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– Pillez Brunetière! il a  tout dit!

– Il a dit que la littérature , toute serait dévorée!

– Mais par qui Maître?

-Par les charlatans!

Céline in Rigodon. Folio  pag. 18.

Rigodòn, rigaudòn, ovvero rigodóne, svelta danza provenzale, secolo XVII, dal ritmo binario e peculiare per il suo passo saltellato, ci informa il dizionario. Rigodon è l’ultima delle opere contemporanee di quella personalità fortemente paranoica di céline, stando alla più comune delle interpretazione diagnostiche a lui correlate, così come il contemporaneo esige, essere presenti cioè e indicativi della propria ultimazìa; del 1961 e, per un curioso accidente della biologia, tecnicamente postuma al suo autore vivente, che la firmò al mattino del 1° luglio e morì, o dovremmo dire che ne morì, lo stesso giorno h.18:00; del resto essere postumi di sé è per quasi tutti i letterati, una vocazione; la fama o la fame o l’appetito di fama c’entrano e non c’entrano, un autore contiene qualcosa di ex-temporaneo o anacronistico che gli permette di sussistere e sopravvivere al denominare con cui rivela e svela il cinema intorno e ne squarcia però la tela, insegna fontana, quello dei tagli; là sotto, un muro bigio, spesso nemmeno, talvolta di più. 1961, 2° di luglio muore hemingway,  camus è morto un anno prima; un mese prima invece, nel giugno del 1961, è toccata a carl gustav jung; sartre,  sarà vivo a lungo e beckett e capote; michel foucault e hillmann erano vivi, insieme nella loro nuvola di teste pensanti, per dirne una e via un’altra, e, e, e, macché te lo dico affa’, dicheno a roma. Per evitare malintesi il passo francese qui sopra, poiché c’è da chiedersi chi farfugli ormai il francese, lingua del pensare volteggiante, all’opposto dell’ersatz by ersatz del tedesco, il passo qui sopra viene a dire, Prendete Brunetière!(1849-1906)Ha detto tutto! Ha detto che la letteratura, tutta verrà divorata! Ma da chi maestro? Dai ciarlatani!

… in Scozia i bambini appena nati ricevono un pacco con due libri e una guida che spiega ai genitori quanto è essenziale leggere. In Inghilterra la fondazione Book Trust, tre milioni di sterline di bilancio, regala ai bimbi sotto i quattro anni libri e matite colorate. In Svezia quattro milioni e mezzo di euro vengono destinati alla promozione della lettura. In Italia, pochi finanziamenti e i maestri non vantano certo la fama di essere dei lettori…in a. corlazzoli  il fatto quotidiano 7 settembre 2014

Anche gli dèi che lo consacrarono nonostante il disinteresse che hanno sempre mostrato per le forme umane salvo  giocarci a bocce, anche gli dèi lo hanno abbandonato il bel paese qui con faccino di formaggella e invece analfabeti a iosa, analfabeti che riformano la scuola ed editori specializzati in lettere belle tonde per analfabeti, carcasse toraciche in fuori a succhiare case editrici allo scopo di pubblicare, alimentandone la fortuna e la necessità di valets de pieds, giornalisti, la cui relazione con la letteratura è lo stessa che intercorre tra l’insetto e l’insetticida, o tra il boia e il condannato, nessuna cioè; il secondo evapora il primo torna a casa a trombarsi la moglie propria o impropria.

Sono incerto tra una rabbia sorda, quella per intenderci che ti cova nel cuore l’ovulo dell’omicidio che ognuno produce, chi spesso, chi raro, chi a periodi, e una serena disperperazione, non esistessero nella vita piaceri ad essa antagonisti, il tè forte e caldo, il burro giallo di grasso, le persone che amiamo a dispetto del calendario e della necessità, qualche biscotto, il pane, il vino rosso senza tante cerimonie, una solida coperta di pile contro la cicuta del tempo e la certezza che prima o poi arriverà la notte e sia benigna la vaga dea nel farci capire ogni sera che con gli occhi chiusi sull’ultimo lampo del lume, deporremo sul comodino qualcosa che il mattino dopo non ritroveremo più. Fino al buio totale. Dimettersi. Allontanarsi. Prendere la misura della propria gabbia prospettica. Scrivere.

Un treno al mattino, e in ogni ora, dove nessuno legge il romanzo che lo riguarda benché la di ciascuno assenza ne sia protagonista, un deserto di tartari, quelli laggiù lontani che nessuno fino alla fine del viaggio vedrà mai; tutti analfabeti i tartari, tranne magari gengis khan, partito chissà da oroscopi e finito a oròstrupi. Qui adesso,  il primo gesto dell’alba non è per tutti sellare il proprio cavallo ma attendere il cavallo di ferro delle ferrovie e guardare, con affetto alcuni, il telefono da cui non sanno guardarsi, sfogliarlo come si farebbe con una tenera margherita o infine decifrare i grossi caratteri di un tablet, impugnandola come un volante le scimmie ammaestrate la tavoletta; si direbbe essa abbia subito una castrazione per inverso. Altri, gli afflitti da calculite cerebrale, compitano le pagine del loro giornale, ciascuno il suo corrierino dei piccoli, esercizio quotidiano eseguito allo scopo di trovarsi d’accordo, la consuetudine all’adattamento è ermafrodita. Per i barbari dalla mascella quadrata, le loro tribù sappiamo già che non la rovina le attende, è storia nota ma, per un po’, troppo, più di quanto sia tollerabile, il carro del trionfo, tutta un’impennata di pèni e clitòridi in bando e su un lago di carna e di sanguo, i pali della lettrizità communale. Giovanni testori, ambleto, a memoria, sorry. Fa tenerezza un tale, poco più di un ragazzino o che tale pare, che affermerebbe sussistere il pericolo di una concentrazione di tutto il potere editoriale nelle mani di uno solo. Un sola analessica a distribuire libri di pornografia brossurata. Eccola la furbizia, gran bel sospetto sospettare il potere. L’unigenito partito, democaróntocrazia per volontà e disgrazia della nazione, il ciclopismo statale che avvalla quello della madre di tutte le chiese e cugina di tutte le altre, le trine parche, cloto e lachesi e atropo assoldate come taglia gole, vis necatrix, tutto servito cotidie cum pompa che se magna tutte l’altre. Pompa su/pompa giù/ il mio pompier.

So che ci uccideranno, ci sono più nemici che porte cui metterli, sento già il coltello che bussa alla prima cervicale, l’atlante. Piacevole sarebbe portarsene all’inferno un pochi, ma non ho bombe a mano in tasca, come mio padre lassù sulle montagne in die illa tremenda, per farmi esplodere. Si dia a Cesare quel che è di Cesare, ovvero ventitré ben amministrate pugnalate. In tutta franchezza non so nemmeno più dove si potrebbe scappare. Lontano. Atlantico. Dove dove dove e perché. È tutto un girare il reich sotto le bombe, per tutti…

de ces profondeur pétillantes que plus rien existe… Céline – Rigodon finis.

About dascola

P.E.G. D’Ascola ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: "Le rovine di Violetta", "Idillio d’amore tra pastori", riscrittura di "Beggar’s opera"di John Gay, "Auto sacramental" e "Il Circo delle fanciulle". Sue due raccolte di racconti, "Bambino Arturo e il suo vofabulario immaginario"" e "I 25 racconti della signorina Conti", i romanzi "Cecchelin e Cyrano" e "Assedio ed Esilio", tradotto questo anche in spagnolo da "Orizzonte atlantico". Nella rivista "Gli amanti dei libri" occupa da molti anni lo spazio quindicinale di racconti essenziali, "L’ElzeMìro".
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2 Responses to Enter title here…

  1. Biuso says:

    Sentire ancora tutta intera tutta intatta tutta tremenda la forza della parola. In Céline come in D’Ascola. Questo ci regali, amico mio.
    Quanto ai barbari, ai ministri, ai telefonisti, ai renzisti, ai piddisti (che in siculo è un verbo e significa ‘hai perduto’), auguro ogni peste e ogni lebbra, gliel’auguro di tutto cuore, come il frate Cristoforo chiedeva di tutto cuore a Renzo Tramaglino di perdonare.
    Io non so perdonare, non credo neppure ce ne sia bisogno. Ognuno è la luce o la merda che è, sin da quando appare in questo mondo.

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    • dascola says:

      Piddisti, hmmm che bella parola. Credo con convinzione tanta che la trasmetto agli studenti, che la ricchezza intima dell’italiano sono le variazioni che il dialetto permette. Che sono tutte di sfumature e quasi sempre di intonazione. Penso la differenza che intercorre tra prenderle, cascar in terra e dire al bruto, hai perso; non capirebbe e ti fracasserebbe di risate. Ma, Piddisti, detto bene, detto con occhi di ghiaccio e il naso che sanguina, ah no, atterri lui. Ho visto domenica scorsa uno spettacolino di commedia dell’arte, dove Zanni, visti gli occhi vuoti del pubblico moderno in sala, dopo qualche battuta in bergamasco, passò all’italiano; gli avrei gridato, ma parla bergamasco; non lo capisco ma lo capisco. È lingua di terra. Per non parlare del grammelot in dialetto che un taxista di Catania mi regalò, infuriato perché non aveva il cambio di diecimila lire; parliamo di secoli fa; io lo ascoltavo rapito. Mi tolse dagli impicci un macchinista del teatro, allora facevo il mestiere, che ci disse a iddu una sequela di cose incomprensibili, scacciò gli spicci per me, e tutto finì lì. Io ero in estasi linguistica.
      Quanto a perdonare amico mio, credo più di te che sia un gesto un tantinello autoreferenziale, narcisistico diciamo; sai in Schindler’s list il boia che prende la mira e poi dice, Io ti perdono; generoso forse ma sa un po’ di scappatoia. Si può lasciar perdere invece; io ci riesco bene, adesso; perché non ho più tempo per perdere tempo, non è cosa stare alla zavorra dei risentimenti. E a volte nemmeno dei sentimenti. Ti pare?
      La tua opinione sulla mia scrittura mi accompagna e stimola. Grazie a te del regalo. P.

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