Racconto un eSIpodio tratto da un qualche telegiornale ai tempi del cosiddetto default della Grecia e degli scontri nelle piazze tra polizie catafratte ; ai tempi mi venne da osservare che sì i paesi vanno al fallimento, le polizie no. Ma ‘sticazzi. Ebbene del video di una folla che si scaglia contro i cancelli chiusi del Parlamento, catturai in un vidìri e svidìri i fotogrammi di uno studente che galoppava alla carica brandendo alto nel cielo il proprio cellulare ; gli scappava di mano ; lo studente si fermava, tornava indietro di pochi passi, si chinava tra le gambe in corsa, recuperava il cellulare e poi via di nuovo all’assalto. Azsumusic lo avrai incontrato tra i commenti se li leggi. Se non li leggi peggio per te perché spesso mi sembrano più densi o, per essere più precisi, più intriganti e conclusivi dei posts originali ( di conclusivo peraltro qui no c’è mai nulla). Sull’ultimo, Azsumusic ha scritto un commento che qui riporto per intero, senza correzioni per non fargli torto, e cui io ho già replicato col raccontino qui sopra. Azsumusic :
«Nessuno racconta più l’epoca in cui si vive, l’oggi. Vedi i film, si intestardiscono su eventi remoti ma per quanto interessanti sono censura. Altro che dopoguerra, dove il neorealismo era denuncia. Oggi per cosa si strilla? Ci si lamenta per quello che problema non è o, se lo è, è di nicchia. Prendi la storia di 70 anni fa, fanne un inno da centro sociale e fa credere alle masse di essere ora come allora. Fa niente se poi le cose non stanno proprio così, intanto ti ho rifilato il mio giornaletto oltranzista. Così mica mi si può di non aver fatto politica col cinema. Lo disse Volontè: il cinema è sempre politico. I critici che dicono l’opposto mentono. Quindi, nel 2024, la politica del film in effetti c’è ma non serve. Non serve a nessuno perchè non serve nessuno. Si tratta il sepolto senza diritto di replica. Per cui, scordiamoci la commedia all’italiana, amici miei. I tempi sono cambiati: alle nuove generazioni sta bene avere due quattrini e spenderli in viaggietti trogloditi e cene pacchiane. Guardali, i mona: vanno a Cipro, fanno overdose quotidiana di sushi, lo stesso di cui si fanno pure a Milano, ma non sanno che in Giappone quel piatto è tipico dei giorni di festa. Giappominchia, li chiamano. Queste nuove leve vivono solo di quel che gli rifila il consumismo del presente, prima con la tv e ora con l’internet. Umberto E. lo disse: il Web, più che la tv, è utile per i colti ma è la rovina degli stolti Un fatto generazionale: i Z e forse pure i Millennials stanno troppo bene. Con i genitori imborghesiti, aspettano di ereditare la casa della nonnetta per evitare di risparmiare. Poi si stupiscono se la vecchia lascia tutto alla filippina, dopo che sono andati a trovare la madre della loro madre tre volte in vent’anni. Insomma, cosa può denunciare uno che sta bene? Il cane del vicino che abbaia? Quando questi giovani saranno abbastanza vetusti e non avranno forze per alzare pacchi, arrancando tra malattie, sanità privata e sussidi indecenti, si sveglieranno. Si sveglieranno quando staranno per addormentarsi per sempre, devastati dal rimorso di non aver fatto abbastanza per i genitori, tutti presi dalle loro vite disastrate tra divorzi, tradimenti e figli ribelli. Ma quel che conta è l’odierno e quello gli basta. Si bastano. Il cinema è solo la loro conseguenza.»
Credo che Azsumusic abbia fatto centro. L’arte contemporanea, nello specifico il cinema certo, che è un’arte a metà presa com’è tra gli opposti estremismi del collettivismo di mercato e dell’egotismo autorale, intende arte qualsiasi indugiare e indulgere sul nulla ; che intende riflessione ( anzi come dicono certi critici cattolici , l’interrogarsi che dopo secoli di ipse dixit è cool). Cerco di spiegarmi e resto, visto il precedente post, sul tema guerra, grande. Monicelli ai suoi tempi de La grande guerra sono sicuro che aveva in mente solo due cose, mettere insieme due attori agli angoli opposti e raccontare una storia che sfottesse la retorica risorgimentale. Una goliardata intelligente. Questo sì ; la riflessione spettava come spetta sempre al pubblico, se vuole, e che allora premiò il film per i ben recitanti attori (allora si usava recitare) e non per i primi piani con cui, se Monicelli fosse stato un fesso, avrebbe voluto far intendere che stava riflettendo, lui, su qualche tema grandioso. Monicelli non ha mai preteso di essere Tolstoj ( che nella sua opera se mai si riflettava) e per questo motivo sostanziale, nei limiti della sua arte riuscì a ritagliarsi un ruolo nell’arte. La grande guerra si può intendere come un Guerra e Pace in tono minore, ma non per questo in tono stonato come è Il campo di battaglia de cuius. E con ciò chiudo lo svoglimento del tema non andate a vederlo il film di Amelio. Ma per non disgustarvi di uno che qualche film buono ha combinato.
Azsumusic articola bene il suo pensiero in campo estetico che è il campo in cui anch’io sguazzo con altri boomers, da un bel pezzo. In sintesi postillo : che oggi non si racconta nulla perché non si ha nulla da perdere, ché non si vuole perdere nulla, se non si ha già perso tutto. Il discorso non so quanto pertenga all’ambito di questo paese, che dall’antica grandezza è cascato e non in piedi ma nessuno glielo sta dicendo ; anzi vi ci si premia come antidoto all’arte. Insomma oggi letteratura o cinema è premi strega o premi speciali delle giurie, e soprattutto sorrisi e red carpets ovvero faccio la rivoluzione nel mio monolocale ma domani non voglio perdere il mio cellulare bensì cambiarlo. Insomma siamo tutti SUVvizzeri, tutti a posto con i pranzi della domenica e con la celebre battuta di Orson Welles nel film di Red The third man ( Il terzo uomo) : « Italy for thirty years under the Borgias, they had warfare, terror, murder, and bloodshed, but they produced Michelangelo, Leonardo da Vinci, and the Renaissance. In Switzerland, they had brotherly love, they had five hundred years of democracy and peace, and what did that produce? The cuckoo clock ». Un tempo mi pare che arte fosse sinonimo di perdizione, non nel senso di sregolatezza come hanno inteso i salotti ottocento, ma di sparire per regola, annientarsi addirittura, pensa a Schumann, Nietzsche e persino a Bach che a scrivere fughe perse la vista, e a tutto vantaggio dell’opera, la cui fama non era in nessun caso un obbiettivo, ma un accidente, pensa a Poe e, al contrario a Jack London, ma pensa anche a Lovecraft. E infine agli anonimi costruttori di cattedrali.
In un libro pastiche, Il mattino. dei maghi (Jacques Bergier e Louis Pauwels-Mondadori, 1974 ) lessi nel mio cenozoico personale una frase che mi è rimasta impressa e che suona circa così : non si guadagna nulla se non si perde qualcosa. Scritta da un ingegnere (Bergier) questa frase ha un senso concreto. Pensa all’entropia ma pensa a Caravaggio o Céline. Non si guadagna se non ci si condanna a non esserci, a scomparire, ad andarsene ; guarda a Salinger o McCarthy. Meglio di tutto è non apparire proprio. Allora dal buio capita ai più fortunati e dotati di rivelarsi. Capita. Ma non è detto.

wow!! 71Sicari e mandanti
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Riscriverei tutto, compresi gli errori di battitura per parole e punteggiatura. Gli errori come sinonimo di fatica, di sforzo. Non come gli orrori nell’indolenza che attanaglia chi scrive per abbreviazioni inutili in quanto non utili. Deleterie perchè demolitrici. Parlo dei “xkè”? o dei “cm stai?” ma pure dei “nn posso”, di derivazione SMS che al tempo, perlomeno, trovavano giustificazione nella povertà di credito. Eppure, anche ora, a briglie sciolte dall’equo canone con tariffa fissa, la potatura della parola imperversa. Lo vedi dalla caterva di riduzioni presenti sui social dove oramai, una chat privata, non necessita nemmeno più di crittografia asimmetrica. “Ti ho scritto su tg” con tg che sta per telegram, su “fb” per dire facebook e in “ig” per instagram. E ancora, demenza senile precoce catalizzata dai vari tutt* e amic* che, de-sessualizzando, come la pornografia del dolore, anestetizza portando a impotenza. Sterilità dettata da una legge non scritta limitante il diritto di espressione al pari della più efficace dittatura. All’apice del processo, il non detto. Il vuoto, non nella forma romantica intesa per il monologo interiore, impossibile da attuarsi per assenza contemporanea di pensiero, piuttosto, l’ancestrale fuga commutata nella parola “ghosting”, sinonimo di codardia per il non voler vivere nella realtà. Certo, la decadenza della lingua la troveremo a breve descritta nei saggi quale fenomeno decadentista riguardante la delocalizzazione del pensiero. Tuttavia, nel frattempo, la decrescita programmata si consuma con profitto sul campo di battaglia. La lama trebbia, livella. Ecco la vera nuova grande guerra. Un conflitto omologatore, all’interno di un’epoca tanto puritana e sicura senza pari nella Storia. Una falce che non lascia alcuna ferita visibile tanto all’occhio quanto allo strumento.
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