L’aria che tira

A occuparsi di qualcosa l’orrore prevale. Un orrore accantonato, una cenere sommessa, niente baraonde, vivente. Leggi qui per comprendere a che accenno perchè accennare è l’unico modo per dolersi,

https://www.quotidiano.net/cronaca/tra-i-detenuti-in-cura-pochi-bagni-umidita-e-stanze-anguste-soluzione-estrema-e8b9952e

E intanto l’Italia che fa? Prega San Remo ah ben si sa.

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About dascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi della rivista Gli amanti dei libri, diretta da Barbara Bottazzi, sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito
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2 Responses to L’aria che tira

  1. azsumusic's avatar azsumusic says:

    Anni addietro mi capitò di bazzicare una di quelle strutture malmesse come visitatore occasionale. Ricordo una vecchia, con capelli arruffati e sguardo trasfigurato, dedita nel seviziare articoli di riviste televisive con forbici rigorosamente a punta arrotondata. Oltre a lei, c’era un tizio sulla quarantina, dall’aspetto vissuto e piuttosto nevrotico, il quale, negatagli l’ennesima sigaretta, minacciava ai presenti di buttarsi dal terrazzo del primo piano sul lato del giardino. Un altro degli ospiti, con le stesse dimensioni di un bue e il tanfo di chi non si lava da mesi, prometteva l’esecuzione della pena capitale al vicino di letto mostrando, a tutti i presenti, le fattezze disumane delle proprie mani. Mentre nell’ultimo dei locali perlustrati, un quattrocchi sulla cinquantina, alto poco oltre il metro e mezzo, di colorito pallido quasi trasparente, con fare sommesso, osservando alcuni dipinti esposti nel corridoio più esterno all’edificio, cercava invano di confondersi tra i visitatori per guadagnarsi l’uscita e forse la libertà. E tutto questo avvenne, peraltro, in non più di mezzora.

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    • dascola's avatar dascola says:

      Già già ; visite tali mi capitò di doverne fare e di là dal sentimento di costernazione fronte a tante e spesso poco appariscenti sofferenze – ma come soffriva quella donna che a Niguarda mi avvisò di starle lontano, sendo lei il sole ? – la costernazione maggiore fu all’osservare il brutto dell’ambiente brutto. A sofferenza si infligge(va) la sofferenza del brutto, del sudicio, del mal tenuto ( sono passato di recente fuori dalla palazzina dello psichiatrico all’ospedale Sacco costruito con criteri “moderni” credo negli anni 30, più o meno come Niguarda : muri che cadono in pezzi, finestre luride, soglia incrostata di sudicio, ma l’interno del reparto di pneumologia non era meglio messo). E i camici immacolati di medici e infermieri aggravano la sensazione di disagio. Da una parte si osserva che il nostro è un paese trascurato in tutto, alieno al concetto di manutenzione ( apprendo adesso che il moderno carcere di Sollicciano a Firenze è teatro di una class action dei detenuti per non ottemperanza della convenzione per i diritti umani : a non venire mangiati dalle zecche, dai topi, a respirare d’estate e scaldarsi d’inverno). In sintesi sotto sotto sta il concetto di stai punito dell’esercito. Ma mentre nella mia caserma di Remanzacco di Udine (104 btg Genio Torre) la cella di punizione era una cameretta confortevole ( notizia di chi ci era passato), riscaldata come il resto dell’edificio, pulita e che il punito doveva lustrare ogni giorno, altrove è generalizzato il concetto, pare a me, che dove si soffre, carceri e ospedali, occorre aggiungere sofferenza ; bisogna avvalorare con quella umana del buttare via, sommergere, affliggere ( gassare) la punizione divina che come si sa è preposta proprio a buttare via, incenerire sommergere. Del resto mi capita di sentire il livore dei liberi nei loro discorsi circa i detenuti e le loro condizioni ( che riguardano tutti) “poteva pensarci prima adesso zitto” detenuti intesi come scarti, pattume così come lo sono i matti . Quanto agli ospedali “ah io sono andato in clinica nè”. In sintesi.
      p.s. Ho visto in un paio di serie poliziesche scandinave l’interno di una prigione (lascia perdere gli ospedali che sono ville), le celle : computer, televisione, scrivania ikea, doccia e gabinetto. Non è divertente comunque ma non è infame. Poi si dice che lassù pagano le tasse per quello.

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