Servillo e Ficarra e Picone e Servillo e Picone e Ficarra e Servillo e… uno straordinario Abbaglio

Toni Servillo mi pare il più grande attore vivente, beh il più grande è forse esagerazione, diciamo tra i grandi l’uno che sbiadisce e annacqua al suo apparire questi molossi americani che biascicano fuckshitfuck e diventano miliardari o dei cani nostrani che ignorano l’artificio che è il recitare e quindi che ignorano il che cosa vuol dire buttale via di battute che si vogliono e non si vogliono, e che devono andarsene dalle labbra al loro schiudersi nell’articolazione finale. Voce dal sen fuggita/ poi richiamar non vale/non si trattien lo strale/ quando dall’arco uscì. Sai, lui, il Toni alla parola muta e predetta nello scritto, insuffla l’alito della sua dizione perfetta, e la snocciola poi  le parola volendola snocciolare, perché si faccia sentire e intendere da chi ha orecchie per intendere ; c carica l’orologeria della battuta  e la sciorina e imbandisce come solo può un dio di prosodìa e sintassi ;  Servillo è indubbio, ha in sé il verbo che galleggia sulle acque.

Sintìti sintìti sintìti però, ché al magistrato delle parole porta acqua  il duo, perché sono inscindibili nella differenza che li accomuna, Salvo Ficarra e Valentino Picone. Non contare le volte che ho  detto che un film, uno spettacolo lo fanno gli attori,  quindi assumi che i tre fanno un film bellissimo del bravo Roberto Andò. Visto ieri sera solo per vederlo, per curiosità, solo perché l’ho visto maldigerito da alcune critiche col reflusso e da un successo relativo, 3.380.096, al botteghino. Alla facciaccia di chi gli vuole magari male il  gusto del cinema e la sapienza teatrale dell’Andò sono lì da vedere ;  basti il lungo carrello da un interno all’altro di ambienti differenti – un piano sequenza di fatto, come Hitchcock fece in The Rope, raccordando sul nero di quinta – per raccontare la notte di veglia del paese di Sambuca prima del degüello annunciato da parte dei Borbonici. Ficarra e Picone ai danni di questi  improvvisano all’alba una burla da commedia dell’arte  con un magistrale dominio dello straniamento, doppio qui : se i due lo usano e conoscono e agiscono per dote naturale –  noi i tedeschi dobbiamo imparare, so che disse Brecht, ciò che per voi italiani è vostro sangue, la commedia dell’arte, natura fatta cultura – in quella scena di recita all’improvviso  sovrappongono almeno due piani di straniamento, uno in scena riferito all’interlocutore borbonico cui sparigliano le carte, uno fuori scena riferito all’Orsini che, nascosto in agguato e pronto a far fuoco sui nemici, li ascolta i due da lontano e afferra il vero nel falso, il  contrario al palese.

In Lezioni di teatro Brecht scrive : Nel teatro epico (antiimmedesimativo, straniato n.d.r.) lo spettatore dice: Non l’avrei mai pensato – Non è così – È straordinario, difficilmente credibile – Deve finire – Le sofferenze di quest’uomo mi sconvolgono, perché non sono necessarie – Questa è una grande arte; niente di ovvio in esso – rido quando piangono, piango quando ridono. Sicché i due si offrono al Borbone come ostaggi volontari in cambio della vita salva al paese di Sambuca, e così garantiscono al diversivo attuato dalla cosiddetta colonna Orsini  –  Servillo nel ruolo di un nobiluomo palermitano – il successo utile a Garibaldi per conquistare Palermo tagliando il passo alle truppe rege inviate a sua difesa.

Come ogni opera che si rispetti il film ha negli interpreti la sua chiave. Dopo Servillo, ripeto, che già nella sua prima scena inquadra il film,  giganteggia e ti scuote, arrivano a trotto leggero  i due che, dismessa la maschera dei comici dell’arte,  arruolati come Totò in un ruolo difficilissimo di miserabili, cioè di esseri umani –  tu non te li ricordi ma cercati  Sordi e Gassmann ne La grande guerra o Sordi solitario partigiano Magnozzi di uno dei più bei film italiani di sempre, Una vita difficile(1961) e lo stesso Totò ne I due marescialli – recitano il loro ruolo di viltà tenorile in contrappunto cieco al rigo di basso, quello nobile della avventata e difficilissima ventura garibaldina, ma correndo nel montaggio del film  in armonia a quel rigo di basso, come se loro sia noto e vi si adattino. La scena della beffa di cui ho cercato di dire è il punto di sovrapposizione perfetta tra i due righi. Andò sa quello che fa. L’avventura dei Mille è assai ben raccontata : slancio senza mezzi, preparato ma incerto, difficile, non ne avesse Atena assunto la difesa, avrebbe cantato Omero, deviando i proiettili e le baionette ai borbonici. È un film che tocca, tocca  alla fine una certa compiaciuta pavidità di noi azzeccagarbugli di oggi, incapaci in larga misura o nolenti di trasformare la critica in azione, nel Vogliono pane adesso, vogliono case adesso recita l’Orsini Servillo circa le aspettative dei siciliani. A mio modo di vedere, l’opera – ché la colonna musicale cita e ripete accordi di attesa o chiusura del melodramma – ci racconta, dico secondo me,  che lo slancio allora per l’Italia  dovrebbe essere oggi quello per Europa. Chi oggi parla di nazioni, di identità, di popoli, di grandi romanie, di inghilterre agli inglesi, di brianze ai brianzoli, sgrana il lugubre rosario di un passato velenoso, la nera passività dei corvacci di ogni status quo purché ante. Opporvi una critica telematica quanto generica, o le marce per la pace non è bastante.

È vero peraltro che il film si chiude con una goccia di  amaro  siciliano. Dalla voce f.c. di Servillo Orsini apprendiamo che per vent’anni non si è stancato di cercare traccia o memoria dei due eroi di Sambuca. E alla fine li ritrova, nel 1880, li trova per caso a Palermo. Sono due  ricchi imborghesiti, due mezzi Calogero Sedàra che hanno imparato l’arte di  essere cornuti e fetusi : con la ex-suora che ai tempi li aveva aiutati e anche ingannati come loro ingannavano e aiutavano senza metodo, con l’ingenuità dei sopravviventi e un eroismo povero , ora hanno intrapreso un bordello e una bisca clandestina e rapinano i giocatori ricchi spennandoli scientificamente.  Servillo Orsini li sbaraglia obbligandoli a una giocata pulita e, Povera italia è stata un abbaglio… conclude. 

Oggi, stante le cose come stanno, il rischio è di dire Povera Europa è stata un abbaglio, e senza Garibaldi né Orsini. E non deve darsi questo. Io credo che almeno puntarsi oggi al colletto la spilla con le stelle dell’Europa sia l’eguale del tricolore di allora, dei Viva Verdi, dell’azzardo dei Mille. Non basta tuttavia. Dopo Marsala occorre uno sbarco di persone di buona volontà ed entusiasmo, non saprei forse a Bruxelles. Occorre sottrarre l’Europa al ratto dei corvi.  Garibaldi, Orsini, Bixio certo all’orizzonte ‘un c’enno, e vabbè, ma forse non è così necessario che vi siano.Viva l’Europa. 

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About dascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi della rivista Gli amanti dei libri, diretta da Barbara Bottazzi, sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito
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2 Responses to Servillo e Ficarra e Picone e Servillo e Picone e Ficarra e Servillo e… uno straordinario Abbaglio

  1. azsumusic's avatar azsumusic says:

    Serviello e il qui presente hanno una cosa in comune: a loro non piacciono le serie tv. Fine. Lui, Napulè, attore colto, ricorda un po’ De Sica ma pure Gassman, entrambi padri, quegli attori solidi da teatro. Anche Proietti, a cantarla bene. Proietti che ho sempre pensato prendesse spunto dall’enfasi di Totò. Tutti ingombranti, nel senso che si rischia che il film siano loro e non il resto. La prima volta che vidi Jep Gambardella fu quando ai tempi era ispettore in “La ragazza del lago”. Bel cinema con attori presi anche dal posto, alla Mazzacurati. Su questo Abbaglio, ovvio bisognerebbe guardarselo ma l’unico film storico inteso di guerra che mi fece sbavare, eccetto Full Metal Jacket, fu “Le quattro giornate di Napoli”. Roba neorealista da urlo. Poi la Titanus chiuse bottega visti i costi tra questo e i Visconti. Quindi 4 milioncini di revival ben dissezionato sulla storia italiana sono un fallimento grandioso. Sarà costato il doppio. Ma chi se ne frega, infondo c’è la fila dei capolavori che non si è filato manco la madre di chi ci sta dentro. Che noia, la guerra. E’ come guardarsi una tigre che si vuole sbranare una gazzella. Bleah. Splatter. Non fa per me. Poi Ficarra e Picone, tutti a lodarli. Si vede che non ci capisco niente. Forse mi fermo alle apparenze, le loro, da villaggio turistico di cui si vestono da sempre. Per campare. Dico, non li vedo al livello di AGG cioè Aldo Giovanni e Giacomo tantomeno paragonabili a Franco e Ciccio. Carini ma tra Serviello e loro c’è uno spazio ipergalattico. Stonano. Sanno quasi di Maccio Capatonda. Ecco, li li vedrei bene. Italiano medio, Omicidio all’italiana. Trash. Per questa commissione potevano prendere qualcuno che facesse l’attore davvero come uno qualsiasi raccattato nel paesino alla Marci Fonte e fare Roma città aperta Rosellini style piuttosto che qusta marchetta. Perchè la copertina sa di Ocean’s Eleven, è innegabile. Strategia che mi pare non abbia poi così funzionato. 500.000 spettatori per uno pseudocolossal è niente. Peccato, perchè l’idea, la storia, era anche valida.

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    • dascola's avatar dascola says:

      No no no, fermo restando che “de gustibus non est sputazzellam “( Totò, l’imperatore di Capri) da un punto di vista tecnico il trio, scomparso AGG appart..eneva alla fenomenologie di una sorta di comicità antagonista, quella del nord, in reazione a non so quale preponderanza comica centromeridionale. La questione però, a mio avviso un avviso professionale, è che quei tre ( che beninteso agli inizi mi hanno fatto ridere “con le loro battute”) erano come molti dei cabarettisti non degli attori, dei battutari cui era necessaria una scrittura in continuo accumulo di effetti, battuta battuta battuta o smorfia smorfia smorfia. In sintesi coloro però non sono attori, e lo hanno dimostrato nelle recenti uscite al cinema con film sempre peggiori, sempre più imbarazzanti sotto ogni profilo compreso quello della credibilità delle maestranze tecniche. Il gionro più bello non è nemmeno il prodotto di scrittura collaborativa tra una suora scema di Radio Maria (forse una suora scema è più sagace) ma no, diciamo una collaboratrice di Radio Maria, di quelle con la sottana marrone a mezzo polpaccio, cattolico, cioè tubolare, e un nonno lecchese, di quelli che fuori di scuola in pettorina gialla fanno attraversare la strada ai bambini. E loro, AGG, tranne il siciliano, non conoscono né hanno mai imparato i tempi del comico, della recitazione in generale, proprio perché battutari col commento. Il commento prevalica la reazione comica, ovvero la partecipazione del pubblico che sente o non sente il paradosso della situazione. (faccio un esempio : non ricordo il titolo adesso ma c’è in un film la scena in cui Poretti il tracagnotto e l’altro, lo smilzo coi baffi vanno a prendere sotto caso il siciliano, che è in ritardo per il viaggio che devono intraprendere. Sono le cinque di mattina e dalla finestra di casa quest’ultimo replica che, un attimo finisco di mangiare i peperoni e scendo. Purtroppo la battuta che dovrebbe concludere l’episodio con la risata in sale non conclude e viene distrutta, bella o non bella, dal commento dei due lombardi sotto in istrada, 5 di mattina peperoni</em, che è il niente, il voler dire per dire ; il di più che sciupa ; la denuncia del rifiuto del vuoto ; e nel comico come in teatro in generale è levare, svuotare che fa l'arte non aggiungere) In definitiva gente anche spiritosa, vuoi in tavernetta con gli amici e le salamelle alla brace, vuoi le domeniche pomeriggio al cine teatro Don Giussani di Giussano. Erano quella roba lì e non lo sono più perché giustamente sono scomparsi. Quanto a Franchi e Ingrassia invece, il discorso è diseguale. Intanto avevano una netta caratterizzazione da circensi, il bianco e l'augusto, che è anche in Ficarra e Picone e che è di tutte le coppie comiche (una per tutte Laurel and Hardy); poi avevano i tempi che per un attore sono la pasta lievitante di base. Potevano non piacere certo che sì. Io non ho visto "Ultimo tango a Zagarolo" e me ne dispiaccio ma ho visto "Amarcord" con Ingrassia folle erotomane. È da manuale quanto a misura e sapienza attorale. Poi ripeto de gustibus. C'è peraltro a chi non piace Totò e nemmeno Woody Allen. Non sa che cosa si perde.
      p.s. in un passato remoto fui incaricato di riesumare e dirigere un locale di cabaret a Milano, il Refettorio ( fortunatamente scomparso sul nascere). Mi si presentarono colonne di aspiranti cabarettari cui, a un certo punto, con il collega Caleffi tentammo di dare una quadratura attorale.Invano. Tutti, tranne uno forse, uno che faceva il mago buffo (ha spopolato in tv) e una coppia bravina ( anche loro, li ricorderai uno faceva il tossico alle corse di F1) non ricordo più i nomi mi spiace, tutti inseguivano la battuta e il commento alla battuta, sbagliando ma non c’era verso vedevano solo televisione, di teatro ignoravano e volevano ignorare tutto e quindi… nuddi ammiscati cu’ nnenti. Anche con Le sorelle Sisters mi trovai, richiesto di dar loro la stessa quadratura, mi trovai nelle medesime condizioni. Una di loro rompeva le scatole, annullava qualsiasi effetto comico volendo fare battute e commenti alle battute delle altre. Il trio dopo un successo in televisione si sciolse e solo una di loro, l’unica attrice di teatro, la mia amica Pia Ottokian, continua tuttora la stentata carriera dell’attrice, benché con esiti positivi.

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