Berlinguer

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Quando fu come fu fui iscritto al PCI. Agli sgoccioli, poco prima dell’annacquamento nello stagno di Pds e poi Pd. Mi iscrissi per sdegno, indignazione per quello che vedevo fare  ogni giorno o quasi dai socialisti  di Craxi in Rai dove lavoravo con qualche assiduità come indipendente. (ricordo la Peugeot 404 verde bottiglia parcheggiata senza ritegno nell’area riservata VVFF, auto di una bella figlia di primario socialista e che in Rai lavorava a fare non so che, nemmeno lei lo sapeva sono sicuro ma certo se ne vantava ; tutte le volte prendeva una sassata di multa ma nessuno le trainava via l’auto) In Rai si lavorava, a prescindere, a condizione di avere protezioni o non averne come me. L’indipendenza costava :  io facevo quasi esclusivamente il lavoro sporco o forse no, quello da bella lavanderina. Mi iscrissi perché non era più il momento, il paese andava male – guarda un po’ – la Rai andava male, il PC non trainava e anzi Milano da bere e Giulietto Chiesa. Ricordo con piacere il momento in cui andando a firmare in amministrazione un contrattino ino ino, la capufficio, la Bianca, se non ricordo male il nome,  un donnone di alcune metri, grandi occhiali da professoressa  e capelli pettinati a torre di babele, la Bianca mi accolse con un grande sorriso,  Ho saputo che sei con noi proprio adesso, posso abbracciarti.  Ci abbracciammo e le spiegai alle corte che sì mi ero iscritto proprio-adesso-che e perché  ; mi ascoltò a un passo dall’estasi d’amore. Poi dal partito me ne andai, non peraltro ma per cattivo carattere, fatico ad appartenere, perché  stare in un’organizzazione che sia il circolo del ping pong o il partito degli indignati mi dà uggia e infatti credo nella mia vita di essere più che entrato, uscito. Tranne dalla CGIL  cui tuttora… Allora comunque ero troppo signorino per apprezzare Berlinguer – tutto ‘sto popolo – amavo senza ragione i radicali, mi dichiaravo anarchico, pure… un mio collega, bravissimo, mi disse, ma come fai a non votare PCI, radicale (detto con fastidio) un intellettuale organico come te deve. Gli risposi scherzando che organico sì, non minerale. Ma non apprezzò. Insomma fino a quando non decisi di entrare nel PCI preferivo starne diciamo a sinistra ed essere critico, criticissimo, tra l’altro con il compromesso storico che allora mi sembrò una storica boiata. Poi capì, ma poi.  Si capisce bene nel film Berlinguer-la grande ambizione la portata storica delle posizioni e dell’idea di Berlinguer e della sua classe dirigente. La portata la capì bene chi fece assassinare Moro troncando il processo che avrebbe portato il PCI nel governo. Non ne sono sicuro  ma è probabile che avrebbe salvato un paese che invece fu affondato. Lo avrebbe ammodernato e spedito nel XXI secolo e in una orbita di civiltà che oggi… santo cielo… La Russa presidente della Camera e i compagni ai comizi di Salvini. Oggi meloni, domani fichi d’india.

Queste le considerazione che ho fatto guardando Berlinguer, il film di Andrea Segre. Per ridere mi sono detto, e adesso andiamo a iscriverci al piccì eh già, ma dov’è, gugghela l’indirizzo che non c’è ah bè sì bè. Con mia moglie e altri esseri di pari o vicina età, siamo usciti dalla proiezione in lacrime. Ognuno per i suoi motivi. Noi le nostre lacrime di sicuro da  consapevoli dell’occasione perduta, del fatto che avremmo certo dovuto fare di più, non so come potendo, intanto capendo che Berlinguer offrì l’occasione e le idee.

Il film di Segre dunque viaggia su due piani complementari. Uno storico, documentario e critico. Può darsi che chi ne sa più di me trovi delle lacune al film : vecchi dirigenti di quel PCI di allora, qualche sopravvissuto. L’altra cinematografico. Allora Segre asso pigliatutto fa un film, inutile dilungarsi, scritto da dio, montato da dio, inquadrato da dio, dialogato da dio, recitato da tutti da dio (non lui quello in excelsis), un film che io dico perfetto, come che so, Le mani sulla città o Una vita difficile. Usa benissimo tra l’altro il materiale di repertorio, il Segre, con molta sagacia drammaturgica ; lo usa come Brecht voleva i suoi cartelli, didascalie ;  spesso di pochi fotogrammi, ma inseriti alla perfezione nella tessitura. Chi c’era ricorda. Chi non c’era di sicuro si domanda. È così e così la vita deve andare  avanti, dice Berlinguer in una scena. Andare a vedere.

Poscritto. Per l’Europa, anzi per il mondo si aggira non un fantasma ma una masnada di delinquenti. Si è visto a Valencia ieri, si vede in Germania, in Inghilterra e nemmeno dirlo in Francia….poi ci sono le orde dell’est e l’America che, non ho la sfera di cristallo ma mi pare ovvio che vinca Tramp e proprio per così com’è ; perché è così come plasmato dalla sua folla che ha sostituito qualsiasi ipotesi di popolo. Amen. Vorrei essermi sbagliato mercoledì, domani ascolterò la diretta de Il Post, con la stessa serenità di chi va a un’interrogazione sapendo poco e niente. Verrà bocciato salvo il caso voglia che gli sia posta un’unica domanda di cui conosce la risposta e il professore non indaghi oltre.

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About dascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi della rivista Gli amanti dei libri, diretta da Barbara Bottazzi, sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito
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