Vulevòn savùar

https://www.youtube.com/watch?v=EPWYhR8N7nw

Ho l’impressione, di pancia, che la geografia d’Europa sia un Sanremo voltato in tragedia. E, come la Spagna e il Portogallo furono per a momenti 5o anni isole dittatoriali circondate da democrazie così ben messe da sembrare tali, oggi la Spagna, soprattutto e non male il Portogallo, sono democrazie troppo memori di quello che costò loro marciare al passo dell’oca per tornare su qualsiasi loro passo, e circondate da semi-dittature compiute o democrazie, dicentesi tali e che sì, che in piedi stanno, ma sul ponte del Titanic ballando la rumba al passo dell’oca. L’italia, è aggettivo non nome, marciare nemmeno tanto, strascica i piedi gonfi in infradito e continua a chiedere a vigili mascherati (e con che maschera ti lascio immaginare : mascelluta, digrignuta, texas e nuvole) Schius mi, bittescen noio, noio (gl’ ì-taliani n.d.r.) vulevam savuàr per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare? E ciò m’accora.

https://www.opera-arias.com/verdi/otello/cio-m’accora/

E, su questa geografia saltando a piè pari (alessandrino) due banditi si stringono le mani, anche quelle di dietro, per spartirsi l’ Ucraina abbandonata, bel titolo per un’opera seria di Rossini. By the way mi pare che con oggi tutte le anime democratiche plaudano alle strette di mano che di fatto duplicano gli accordi di Monaco del ’38 ( andare a vedere) cioè : dategliela vinta a Putin e figli purché vi sia pace pace pace, cioè fino alla prossima annessione totale di un’Ucraina, mi spiace usare il termine dannunziano : mutilata. O se ne vedremo delle belle. Pace pace pace ‘sti cazzi.

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L’ElzeMìro di Martedì 4 Febbraio

Mille+Infinito-L’acciarino/I puntata 

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BAMANTI
Desideria Guicciardini-L’Elzemiro alla sua tastiera

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Biopic

Ho le palle a giragira l’elica romba il motor : ché gira in questi giorni un improbabile filmato, il biopic ( bel nome per un detersivo  – del resto è candidato – o forse no, per un levigante della pelle) su una superstizione vivente, il Bob Dylan, Nobel sottratto all’agricultura, nuddu ammiscatu cu’ nnenti e idolo di masse al tempo dei 33 giri ; highway 61 di giovani nnenti ma ricchi bastevoli e che oggi con molta probabilità sono tra quelli, mano sul cuore e stelle e strisce, tra i primi che hanno spinto Trump sul seggiolone del già presidente Lincoln, il tutto di marmo e con l’aria pensosa, normale a quanti non pensano per solito a nulla, tranne alla questione : to be pizza (doppi pepperoni) o not to be pop corn. Non mancano gli adoratori nostrali e incanututti : ahha uhhh  ma, che belle canzoni, ma che belle canzoni, signora mia gné gneé gneegné senti come che la canta l’adenoide. Oltre la frabbica  del consenso, il cinema d’oggi si propone come impronta digitale di tutta la mano destra e sinistra del consenso. Non so. Considerazioni inattuali-Unzeitgemäße Betrachtungen. Sono stufo, l’ovvietà dei matrimoni prepagati tra pubblico e capitale mi abbaglia, sbaglio? E tanti saluti a soreta

Kazimir Malevič, Quadrato bianco su fondo bianco, 1918. Olio su tela

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L’ElzeMìro di Martedì 21 Gennaio

Mille+Infinito-Déja-vu 

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L’ElzeMìro di Martedì 7 Gennaio 2025

Mille+Infinito-Una favoletta padre

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L’ElzeMìro di Martedì 24 Dicembre

Mille+Infinito-Un racconto semplice per Natale

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L’ElzeMìro di Martedì 10 Dicembre

Mille+Infinito-Pietrino

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Lo sforzo del destino

Ho 817 lettori, quindi figurati valgo niente sul mercato del web. Quindi che cosa vuoi che mi importi di qualcosa. Sono nato e morirò antipatico, anche abbastanza a me stesso, anche al forno crematorio che mi auguro voglia comburmi : senza senza cerimonie. Scrivo perchè scrivo. Allora ecco come è andata. Nel complesso, 7 Dicembre Sant Ambrews, si dice così a Milan, la Scala, tradotta Staircase per Trump quando verrà qui a far vedere il parrucchino, la Scala si è mostrata quello che è : un catino di utenza. Bello, scintillante, non si scompone nemmeno a vedere il fascio profondo riunito accanto alla vittima di Auschwitz. E dove mio padre, oh partigiano portami via, assistette, fazzoletto rosso al collo, al concerto di riapertura con Toscanini in podio, nel ’46, di rosso c’è più che la moquette. E il Corriere della serva, sai quel quotidiano lombardo, parla, mi dice mia moglie che ha liver and stomach per leggerlo, parla il CdS di riconciliazione. Amen omen in un men che non si tik-tok. L’orchestra suona bene. Chailly questa volta non ha tirato in lungo, forse è dimagrito, forse è stato leggero a merenda, fatto sta che ha mostrato un piglio verdiano, per dire così e a mio gusto ; comunque non si può dire male dei direttori principali della Scala perchè lì non ci arrivi se non hai qualche valore e se la carriera non te la sei sudata. La figlia della Lupa e lupa anch’essa Beatrice Venezi ne deve comprare di Falconeri ancora, prima che lo zio Giuli la appolài (l’app pollaiòla) su sulla scala. La forza del destino ha una architettura complessa, dico della musica, inerpicata su per un libretto dalla trama improbabile. Brutto insomma. Anna Netrebko dovrebbe essere accompagnata alle patrie frontiere con foglio di via. Ma lei come la Ferragni piace perchè è eccessiva, non conosce, o conosce poco o per sentito dire il fraseggio : è il corrispettivo operistico di Putin, ma è una garanzia perchè è sempre uguale : butta tutte le sue divisioni da subito in campo e arriva in fondo al proprio Donbass grazie agli sforzi consumati in campo di addestramento e a venticinquemila carrarmati. Invece mi è piaciuto e molto il baritono Tézier, Don Carlo, e la Preziosilla dal nome bizantino, Vasilisa, regina, Vasilisa Berzhanskaya e molto il Melitone di Filippo Romano. Proprio giusti in parte e capaci e belli. E musicali molto. Insomma mi hanno ricordato i miei tempi alla Scala. Ho le mie debolezze, sì. All’esito della serata non ha contribuito al solito la regia di questo Muscato. Muscatel. Non sarai mai troppo presto quando si deciderà di eliminare il regista, via, fuori proprio dalle sale. Per la verità l’uomo, il signor Muscato, ha intuito che il girevole avrebbe giovato alla continuità dell’impianto musicale. Nel primo e secondo atto mi ero messo tranquillo e ben disposto : costumi in accordo con l’epoca prevista, anonimi e alla fine evocativi q.b. ; mobilini, seggioline, insomma tutto l’attrezzeria della Scala e di Rancati, che conosco a memoria, esposta dopo la dovuta lucidatura. Ma dall’anonimato, il Muscato mi passa al fastidiato : terzo atto prima guerra mondiale, trincea, una trincea che non vide in trincea gli spagnoli e quindi tale che in Giappone si saranno domandati con Wikipedia, come mai qui c’è scritto che la Spagna fu neutrale nel ’14-’18, boh cose degli europei. Quarto atto, non so se striscia di GaRza, qui in abbondanza nei costumi, o Ucraina o Siria o Vattelapesca, comparse soddisfatte travestite da militi per fortuna ignoti, ma metti a un bambino in braccio un fucilino anche sbagliato, come in questo caso, e lo fai contento, fa subito il cattivo con le coriste. Eccolo là il pacifista puccioso signor Muscato, sulla mimetica ha persino messo le insegne della Spagna e il distintivo di riconoscimento al Conte Calatrava. Insomma Calatrava in missione di guerra a noi no, non ci piace no, pace pace pace… ‘sti cazzi

p.s. Occorre spiegare al coro, cui fanno lezioni di Arte Scenica, che agitarsi come indemoniati, battersi pacche sulle spalle, salutarsi a ripetizione, assentire con moto compulsivo, saltabeccare a destra e manca, nulla ha da spartire con la semplice presenza scenica. Non dico con la recitazione, si badi. Ecco, se il signor Muscato si fosse occupato di tenerli a bada, avrebbe guadagnato tutti i soldi del compenso di regista.

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Doppiato male

Mio padre aveva un amico, ne ho già detto qui in epoche remote, Pietrino. Era sardo Pietrino Sini, portava i capelli a spazzola, come d’uso, e aveva un occhio meraviglioso e nero e uno meraviglioso e azzurro. Pietrino era una persona meravigliosa, era nato operaio, era anarchico e aveva sposato a Parigi una sarta. Un po’ di più di una sarta, Odette, première non ricordo dove da Balmain forse, chi sse lo ricorda, e peraltro figurati se tu sai chi fu Balmain e che cos’è una première… in sintesi la capa delle sarte, quella che dalla discussione del figurino fabbrica l’abito avendone ogni responsabilità… Pietrino appunto era operaio, un po’ più che operaio, era infatti stampista, in pratica colui che realizzava gli stampi per la fabbricazione di ogni genere di cose in metallo stampato, forse anche caffettiere, non lo so, di sicuro, parti di motori, cose di ferro. Pietrino aveva combattuto in Spagna e in Francia nelle brigate antifacha anarchiche. Conosceva dunque la morte da vicino. Perché avesse deciso di tornare in Italia, credo nemmeno il dio che invece non conosceva lo sapesse. Era tornato in Italia a Milano e aveva messo in piedi una minuscola officina di stampi con altri due operai. Erano i primi anni sessanta nel mio ricordo, ero piccolo insomma, e una sera tardi sua figlia Irene, una delle più belle creature che mai ho visto, suonò alla nostra porta, io ero già in pigiama, entrò e disse, Papà è uscito stamane e non è ancora tornato. Mio padre, orsù cappello e cappotto e via con Irene a cercare Pietrino. In macchina, ché Irene era arrivata fino da noi con la circonvallazione 90/91 ; chi è di Milano e ha almeno settantanni, sa di che periferia si trattava allora, un viaggio fino in via Oltrocchi da via Tortona dove abitavano gli operai dell’Ansaldo e adesso caravellano le fighette del design. Mio padre aveva una Volkswagen, un maggiolino bianco, perché eravamo un po’ più benestanti e mio padre aveva appena trovato un lavoro stabile dopo il fallimento di mio nonno. Orbene, la polizia allertata subito da mio padre trovò Pietrino di lì a qualche ora, all’alba, un Ofelia sarda a mollo in una roggia dalle parti di Chiaravalle (il milanese che c’è in te sa dov’è). Suicidio, ovviamente. Pietrino era un tipo sommesso e se ne andò senza gnanca un plissé ( modismo milanese che traduce il rossiniano senza fare confusione per la scala del balcone presto andiamo via di qua ). Non chiese, non pretese : al buio, d’inverno, in mezzo ai campi senza cappotto, una boccata d’acqua in una roggia del Lambro e via. Per mio padre e per tutti ( per qualche ora casa nostra divenne un centro operativo di amici, ricordo la Giovanna maestra, il pittore Attilio Vella, il Bruno e la Nuccia) anche per me che ero piccolo ma avevo già ben chiaro in cuore chi amare e chi no, fu un colpo, al cuore appunto. Bella storia, non è così?

Da venderla ad Almodóvar che, invece sul tema, La stanza accanto, confeziona una vicenda, sì attuale perché se ne fa un gran parlare da destra e purtroppo anche a sinistra, guarda in Inghilterra, ma che pare sospesa tra attici e appartamenti di democratici-radicali-giornaliste-scrittrici. Tutte donne, sì nella migliore tradizione di Almo ma insomma pare come a dire, se vuoi suicidarti minimo minimo devi avere un reddito di 400,000 euro l’anno e un penthouse vista Manhattan. Salvo non si sottenda un anche i ricchi piangono. Insomma Almo è sempre perfetto, ma ha girato un film di Woody Allen ( l’apertura in totale sulla vetrina della Rizzoli a New York è imbarazzante quanto il primissimo piano di un scatola di biscotti Dolce & Gabbana, due sfacciati product placements). In un lingua che non è la sua, per cui si sente che Almo racconta imbustato e ingessato in cliché, come in sovrimpressione, si vede, si sente che si doppia e non pensa anglosassone, soprattuto non pensa americano. Le attrici, doppiate anche loro al solito male, sono dirette benissimo perché Almo è maestro proprio per questo e sono strepitose, la Swinton soprattutto è impressionante e l’altra, la Moore, le corre dietro senza il fiatone ; ma sono anglosassoni e con Almo non c’entrano una beneamata fava. Non mi è piaciuto, anzi mi è dispiaciuto.

Non chiedermi che cosa penso del tema, la vita, la morte e cuccuruccù, perché non sono prete, non sono cattolico apostolico, democristiano, musulmanno o meloniano e perché l’ho fatto capire in chiaro mi pare: Pietrino, d’inverno, un mattino, e glub. Salvo valide alternative.

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L’ElzeMìro di Martedì 26 Novembre

Mille+Infinito-Le chiavi di casa

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