Perfects days

Non ti saprei rispondere alla domanda perché ne parli. Tutti parlano di tutto, di argomenti che da certi divengono incerti, cioè assodati, nello stile hai letto-hai visto-siete andati, nello stile del salotto contemporaneo; della coppia creativa  Pericoli e Pirella di Tutti da Fulvia il sabato sera, le strips concluse nel 2009 su Repubblica che al meglio lo descrivono –.  In nulla simile mi pare al salon parigino o  persino milanese di epoche lontane, ma del resto nessuna illusione : Proust racconta bene il salon di Madame Verdurin, per quanto averne, e Flaubert ben scrisse il Dizionario dei luoghi comuni ovvero delle idee chic – Adelphi  (Le Dictionnaire des Idées Reçues et Le Catalogue des idées chics-Livre de poche 2004)

Le critiche dei critici, le anticipazioni della stampa – attento che non affermo nulla di nuovo o che non sia evidente a chiunque abbia un po’ di connaisance de cause – fanno di ogni prodotto per quanto d’arte una merce. Per carità i films xe vèro hanno una loro teca nel supermercato del mondo e compito della critica è appunto quello di entusiasmarsi o farsi entusiasmare per entusiasmare : di un film, in questo e quel caso, di una serie, di un libro come qualcun altro, un tempo si sarebbe detto la massaia, si entusiasma della nuova colf colombiana, del Dyson o del pulitore ecologico per tutte le superfici ( esiste) ;  sono merci  in partenza, anche la colombiana, e dunque giustificate dal mercato. Tutto si trasforma con la chiacchiera o con il premio Strega, sicché il regista diventa genio per i suoi peti o per la baraonda. Anzi quanto più fa baraonda. Vedi Lánthimos.

Ieri sono andato a vedere Perfect days che al singolare era una canzone di Lou Reed bella, a mio sentire. Al plurale,  un film di Wim Wenders. Sono uscito in lacrime  e, se ci penso, ancora adesso il ricordo mi tocca le lacrimali. Non c’è un perché. Potrei razionalizzare ma non ne ho voglia anche perché la lacrima è un oggetto d’uso molto personale. E dunque come si diceva a Catania  a lei che ce ne n’importa. Ma qualche nota mi sento di scriverla perchè mi pare che di un’opera  il pregio è il silenzio, il vuoto che innesca ; qualcuno alle mie spalle in sala alla fine della proiezione è rimasto fermo al suo posto senza dire una parola : buon segno. Io non leggo le spieghe, le critiche, mai, non ho nemmeno mai lette quelle ai  miei lavori  benchè fossero di solito positive ( ah aha) ; come dico a mia moglie che invece ama documentarsi, io guardo le figure, non mi faccio spiegare né prima né dopo ; c’è quello che c’è sullo schermo, in scena o sulla carta. La sintonia con un’opera se è d’arte mi sforzo da me di trovarla se ci riesco. Del resto, un regista di peso in passato, Luca Ronconi, lo dichiarò proprio, dichiarò che il suo lavoro, lo spettacolo era lì da vedere, che non c’era niente né da spiegare, né da anticipare, esso appariva e scompariva in scena nel tempo del suo avvenire. Mescitore di oblio si diceva nel Giappone antico del teatrante, dell’attore. Poi ognuno… fine.

Perfect days intanto è girato in 4:3 scelta di non poca curiosità. Lo schermo non si anima nel consueto 16:9. 4.3 è una scatola, senza entrare in dettagli tecnici, una scatola  di lacca, preziosa. Ci sono scatole per ventagli bellissime. Tu guardi dentro e ci trovi il film, un ventaglio che muove per un po’ l’aria e poi più. Un film, questo Perfect days, che non racconta una storia con un inizio, un centro e una fine ; con un fine ;  sì racconta la storia di uno Jedermann, l’Ognuno di Hofmannstahl ma senza la tradizione dei morality o degli autos sacramentales, senza il fine. Non è un’opera poetica come a qualche sciocco mi è stato detto è venuto in mente di scrivere, preso dalla confusione tra poetico e sentimenale. Con perfetto nihilismo Perfect days è un film senza volontà : si attiene al tempo con l’accorgersi. Poi si ritira. Lascia che lo spettatore si confronti con le inquadrature fisse, osservi e si accorga, usi del tempo, per lasciare passare ; per eccesso è un film che andrebbe osservato dalla posizione del loto. Il primo piano finale di trenta secondi sul volto dell’attore che muta carattere al suono di una canzone che ripete lo stesso ritornello, è una nuova alba, un nuovo giorno e io sono felice, è un mantra. È un’opera zen in questo senso. Senza perché. Un antidoto alla baraonda.

Shiki soku ze ku/Ku soku ze Shiki

La forma è il vuoto/il vuoto è la forma

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About dascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi della rivista Gli amanti dei libri, diretta da Barbara Bottazzi, sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito
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2 Responses to Perfects days

  1. azsumusic's avatar azsumusic says:

    Kubrick riteneva il formato 16:9 sproporzionato per la fotografia cinematografica preferendogli il rapporto 4:3. Difatti, il primo formato dei due risulta più adatto per i paesaggisti mentre il secondo è più consono ai ritratti. E “Perfect Days” è appunto il ritratto umano su più generazioni incentrato a Shibuya e dintorni, la zona più vivace della Tokyo contemporanea, spesso popolata più da stranieri che da nativi giapponesi. In questo film potrò rivedere le scene osservate negli anni tra documentari e dirette realizzate da ragazzi, eterni gaijin, risiedenti nella capitale nipponica, come potrò trasporre le scene lette in “Norwegian Wood” di Murakami nei quartieri meno moderni. “Perfect Days” è sì una storia pop ma in un contesto alternativo, quello che oggi si definirebbe così, più che in passato. Un cinema dedito nel raccontare con delicatezza storie silenziose di esistenze comuni che diversamente verrebbero dimenticate. E come in “The Quiet Girl”, film in lingua gaelica narrante l’Irlanda ultracattolica degli anni ’80, anch’esso candidato agli Oscar come miglior film straniero, “Perfect Days” propone il tema pedagogico e didattico, spingendo lo spettatore alla riflessione. Quando mi si critica sul punto che i film non debbano avere obbligatoriamente un ruolo nell’insegnamento, invito a guardare le nuove generazioni, la bassa qualità dei loro rapporti umani con i coetanei oltre che lo sfibramento del ruolo famigliare. Perché va detto: il cinema come la tv e i social hanno un ruolo tanto nella comunicazione quanto nell’educazione, che si parli di quella civica o quella sentimentale, in assenza di un ruolo famigliare nelle dinamiche individuali come quelle di gruppo. Per questo, “Perfect Days” è quel piccolo gioiello da conservare e proporre come valida alternativa al modello populista, globalista, consumista e transumanista del cinema statunitense.

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