stampato a fiori, mezze maniche, la gonna larga sotto il ginocchio, una bimba graziosa in collo. Arriverà un uomo, forse un marito. che alla giovane parla in inglese per una metà e in tedesco per l’altra. Non sappiamo perché ovviamente. La giovane non sembra inglese ma tant’è. Forse è lui l’inglese o olandese o scandinavo e ha un’aria da architetto che sia appena uscito dallo studio, studio che ha lì nei paraggi : a Vienna convivono il coturno e appunto la ciabatta.

Ecco che attirati come vespe, non si escluda dal fatto che ci hanno sentiti magari parlare italiano tra noi invece, arrivano prima uno poi un altro mendicante. Il primo è un ragazzo dal volto educato, potrebbe essere un bel ragazzo, alto, ben piantato, non fosse che è lurido e calza dei sandali del tutto inutili per camminare tanto sono sfondati. Il resto cenci. Con cortesia estrema, le mani giunte  chiede molte volte, vielmal ( leggi fiilmaal) scusa per il disturbo ma spiega che ha bisogno di soldi… attenzione si tiene a distanza dal nostro tavolo come per non infrangere il nostro cerchio vitale. Prega ma non mendica, spiega. Altrettanto cortesemente gli diciamo che dispiace anche a noi molto ma non abbiamo mai denaro su di noi e quindi non possiamo esaudire la sua richiesta. Verrebbe sinceramente almeno da offrigli da bere… e forse da mangiare… e forse da abbracciarlo non fosse per la repulsione che suscita il sudiciume… il timore del contagio… quale? Uno qualunque. E poi chissà se al Wirr sarebbero contenti di farlo accomodare a bere dai loro bicchieri. Bene, il ragazzo se ne va rinnovando le scuse e ringraziamenti per l’attenzione con leggeri inchini. La cortesia è nel patrimonio genetico a Vienna, non si contano i gerne (gherne) volentieri, e i sorrisi per ogni grazie che pronunciamo. Tant’è. Pochi istanti dopo ci si avvicina un cristoscappatodaeboli, un Giobbe con l’occhio forse del tossico ma non sappiamo non ce ne intendiamo, stracci addosso che non coprono le sue magnifiche ulcere e piaghe, anche in viso un trionfo di stimmate, un lavoro da miracolologia per un qualche santo redentore in una pittura tardo medievale su legno. Si avvicina a noi con impeto l’uomo e… chiede scusa. Chiede scusa per il disturbo e denaro ovviamente; ha già pronta la mano da ostendere. Ma dobbiamo anche a lui chiedere noi scusa perché non abbiamo contanti da dargli. Offrire da bere o mangiare meno che al primo uomo; vai a sapere che nascondono le piaghe e le ulcere. (Ma egli non puzza di morte come ci capitò anni fa a Parigi e in metropolitana: lì l’origine era con tutta probabilità un diabete estremo e sulla gangrena delle gambe a me parve vedere avviticchiarsi dei vermi: ma mi è noto che sull’orrore lavoro di fantasia.) Se ne va, non sembra contrariato e ringrazia, meno formalmente del primo ma con la convinzione la cortesia che è abito mentale.

Lecco, settembre, supermercato Iperal. Barriera di uscita dalle casse automatiche. Una donna carica di spesa, cerca di far aprire il varco, come d’uso, offrendo il codice a bare stampato sullo scontrino di cassa all’apposito lettore laser. Ma il varco non si apre. La vedo in difficoltà, la spesa ecessiva la impiccia, tentenna,  mi avvicino e le dico di lasciarmi provare con il mio scontrino, non dico signora. Eh ma non si apre…ritento…Ah ma non si apre non si apre. Interviene un’impiegata gentile che sblocca lei le porte dell’Ade. Non un grazie, non un buongiorno o arrivederci, non uno sguardo dalla donna. Fila via liscia. Tutto dovuto. Per fortuna non ho detto signora.

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About dascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi della rivista Gli amanti dei libri, diretta da Barbara Bottazzi, sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito
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9 Responses to Storielle di un bosco viennese

  1. azsumusic's avatar azsumusic says:

    Diciamo che, per coerenza, chi chiedeva aiuto ha ringraziato mentre chi non lo chiedeva non ha ringraziato. Riesco a dire solo questo di attinente perché, nel frattempo, vicini bambini originari del paese il cui motto è “Fede, Unità, Disciplina” (Repubblica Islamica del Pakistan, n.d.r.), hanno deciso di non far fede alla decantata disciplina inaugurando un carnevale di versi e colpi totalmente disuniti e attribuibili all’ambito pagliaccesco. Poco prima, poche urla nordiche, probabile residuo romantico di autoctoni repressi.

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  2. Leonardo Taschera's avatar Leonardo Taschera says:

    Alcune considerazioni sul comportamento della signora al supermercato. Innanzitutto bisognerebbe sostituire il termine villania con quello di urbanità. Non mi è mai capitato di notare comportamenti villani in un “villano” mentre il cittadino in fatto di comportamenti scorretti non fa che scialare. Mi diverto sempre, quando mi capita di cedere il passo a qualcuno, a ringraziarlo della sua scortesia, visto che non vengo ringraziato, ma quello – o quella – ovviamente non capiscono. Poi c’è da dire che, per non venire meno al principio delle pari opportunità e al rispetto delle quote rosa, quello che veniva chiamato il gentil sesso sempre più replica i peggiori comportamenti di quello che veniva chiamato sesso forte. Per quanto riguarda la gentilezza viennese, non a caso Swarovski (da non confondere con il marchio dei gioiellini) considerava il buon papà Haydn come il massimo rappresentante della scuola musicale di Vienna: merito della sua levità, arguzia, letizia, piacere delle perfette proporzioni della forma, serena contemplazione della bellezza del creato. Però poi il nazismo è germinato in ambito austriaco…

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    • dascola's avatar dascola says:

      Il suicidio. Ma sai una cosa. Dappertutto a Vienna in ambito pubblico, nei musei ma non solo, qualcosa, una didascalia, un foto, una sezione della mostra temporanea al Belvdere inferiore, ricordano ai visitatori, anche con lettere e fogli d’ordine dattiloscritti, rammentano che Vienna(l’Austria) fu nazista. Quel passato non è verneigt (forcluso? Ah ah). Ti pare che, non so a Milano, qualcosa, a parte iniziative marginali, ricordi che vi nacque il fascismo, ti pare che mai nessuno abbia organizzato una museo in questo senso, isituzionale non in una cantina. Oh, comodo, Binario 21, iniziativa del CEDEC mi pare, ma per bisimare i cattivi tedeschi. Dei cattivi italiani? Mai. A motivo di ciò eccoli qui di nuovo a verneigen persino sé stessi i signori del labaro. Peraltro a breve corollario di quanto hai scritto nel precedente commento, che direi di pubblicare come post, insieme a questo qui presente, a corollario dico che Böll individuò nella torsione della lingua in sigle l’essenza perversa del tedesco nazista: latrati del resto emetteva Adolfo. E ad Haydn sostituì l’urlo. Del resto oggi alla musica si è sostituito il tumtumb. Il basso continuo di supermercati e ambulatori. Il tam tam disse Céline. La musica dominante egemone di oggi è una forma della propaganda. Ne ho la convinzione.

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      • Leonardo Taschera's avatar Leonardo Taschera says:

        Certo! Noi siamo italiani brava gente, e, con la resistenza, abbiamo ritenuto di chiudere i conti col fascismo, la decima mas e piacevolezze di questo genere. Noi non abbiamo un museo che ricordi le efferatezze compiute in Africa, contrariamente a Berlino il cui museo sulla Shoa e la piazza degli inciampi è un continuo monito a non dimenticare. Faccetta nera, bell’Abissina – Aspetta e spera che già l’ora s’avvicina – Quando saremo vicino a te – Noi ti daremo un altro Duce e un altro Re. E chi la conosce, questa canzonetta? E chi sa cosa sottintende? D’altronde il corpo del diritto penale è ancora il Codice Rocco, che ha subìto, certamente, molti ritocchi (in alcuni casi in peggio), e comunque ora abbiamo al governo i nipotini del ventennio, che non sono saliti al potere con una novella marcia su Roma ma perché sono stati eletti, anche se, date le percentuali dei votanti, da poco più di un decimo della popolazione del paese. E ancora, noi siamo gente che ama il conformismo e l’ossequio al pensiero dominante e alle sue manifestazioni concrete nella vita quotidiana: ho la nausea dei polpacci esibiti da maschi di qualsiasi età, stazza, condizione di salute, e ho la nausea dei bollitori che ormai tutti, grandi e piccini (come si diceva una volta) tengono ai piedi, con temperature tra i 30 e i 40 gradi. El g’aveva i scarp de tennis, recitava la canzone, a significare che era un poveraccio. Ora le scarpe da ginnastica, da trekking o come vuoi chiamarle costano come le scarpe di cuoio e pelle, e sono tutti felici di indossarle. Forse meglio della camicia nera, però….

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  3. A. Z.'s avatar A. Z. says:

    Hai delle belle pretese!!!!!!!!!!!!!

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  4. Paolo Prato's avatar Paolo Prato says:

    Bellagio, attorno all’odierno mezzodì. Assisto a titolo di personale aggiornamento allo sbarco di una fiumana (sbarcano a dritta e risalgono a poppa in moto perpetuo?) di turisti delle più varie provenienze dal maturo e capiente “Fra’ Cristoforo”. La ineccepibile sovrintendente al pontile ne sorvegliava con diligenza il procedere sulla passerella, aiutandone diverzi, impicciati da bagagli e/o da passeggini, prevalentemente con bimbi. Uno con un cagnetto. Nessuno ha avuto per lei non dico un moto di ringraziamento, ma nemmeno uno sguardo. Le ho chiesto se le fosse capitato mai di sentirsi ringraziare. Sorridendo (ripeto, sorridendo) mi ha risposto “non lo dica nemmeno per scherzo”. Capisco che Bellagio sia senza dubbio un geografoma selettivo, ma temo che il mondo sia perfettamente allineato e coperto.

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    • dascola's avatar dascola says:

      Ecco. Mi pare che se a scuola si ricominciasse con la semplice buona educazione, anche a tavola (non mi piace andare ai ristoranti per non vedere come pochi usino le posate in modo accademico e non creativo, per non parlare del berretto da baseball sulle ventitré o ventiquattro), il mondo sarebbe un posto migliore. Per esempio prendi Putin che fa una telefonata a Kiev: guardi può chiedere al presidente Z. creda sono imbarazzato nel chiederlo, però vi dispiace se domani o dopo, all’ora che meglio vi comoda, vi invadiamo? Così in amicizia, una piccola operazione militare speciale? Sì sì attendo una risposta, intanto mi ricordi alla sua consorte.

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