Missili in giardino

Chi mi legge sempre e che lascia direi con determinazione like sistematici a quanto pubblico, sappia che gli sono grato. Lo dicho, Missili in giardino, fu il titolo di un film abbastanza noto di Leo Mc Carey, una commedia da guerra fredda, del 1958, con Paul Newman e Joan Collins &…(↑). Lì, nel film la questione era che l’esercito voleva installare una base di lancio missili in una cittadina americana, Putnam, molto contraria a ‘stu fatto. C’è la solita divisione di parti tra buoni e cattivi e alla fine i buoni liquidano lo scemo comandante la base, sparandolo via con uno dei suoi missili. Missili in giardino è anche la parabola biblica che si sròtola in queste ore. Pare che Iran e Israele ne abbiano, magari non da vendere, ma tanti. Quieto. Non sta per scendere una pioggerellina pacifista. Al contrario. Pubblico queste righe per proporre una tesi per provare la quale non ho elementi se non l’osservazione e l’ascolto. Ma mi piacerebbe che qualcuno che legga dicesse la sua. Così tanto per fare. Allora la tesi è questa.

Il governo di Israele, ometto gli aggettivi qualificativi perché è inutile, questo governo di Israele è, sotto gli occhi di tutti, un governo che è stato messo lì e non per caso, ma perché occorreva un governo che facesse il lavoro sporco nel modo più sporco e pauroso, terrificante possibile. Il tutto in salsa talmudica. Il 7 ottobre per Israele mi pare sia stata ( congiuntivo) l’occasione, ben confezionata e che altrimenti gli mancava, per liquidare, direi per sempre la questione palestinese. Sicché, mi domando se e rispondo che il 7 ottobre è stata una grande concertazione d’ingegni a tavola, tra datteri, banane e tazze di tè, proprio tra Israele e i confinanti. Consapevoli che nulla avrebbe messo in sicurezza il quadrante mediorientale e i suoi molteplici orizzonti di profitto, che nulla avrebbe mai fermato né Hamas né Hezbollah, se non una : soluzione finale. Poiché anche quelle entità si fondano sulla guerra. In Israele avendone memoria storica, il concetto di Endlösung der Judenfrage (→) è chiaro, è evidente e, sulla pelle degli antenati, è loro chiara la prassi esecutiva. E mai termine, esecutivo, sarebbe più adatto. Mi pare che la soluzione sia stata concepita e attuata con pazienza e metodo, ma non da adesso, da almeno una decina di anni. Forse da più tempo. La banda, pardon me, di B. Netanyahu, detto Bibi  è stata messa lì, voluta, eletta e da anni con questo compito : mettere fine a una quaestio vexata ben oltre la possibilità di un suo scioglimento dialettico. Il compito lo sta eseguendo bene. Nel quadro dei fatti in corso, mi pare evidente che limitarsi adesso a sistemare la partita solo sul mediterraneo con la terminazione dei palestinesi ( è chiaro che occorre ammazzarne ancora un bel po’, magari tutti con un po’ di pazienza, per piegarli del tutto), l’annessione definitiva di tutta la Cisgiordania e di Gaza ovviamente ( con l’enorme opportunità immobiliaristica che a Trump è subito saltata all’occhio) e la messa in riga del Libano, ma non ne escluderei l’annessione, mi pare che limitarsi è impossibile e inopportuno. E ovvio che occorre far fuori, rendere quantomeno innocuo l’Iran. Non credo pertanto, non credo che, al punto in cui sono arrivati, in Israele pensino di fermare questa scaramuccia. Né che sarebbe furbo farlo. Mi pare ovvio, non sono un militare, ma mi pare che lo scopo delle guerre, quando sono ben condotte, è quello di annichilire l’avversario. Del resto è anche quello che insegna la Bibbia. In conclusione mi pare con ciò che, mettici magari l’annessione del Libano, Israele si sta rifacendo il make up come grande potenza imperialista del quadrante, grande proprio anche in estensione, e con la benedizione dei petrolieri mandanti, credo, di tutto questo ridisegnare la carta geografica. Con la Siria silente e western oriented, magari con moderazione. Con l’Iran silenziato.( si noti che Israele ha infiltrato con grande abilità la Repubblica). L’Iraq come espressione geografica. La Turchia? La Turchia fa affari, droni e serie Netflix. Ribadisco che tutto questo lo dico come ipotesi, senza sostegno probatorio ma suggestionato dai fatti. Scusami se ti ho seccato con ‘ste cose e mi scuso anche per aver osato tanto con chi, casomai capitasse da queste parti, per cognizione di causa e sapienza politica potrebbe trovare tutto quanto detto, una sciocca sciocchezza. Amen e arrivederci ma ma ma ma…

a corollario e in coda a tutto ciò, dopo averla ascoltata, suggerisco di Vera Gheno, ne Il Post, la puntata odierna del podcast Amare Parole,

https://gift.ilpost.it/free-gift-1750599761-01d8e7be5adc4e2eb2237d4611aff271

https://www.france24.com/en/video/20250610-greta-thunberg-speaks-to-france-24-after-her-deportation-from-israel

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Aliens per dritto o per rovescio

Copio qui l’incipit del fondo di Luca Sofri in Wittgenstein da Il Post di oggi. 

I due uomini più potenti del mondo si stanno prendendo a pesci in faccia, pubblicamente, da imbecilli quali sono: e se mi sta leggendo qualcuno di quelli che ritengono che il “successo” dell’uno o dell’altro contraddica la definizione di imbecille – lo so, ci sono – beh, sto scrivendo proprio per dimostrare il contrario. Anche se basterebbe quello che è successo nelle ultime 24 ore: l’intelligenza è quella cosa che ti fa evitare figure da cretino in pubblico o ti fa evitare di fare cose che ti danneggeranno o ti fa evitare di fare cose che danneggeranno le persone che vuoi tutelare. Se quello che fai invece ottiene tutte e tre queste cose, la tua intelligenza è fortemente messa in dubbio, per usare un eufemismo. Hai voglia a inventare razzi missile.

Quindi la mia tesi di partenza è che abbiamo costruito un mondo in cui le due persone più potenti (due uomini) sono degli imbecilli. E in cui la poca intelligenza non è più un limite per ottenere quel genere di “successo”: anzi, è probabilmente un fattore prezioso. Vale in generale per le classi dirigenti politiche ed economiche – come in questo caso – ma vale per la “qualità” di quasi tutto quello che ci circonda. Quello che chiamiamo il “populismo”, con molti abusi del termine, è in sostanza la tautologia per cui quello che viene premiato dalle maggioranze sia per definizione di qualità migliore. Tautologia falsa perché manca di un presupposto fondamentale: la capacità di giudizio delle maggioranze. Che, come sappiamo dai tempi di Barabba, devono essere fornite di informazioni e conoscenza per fare le scelte migliori (parlo in terza persona, ma le maggioranze siamo tutti noi, in un caso o nell’altro): quando invece, come è successo in questi decenni, un combinato disposto di propaganda interessata e innovazioni tecnologiche ci spinge nella direzione di una maggiore ignoranza, il contemporaneo accesso a maggiori poteri di scelta genera mostri, non “maggiore democrazia”.

Magari pensi che il Sofri non sempre è di agile lettura. Tuttavia ti invito a leggere per intero questo Wittgenstein di oggi dove il Sofri parte da premesse valide : che l’imbecillità è condizione per avere successo. Questo dato mi pare darwinianamente incontrovertibile. Sono i peggiori ad essere i meglio attrezzati a sopravvivere. Dicendo peggiori, se vuoi noi instauriamo un giudizio di tipo etico (chiamiamolo così anche se non sono sicuro che il termine sia azzeccato, passamelo per passabile please) su enti o soggetti che la natura non giudica, mette solo in mostra, prendi i virus e le carogne, guarda gli Alien del film : sono i tipi naturali di soggetti adatti alla sopravvivenza perché i più adatti a sbaragliare, anche da fermi. E questa mi pare un’evidenza difficile da contestare come tale. Dove il discorso di Sofri si perde un po’, volendo fare egli il sociologo tu dici, è là dove estende questa osservazione, chiamiamola di nuovo darwiniana, all’ambito della domanda e dell’offerta. Lì mi pare deragli. In realtà si va all’Esselunga ( ma anche no, perché è cara) perché il fruttarolo di quartiere è una gioielleria e pochissimi possono permettersi li zucchini a 12 euro ( io per esempio ho rinunciato ma da ‘mo a favorire il piccolo commercio ed ewiva ewiva il Lidl (so deutsch und schwer) e l’Iperal) . Per le ciliegie il discorso è altro, non si possono comprare e punto ; e questo punto si insinua un dato spaventoso. Dicendo che l’essere imbecilli è condizione di successo, si viene a dire che è l’imbecille a essere scelto ma non dalla natura, dall’elettorato per esempio. Quello che Sofri chiama mercato. Il discorso si sposta con agilità al fare la spesa. Tu gira gira per i ranghi del super e vedi la gente che compra per quantità : pacchi di fanta, pacchi di mineralacqua anche quando dall’acquedotto sgorga chiara e fresca ; confezioni di kinder bueno ; chili di macinata di manzo ; chili di buitoni ; verdura e frutta senza cognizione delle stagioni e dei meridiani. Io dico sempre che un giro al super è visitare il girone dei suicidi. È inferibile che con lo stesso criterio, ovvero assenza o rinuncia al/di-, tutto venga scelto dal pubblico democraticamente al peggio. Libri, chi li legge, abiti, musica vabbè ( guarda il successo di Taylor Swift) e adesso udite-udito si fa strada l’intelligenza artificiale a visitare le masse e gratificarle con una collana di perle che loro non sta al collo. Ecco che qui all’autocommiserarsi dicendo di sé che tutti siamo massa, bè no, non ci sto. Ho qualche pretesa di cercare di circondarmi dei meglio mobili di famiglia anche a costo di non fare una gran bella figura tra quelli. Alla presenza di Saramgo mi inchino e taccio. Scrivo a te perché mi sento migliorato dalla tua presenza in ascolto e dalla tue osservazioni quando arrivano. La dialettica aiuta, il confronto pure, anche quando attua una sottrazione. Vabbè. Ci ho messo una vita a educare il mio gusto, là dove le masse no, se ne fottono. Quanti hai sentito dire che eh gli italiani siamo tutti artisti tutti leonardodavinci mica i francesi, rispondimi tu quanti. Qui si deduce che alle masse piace essere tali. Cioè merce di inganno. E qui si introduce si introduce lestamente, invece della calunnia il sospetto che tutte le politiche, tutti gli sforzi politici, da una parte siano serviti ma a nulla o a poco. E che al contrario, siano stati artati strumenti di diseducazione, con l’inganno, travestiti che ballano. In sintesi, prendi il PCI ; il risultato di parlare per anni e anni alle masse, non educandole, ma instillando in loro il concetto che erano perfette così che loro era il sol dell’avvenire… eccolo qui il risultato : Pichetto Frattin. E non è un paradosso. Amen

P.s. In anni orribili, Paolo Grassi osò affermare che i sindacati cercavano l’eguaglianza ossia il livellamento al basso. E disse tutto, lui socialista di sempre, lui che leggeva Brecht in tedesco, sotto le bombe tedesche.

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L’ElzeMìro di Martedì 27 Maggio

Mille+Infinito-La via del tiranno

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BAMANTI
Desideria Guicciardini-L’Elzemiro alla sua tastiera

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Solo sí es sí

Segnalo questo link https://www.ilpost.it/podcasts/amare-parole/ep-106-qualche-spiegazione-sui-referendum-dell8-e-9-giugno/ . Il link, temo funzioni solo per le persone abbonate al Post. Queste ultime però, magari, non ascoltano Vera ; e in questo caso consiglio  loro di farlo. Chi abbonata non è, potrebbe prendere in considerazione di abbonarsi. È la puntata di ieri di Amare Parole, podcast  della linguista Vera Gheno che seguo per motivi ovvi. Qui sotto, ho copiato il logo con il riassunto e la scaletta della puntata stessa. I link inseriti funzionano. È questo in ogni modo, un tentativo per fare un poco di propaganda al referendum che il governo  svaluta, invita a non frequentare e nasconde, appunto in un calderone di parole. Ascoltare per credere e diffondere. È un atto di Resistenza

Ep. 106 – Qualche spiegazione sui referendum dell’8 e del 9 giugno

di Vera Gheno
episode

L’8 e il 9 giugno potremo andare a votare per cinque quesiti referendari, quattro sul lavoro e uno sulla diminuzione degli anni necessari per chiedere la cittadinanza italiana. Analizziamoli insieme, giacché il testo dei quesiti non è facilissimo da capire. E poi, dato che il governo fa campagna per l’astensione, è proprio il caso di parlarne, e magari di recarci al seggio. La parola della settimana è sguerguenza.

Non è una novità che un governo inviti ad astenersi a un referendum, il Post
Guida ai referendum dell’8 e 9 giugno, il Post
– Roberta Covelli, Tutto quello che c’è da sapere sui quesiti sul lavoro per i referendum dell’8 e del 9 giugno
I quesiti sulla Gazzetta Ufficiale
Calvino e l’antilingua

A corollario e per comodità dei miei visitatori aggiungo il testo di Italo Calvino citato da Gheno. Alzi una mano chi a tutt’oggi non solo è alle prese con l’antilingua, e che non ha scoperto che c’è un’antilingua per ogni ambito : nella scuola, lo scolastichese – ah la meraviglia delle proposte al consiglio accademico – ; e via via, il sindacalese, su fino al ‘gnurantiàno, ovvero la lingua di chi, per ragioni antropologiche, tutte italiane io credo, non saprebbe scrivere all’amministratore di condominio una mail così concepita : gentile, per sua comodità, in allegato la ricevuta del bonifico a saldo delle spese condominiali di quest’anno xx/xx Cordialmente. Peppo Stornello. 

L’antilingua Il Giorno” | 3 febbraio 1965 Di Italo Calvino

Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L’interrogato, seduto davanti a lui, risponde alle domande un po’ balbettando, ma attento a dire tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo: “Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per bermelo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassinata”. Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: «Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara d’essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di aver effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante». Ogni giorno, soprattutto da cent’anni a questa parte, per un processo ormai automatico, centinaia di migliaia di nostri concittadini traducono mentalmente con la velocità di macchine elettroniche la lingua italiana in un’antilingua inesistente. Avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli d’amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali scrivono parlano pensano nell’antilingua. Caratteristica principale dell’antilingua è quella che definirei il «terrore semantico», cioè la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato, come se «fiasco» «stufa» «carbone» fossero parole oscene, come se «andare» «trovare» «sapere» indicassero azioni turpi. Nell’antilingua i significati sono costantemente allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli che di per se stessi non vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente. Abbiamo una linea esilissima, composta da nomi legati da preposizioni, da una copula o da pochi verbi svuotati della loto forza, come ben dice Pietro Citati che di questo fenomeno ha dato un’efficace descrizione. Chi parla l’antilingua ha sempre paura di mostrare familiarità e interesse per le cose di cui parla, crede di dover sottintendere: «io parlo di queste cose per caso, ma la mia «funzione» è ben più in alto delle cose che dico e che faccio, la mia «funzione» è più in alto di tutto, anche di me stesso ». La motivazione psicologica dell’antilingua è la mancanza d’un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l’odio per se stessi. La lingua invece vive solo d’un rapporto con la vita che diventa comunicazione, d’una pienezza esistenziale che diventa espressione. Perciò dove trionfa l’antilingua – l’italiano di chi non sa dire ho «fatto», ma deve dire «ho effettuato» – la lingua viene uccisa. (…)

By the way. Nella mia antologia delle medie, quindi sessantadue anni fa, lessi un raccontino che mi è rimasto impresso ; per quanto scarso, mi pare ad oggi emblematico; e ciascuno tra poco giudichi  di che cosa, come meglio crede. Il raccontino, forse estratto da un giornale, ah non so proprio ridire di chi fosse ; forse forse di Gaetano Afeltra. Fosse di chi fosse, nessuna ricerca però, mi ha mai permesso di rintracciarlo. Perciò lo riassumo : c’entra con l’antropologia.

Un giovane emigrato da qualche parte d’italia trova alloggio dalle parti di corso venezia a milano. Allora una stanza costava pochi baiocchi, oggi non solo non trovi una stanza ma se sì, trovi un miniappartamento di 16 metri quadrati a duemilacinquecento euro al mese. Bon, il giovine non ha una lira e lavora in un giornale, evidentemente come tirapiedi – aproposito di jobs act –. Sfruttamento passato per praticantato al, metti al corriere di informazione. A parte questo, il giovane poveraccio è in corrispondenza con un giovane inglese. Gli serve per impratichirsi nella lingua e credo soprattutto per sognare. Nel corso dello scambio epistolare, a un certo punto il giovane inglese invia una foto al giovane italiano : una foto di sé stesso, in un bella tenuta sportiva inglese, da estate, seduto in un bel giardino inglese davanti a una mansion fastosa che nella foto è segnata a penna con un succinto home. Chissà perché l’italiano si sente in dovere di contraccambiare l’invio con una analoga cartolina. Indossa dunque l’unico abito che possiede, un quattro stagioni da lavoro, giacca cravatta e cappello. Va ai vicini giardini di via Palestro e, da un fotografo ambulante, un tempo c’erano, si fa riprendere in posa gagliarda con lo sfondo dell’enorme palazzo del museo di storia naturale e una racchetta da tennis in mano, racchetta utilizzate si vedrà in modo inusuale. Non osa scrivere sulla fotografia home ma conta di fare una figura non inferiore a quella del suo pen pal. Pen pal che out of the blue, un bel giorno telegrafa dalla svizzera che sta arrivando a milano, e allora quale migliore occasione ecc ecc. Già, ma dove ricevere l’ospite e come, si domanda il giovane povero. Al museo è escluso. In casa, una stanza con il bagno collettivo nel corridoio, un lavandino, un ripiano di marmo, la racchetta da tennis appesa a un chiodo, e un comodino che in segreto custodisce un fornello a spirito e una pentola, ah, no, come, quando, se : impossibile. E allora. Allora il racconto finiva con l’agnitio : alle strette e senza alternative, il piccolo italiano invita nella sua stanza l’inglese, deve ammettere la realtà e il racconto finisce con una spaghettata colata dalla pentola sulla racchetta da tennis. È poco. Ma non tanto, poco.

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L’ElzeMìro di Martedì 13 Maggio

Mille+Infinito-L’antenato

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Servillo e Ficarra e Picone e Servillo e Picone e Ficarra e Servillo e… uno straordinario Abbaglio

Toni Servillo mi pare il più grande attore vivente, beh il più grande è forse esagerazione, diciamo tra i grandi l’uno che sbiadisce e annacqua al suo apparire questi molossi americani che biascicano fuckshitfuck e diventano miliardari o dei cani nostrani che ignorano l’artificio che è il recitare e quindi che ignorano il che cosa vuol dire buttale via di battute che si vogliono e non si vogliono, e che devono andarsene dalle labbra al loro schiudersi nell’articolazione finale. Voce dal sen fuggita/ poi richiamar non vale/non si trattien lo strale/ quando dall’arco uscì. Sai, lui, il Toni alla parola muta e predetta nello scritto, insuffla l’alito della sua dizione perfetta, e la snocciola poi  le parola volendola snocciolare, perché si faccia sentire e intendere da chi ha orecchie per intendere ; c carica l’orologeria della battuta  e la sciorina e imbandisce come solo può un dio di prosodìa e sintassi ;  Servillo è indubbio, ha in sé il verbo che galleggia sulle acque.

Sintìti sintìti sintìti però, ché al magistrato delle parole porta acqua  il duo, perché sono inscindibili nella differenza che li accomuna, Salvo Ficarra e Valentino Picone. Non contare le volte che ho  detto che un film, uno spettacolo lo fanno gli attori,  quindi assumi che i tre fanno un film bellissimo del bravo Roberto Andò. Visto ieri sera solo per vederlo, per curiosità, solo perché l’ho visto maldigerito da alcune critiche col reflusso e da un successo relativo, 3.380.096, al botteghino. Alla facciaccia di chi gli vuole magari male il  gusto del cinema e la sapienza teatrale dell’Andò sono lì da vedere ;  basti il lungo carrello da un interno all’altro di ambienti differenti – un piano sequenza di fatto, come Hitchcock fece in The Rope, raccordando sul nero di quinta – per raccontare la notte di veglia del paese di Sambuca prima del degüello annunciato da parte dei Borbonici. Ficarra e Picone ai danni di questi  improvvisano all’alba una burla da commedia dell’arte  con un magistrale dominio dello straniamento, doppio qui : se i due lo usano e conoscono e agiscono per dote naturale –  noi i tedeschi dobbiamo imparare, so che disse Brecht, ciò che per voi italiani è vostro sangue, la commedia dell’arte, natura fatta cultura – in quella scena di recita all’improvviso  sovrappongono almeno due piani di straniamento, uno in scena riferito all’interlocutore borbonico cui sparigliano le carte, uno fuori scena riferito all’Orsini che, nascosto in agguato e pronto a far fuoco sui nemici, li ascolta i due da lontano e afferra il vero nel falso, il  contrario al palese.

In Lezioni di teatro Brecht scrive : Nel teatro epico (antiimmedesimativo, straniato n.d.r.) lo spettatore dice: Non l’avrei mai pensato – Non è così – È straordinario, difficilmente credibile – Deve finire – Le sofferenze di quest’uomo mi sconvolgono, perché non sono necessarie – Questa è una grande arte; niente di ovvio in esso – rido quando piangono, piango quando ridono. Sicché i due si offrono al Borbone come ostaggi volontari in cambio della vita salva al paese di Sambuca, e così garantiscono al diversivo attuato dalla cosiddetta colonna Orsini  –  Servillo nel ruolo di un nobiluomo palermitano – il successo utile a Garibaldi per conquistare Palermo tagliando il passo alle truppe rege inviate a sua difesa.

Come ogni opera che si rispetti il film ha negli interpreti la sua chiave. Dopo Servillo, ripeto, che già nella sua prima scena inquadra il film,  giganteggia e ti scuote, arrivano a trotto leggero  i due che, dismessa la maschera dei comici dell’arte,  arruolati come Totò in un ruolo difficilissimo di miserabili, cioè di esseri umani –  tu non te li ricordi ma cercati  Sordi e Gassmann ne La grande guerra o Sordi solitario partigiano Magnozzi di uno dei più bei film italiani di sempre, Una vita difficile(1961) e lo stesso Totò ne I due marescialli – recitano il loro ruolo di viltà tenorile in contrappunto cieco al rigo di basso, quello nobile della avventata e difficilissima ventura garibaldina, ma correndo nel montaggio del film  in armonia a quel rigo di basso, come se loro sia noto e vi si adattino. La scena della beffa di cui ho cercato di dire è il punto di sovrapposizione perfetta tra i due righi. Andò sa quello che fa. L’avventura dei Mille è assai ben raccontata : slancio senza mezzi, preparato ma incerto, difficile, non ne avesse Atena assunto la difesa, avrebbe cantato Omero, deviando i proiettili e le baionette ai borbonici. È un film che tocca, tocca  alla fine una certa compiaciuta pavidità di noi azzeccagarbugli di oggi, incapaci in larga misura o nolenti di trasformare la critica in azione, nel Vogliono pane adesso, vogliono case adesso recita l’Orsini Servillo circa le aspettative dei siciliani. A mio modo di vedere, l’opera – ché la colonna musicale cita e ripete accordi di attesa o chiusura del melodramma – ci racconta, dico secondo me,  che lo slancio allora per l’Italia  dovrebbe essere oggi quello per Europa. Chi oggi parla di nazioni, di identità, di popoli, di grandi romanie, di inghilterre agli inglesi, di brianze ai brianzoli, sgrana il lugubre rosario di un passato velenoso, la nera passività dei corvacci di ogni status quo purché ante. Opporvi una critica telematica quanto generica, o le marce per la pace non è bastante.

È vero peraltro che il film si chiude con una goccia di  amaro  siciliano. Dalla voce f.c. di Servillo Orsini apprendiamo che per vent’anni non si è stancato di cercare traccia o memoria dei due eroi di Sambuca. E alla fine li ritrova, nel 1880, li trova per caso a Palermo. Sono due  ricchi imborghesiti, due mezzi Calogero Sedàra che hanno imparato l’arte di  essere cornuti e fetusi : con la ex-suora che ai tempi li aveva aiutati e anche ingannati come loro ingannavano e aiutavano senza metodo, con l’ingenuità dei sopravviventi e un eroismo povero , ora hanno intrapreso un bordello e una bisca clandestina e rapinano i giocatori ricchi spennandoli scientificamente.  Servillo Orsini li sbaraglia obbligandoli a una giocata pulita e, Povera italia è stata un abbaglio… conclude. 

Oggi, stante le cose come stanno, il rischio è di dire Povera Europa è stata un abbaglio, e senza Garibaldi né Orsini. E non deve darsi questo. Io credo che almeno puntarsi oggi al colletto la spilla con le stelle dell’Europa sia l’eguale del tricolore di allora, dei Viva Verdi, dell’azzardo dei Mille. Non basta tuttavia. Dopo Marsala occorre uno sbarco di persone di buona volontà ed entusiasmo, non saprei forse a Bruxelles. Occorre sottrarre l’Europa al ratto dei corvi.  Garibaldi, Orsini, Bixio certo all’orizzonte ‘un c’enno, e vabbè, ma forse non è così necessario che vi siano.Viva l’Europa. 

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L’ElzeMìro di Martedì 29 Aprile

Mille+Infinito-Strofa e ritornello

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Lettera aperta al Post

24 aprile 2025

Francesco Costa, Direttore e redazione 

e p.c. Luca Sofri

e p.c Michele Serra

Francesco carissimo, 

bon, non dubito che tu abbia altro cui pensare però, leggo oggi l’articolo della Fasani su scuola e Resistenza – vedi come sono antico ancora la maiuscola – e dovendomi trovare una cosa inutile da fare ti scrivo il mio sconforto. 

Preciso che sono cresciuto a pane partigiano integrale, figlio di un resistente della primissima ora, ateo, mio padre che fu espulso da tutte le scuole del regno a tredici anni dopo avere subito un pestaggio. Sicché figurati ogni 25 aprile, nonostante il papà non amasse la labarologìa resistenziale, soprattuto dei partigiani del 30 aprile, lui poi che la sua medaglia d’argento al valore aveva rifiutato figurati, bè o si andava da amici a ricordare e quello che era stato a Mauthausen, e quell’altro che aveva combattuto in Francia nei Maquis o gli amici venivano da noi ed era occasione più che altro per far lavorare le mamme in cucina, sfumazzando e ciarlando esse mentre gli uomini apparecchiavano e stappavano bottiglie, sfumazzando e ciarlando essi. Un po’ di parità c’era. Vabbuò. 

Allora avanzo una minima proposta : che il 25 aprile venga depennato dal calendario ; che si passi dal 24 al 26 oppure che si sospenda tout court la celebrazione. Ti dico, se a ottant’anni di distanza siamo ancora qui a domandarci come raccontare a scuola la data e i fatti che la data celebrano e che a quella data portarono, vuol dire una sola cosa : che il 25 aprile non esiste nel dna degli italiani e, in generale, che non si conosce la storia del proprio paese e dubito del mondo intero : tutti americani. Tu dirai, bella scoperta. 

No, non è una bella scoperta, siccome sono un dinosauro ricordo i venticinquaprili di me bambino quando i preti di ogni origine e grado facevano coincidere la ricorrenza con le prime comunioni e allora, sì, accanto agli operai al comizio da vederle le torme di mamme con borsetta d’ordinanza e bambini impomatati e bimbe come caricature di spose in direzione parrocchia. Per quei bambini che oggi hanno più o meno qualche nipote il 25 aprile è la data della loro prima comunione. Bella lì. Sobrietà.

Non sto qui a menare il torrone di come in Italia si studi la storia. Non lo so. Ma immagino che sia come ai miei tempi. Caporetto e 4 novembre. Gli eventi del dopo da succhiare ancora surgelati in una pratica confezione da asporto con dentro tutto, un po’ di Auschwitz, un po’ di seconda guerra, un po’ di sbarco in Normandia, un po’ ma poco di Mussolino, il brigante, sulle cui disgrazie costruì le sue fortune larga parte della borghesia imprenditoriale italica, cioè lombarda, del prima e del dopoguerra, sai la brianzoleria con il breitschwanz stile Capitale umano che sono così oggi come allora, e della DC e dei reduci della RSI fino alla Marescialla qui di oggidì. A tutti questi, il 25 aprile figurati : se c’è neve vado su a Curma(yeur). Su tutto ciò grava appunto l’ombra di Togliatti che quelli della RSI sdoganò con un pardon, che non volle i processi e la sfascistizzazione.

Quindi  sai che faccio, stamattina che mi sono svegliato, mi metto la spilla coi colori dell’Europa che non c’è e vado a far colazione in un bar qui dove so che il proprietario si è indignato per i cinque gg di aveverum in concomitanza col, aspetta che non ricordo bene, sarà l’età, ah sì il 25 aprile. Ora ricordo, adunque buon 25 apriles Post. E a capo.

Affettuosi saluti a te e a tutta la redazione. 

P.E.G.D’Ascola pad8@icloud.com

Mi pare più utile che doveroso segnalare a chi passasse di qui a leggere che, ne Il Post è pubblicato un podcast magnifico, Una mattina, 5 puntate scritte e condotte da Luca Misculìn e interpretate da un bel numero di redattori del Post. A tutti e a Luca un bravi bravissimi. 

https://www.ilpost.it/podcasts/una-mattina/1-i-giorni-in-cui-inizio-tutto/

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La battaglia di San Romano

Giovedì 17 aprile. Siamo stati di nuovo a visitare gli Uffizi. Era qualche anno che non ci s’andava, Desideria la di me signora e me stesso. Considera il prezzo dell’ingresso, 29 euro, riduzioni per pensionati zero. Si sa che l’arte è un lusso, è incontrovertibile e va pagata come tale, lo stesso però mi pare checchazzo : du’ baiocchi di sconto, almeno per quei pensionati acculturati che di pensione vivono, potrebbero concederli, gli Uffizi. Che sono speciali e allora vabbè andarci è un dovere. Non che manchino le quadrerie in Italia, pensa a Urbino, uàu, se vuoi Brera, Parigi, Vienna ahpperò, e nel resto del mondo. Escludo dalla conta quelle americane. A un naso europeo infatti, di noi buoni per una soluzione finale, da parasites cioè, come ci è stato ricordato di recente dalla coppia più brutta del mondo, i Trusk, le due gallerie, belle non discuto la National di Washington e la Metropolitan di NY, che ebbi modo di visitare avevano, 1976, e hanno oggi nel ricordo l’intollerabile poetica dell’eccesso, della boutique burlesque, ogni capo col suo cartellino del prezzo. O forse nemmeno : il prezzo è così alto che si dà per scontato che nessuno lo chiederà, nemmeno alla cassa dove basterà dire Vanderbilt e il conto arriverà  dritto per mail al commercialista. Così immagino che vivano gli abitanti di Nolita a Megalopolis. Quelle esposizioni, hanno l’odore, delle dame di tutti i generi, dalla elle alla q alla di più, ma tutte del lusso appunto, che si adornino di Pollaioli e Beati Angelici come si fa con un Dior e un paio di Louboutin. Ovvie le mutande di Victoria’s secrets. Et merde alors.

Ma gli Uffizi. Pènsane quello che vuoi ma questa raccolta fiorentina mi pare oggettivamente unica in quanto esposizione totalizzante di tutta l’arte che in Italia, in buona misura a Firenze, si è fatta. Visitare tutto quel monumento nazionale è impossibile, ci passi, sniffi qua e là ma prima di cascare nell’abuso di stupefacenti. Se si ha l’accortezza di decidere in anticipo che ci si limiterà a un consumo personale, selettivo delle opere, se ne esce scossi ma ancora vigili, reattivi e collaborativi, e in uno stato di gioia raccolto, pensoso e segreto che, bada, non è euforia. Dunque ti dico di tre cose che mi hanno colpito come altrettante frecce. In primissi : La battaglia di San Romano, di Paolo Uccello, che mi sta a cuore da tantissimo tempo ma, sai com’è quando vedi e rivedi dei capolavori, capita che o ti deludano perché ti rendi conto di avere nel tempo intromesso tra te e un’opera ridondanti lenti di magnificazione, lenti di fabbricazione mentale, specialità del narciso che nell’osservare proietta sulle cose una luce di compiacimento ; l’arte peraltro se è tale, tutta l’arte ti trafigge a seconda del momento in cui ti trovi. In secundissi la quadreria dei ritratti giù al primo piano e in terzissi la Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi. E lì proprio la trafittura è il motivo del quadro. 

La battaglia di San Romano di Paolo Uccello, avviene in un momento in cui l’arte musicale è ancora lì a organizzarsi, sicché Paolo dipingendo suona, ovvero, all’osservarla nei particolari  al meglio delle possibilità del mio occhio di Watson, la campitura della battaglia mi ha rimandato al termine partitura. Dipinge musica Paolo : guardo e vi catturo il frastuono metallico del cozzo, tra il De Pero e l’intonarumori di Russolo, ah bè è molto forte, stride, e puzza l’odore del sudatizzo e del sudicio, feci persino, e di sangue spruzzato sulle lamiere. Uscendo a malincuore dalla sala dove volendo avrei già chiuso la mia visita per eccesso di segnale, bon mi sono tuttavia domandato ancora una volta la domanda cretina : come è stato possibile, da dove arrivò tanta sapienza, trascura pure la tecnica perché la tecnica è solo il presupposto, una astrazione che si incarna nell’artista, assume le sue mani, come, a mio avviso nevvéro, come l’ovulo lo spermio, e occorre adattarla alla rivelazione che di sé fa la composizione prima che  la si traduca in gesto. Beninteso : la stessa interrogazione te la rivolge una discreta maggioranza delle opere rinascimentali esposte o di cui hai memoria, ma di nuovo : come è stato possibile. Una parziale risposta è arrivata un paio di ore dopo nella galleria dei ritratti. Prima però un’associazione mi è brillata in capo tra la sanromana e le partiture di Sylvano Bussotti, fiorentino di nascita e inclinazioni, capisca chi può, partiture irte di segni grafici, rimandi pittorici di lui il sylvestre, pittore di musica pittrice. Paolo Uccello non so se lo fosse, musicista dico, ma quella tela procede ripeto come una partitura. Le lance di sinistra, le fiorentine vincitrici con in vetta il loro campione Niccolò da Tolentino si rincorrono come in una fuga di tutti i violini, primi e secondi, precipitano verso il tema della scena, lo scavallamento del campione senese Bernardino della Carda, lì dove affondano tra timpani e grancassa di cavalli, e teste e zoccoli e viole e celli. Le aste senesi,  svettano sì ma in resta, ferme, vinte arcate di contrabbassi. L’asta del da Tolentino dritta come un a solo di tromba. In alto a sinistra lance di chissà forse una riserva di fanti che procedono per moto contrario a quelle del primo piano : biscrome puntate di trombini in Si♭, che ne annunciano il passo. Roba da Rossini. È un quadro non bello, bensì bellissimo e di più ; si sa peraltro realizzato in tre sezioni, la seconda a Londra, la terza a Parigi. Dicono che Picasso avesse in mente un altro lavoro, dicono il Trionfo della Morte ; invece non sono riuscito a levarmi di testa  l’impressione che per la sua Guernica avesse proprio  la Battaglia di San Romano negli orecchi. Musica concreta, un Morricone quello di Picasso, vai a Maˈðrið/al Reina Sofia solo per questo e mi dirai se non ho ragione di avere orecchie per intendere. Ognuno beninteso senta e ascolti quel che può come può.

Artemisia Gentileschi, l’ho vista per la prima volta dal vero. E dico apposta Artemisia e non Giuditta. È un quadro enorme che narra di un enorme trafittura, lo sconcio – noto a tutti voglio credere – appunto subìto da Artemisia che, una metafora del cazzo fa infilare in gola a Oloforne dal proprio doppio Giuditta : e ben ti stia maialo. Sotto a mirarlo c’era un trio di visitatrici, con una bambina.  Signore sì, tagliare tagliare. A fronte del continuo ricorso all’omicidio di tutti questi accoltellatori evangelici direi che il manifesto del femminismo potrebbe essere il quadro di Artemisia. 

Infine la quadreria dei ritratti e autoritratti. Mai vista prima, però mia cognata, un tempo restauratrice al laboratorio di Pitti, mi dice che sono stati recuperati alle cantine decine di quadri, oltre a quelli trasferiti dal corridoio vasariano. Vabbè, eccoli qua i volti degli autori. Una considerazione inattuale. Volti di persone che al contrario dei loro predecessori duecenteschi, pittori della fede, raschiatori di martiri e cristi e mani e piedi a perpetua esaltazione della morte e del sanguo che la loro fede presupponeva, allora poi, quando si fa strada la rinnovellazio umanistica, ed è una mutazione genetica della fede, la religione, a prendere il sopravvento, la pittura è lì a sondarne l’umano troppo umano : madonne che ammiccano,  bambinelli smorfiosi, e santi e magi pigliati tra Medici o tra chi al loro posto, umani troppI umani. E Vèneri. Con la nascita correlativa e con la Primavera, Botticelli rivela che dietro il quadro c’è un volto, c’è un autoritratto. Che l’umano troppo umano salta fuori e svela occhi di intelligenza prepotente, sfavillante, capace di concezioni pittoriche ardite, di arte e oltre all’infinito. Prima di tutto. Con la religione si prese a fare i conti, nel senso di fatture al cliente con saldo a trenta giorni. Ognuno badando al suo particulare.

Autoritratti da cani. Ho osservato che sempre di più gli umani intorno, dal loro specchio interiore rimandano il ritratto ringhioso del loro camuso cagnazzo da combattimento, qualcuni nemmeno, quello di metallo del loro suv pit buller. Per dire che le persone sono una canea affamata della pappa altrui, americana, da fiera delle obesità. Brüta e cativa. Rari i buoni, se non i buoni a nulla come me.

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L’ElzeMìro di Martedì 15 Aprile

Mille+Infinito-Persone nella norma

3a puntata

https://www.gliamantideilibri.it/?p=84247

Tutti i racconti  dell’ElzeMìro si trovano in ordine cronologico alle categorie L’ElzeMìro e Spazi nel menu de Gli amanti dei libri, direttrice Barbara Bottazzi  

 https://www.gliamantideilibri.it

BAMANTI
Desideria Guicciardini-L’Elzemiro alla sua tastiera

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