Ma che mù ma che mù ma che mùsica maestro

Mi sono incontrato con Microlìti di Alessandro Melchiorre.

Che cos’è la musica. Così ricordo l’incipit di un’antica storia della musica, quella di Franco Abbiati, Domanda proibita, scriveva  l’Abbiati, resa proibita dalla sua stessa formulazione.

C’è un paio di dati che mi apparentano alla lontana a Melchiorre compositore, il fatto che lui studiò e si diplomò in architettura al Poli di Milano. Avrei voluto anch’io, non fosse che sono stato un lampante discalcùlico. Melchiorre ha poi una doppia laurea lontana nel tempo allo stesso mio DAMS di Bologna : in cinema io (alla Laurea mi scontrai con Umberto Eco e non gli piacque), lui con il diabolico esegeta musicale, Luigi Rognoni. Lo stesso, tanto per un po’ di aneddotica in più, che a me, figurati al primo esame, un trenta e lode ; ma al secondo, al contrario di Hänsel non ritrovai nemmeno un sassolino, nemmeno un  microlito – poi ci torno – nel tornado di domande con cui il Rognoni mi incalzava e cascai sulla richiesta di fischiargli l’attacco dell’Incompiuta.

Parlare di musica è come ballare di architettura. (che si possa fischiarne allora? n.d.r. ) La frase è un pò molto ad effetto e fu attribuita nel tempo a un sacco di personaggi della musica, non della musica pesante, Franck Zappa tra gli altri. Tuttavia, nella sua ingenuità, il motto rivela un utile inciampo : l’analisi formale di un brano come di un quadro come di un film si può fare, ed è l’unica possibilità di trattamento di un materia la cui traduzione in parole è  controsenso. Per similitudine, un’anamnesi : quel foglio in cui si riassumono l’osservazione oggettiva del medico e ciò che il paziente denuncia o lamenta. Anamnesi e analisi sono compagne. Ma parlarne, d’arte, è arduo in realtà così come lo è di un paesaggio al tramonto. Salvo non si adottino accorgimenti di un dire che, almeno un po’, provi a essere letteratura, cioè trasfigurazione. Che da questo punto di vista risulta un’arte magari minore, aggrappata alla produzione di metafora e paradosso. Ma sai, dire qualsiasi cosa in qualunque in ambito è alla fine una forzatura, un meccanismo da conversazione e di conservazione dell’abitudine a non volersi tacere a ogni costo. Le opinioni piacciono e c’è chi non ne può fare a meno. Guardati intorno, le recensioni di qualunque cosa in rete, dal negozio di prodotti tipici all’hotel de charme a Matera è tutto un frullare di romantiche  location e interessante carta dei vini. E a chi interessi la carta dei vini non saprei dire altro che un sommelier. Analizzare qualsiasi prodotto d’arte è pertanto appannaggio esclusivo di chi ne conosce gli strumenti. 

Ogni scelta di strumenti è una scelta che costruisce uno stile. Il montaggio per attrazioni muta la percezione dell’immagine rispetto al piano sequenza. L’alessandrino quella della direzione e del tempo. La serie musicale non è scelta ideologica mi disse Giorgio Gaslini, ma di necessità stilistica. Poeticamente Antonio Machado in A Líster scrisse : Si mi pluma valiera tu pistola Lìster, contento moriría. In soldoni : la pinza non è un cacciavite.

Mi ripeto, e conto senza averle contate le volte che qui ho scritto : non faccio né sono capace di fare critica d’arte ; se mai sarei critico nella misura in cui ogni prodotto di un mestiere d’arte, a prescindere dal suo specifico ambito è, al suo farsi, perciò stesso critica. L’esercizio  di un’arte ti autorizza a esprimere opinioni basate su osservazioni nate dal gusto, dalla sensibilità, dall’esperienza estetica (hedonic complexity) dalla conoscenza di storia, stili, strumenti, di una tecnica, di una prassi esecutiva. Inoltre dal confronto con altri ambiti e soprattuto altre persone, colleghi migliori, colti e còlti nel loro meglio. Ho sempre detto e confermo che in concreto debbo la mia letteratura, ammesso e non concesso che lo sia, bè la devo al cinema, al teatro e alla musica, all’ascolto in triplice sintesi. E a grandi e piccoli maestri. Non escludere gli studenti. 

C’è una cosa poi che ispira a dire di altro con gusto ed è il senso proprio del gusto. Di preciso come fronte a un’ottima pastasciutta ti viene da esclamare, cche bbuona. Voglio dire che l’unico giudizio incontrovertibile è il mi-piace/non-mi-piace. Come per gli spinaci tuttavia occorre allenamento prima di arrivare a trovarli gustosi. Lo stesso si può dire delle cucine aliene a quelle di casa nostra.

Il gusto per la musica, dalle origini ai giorni nostri, ha bisogno di tempo cioè di applicazione all’ascolto. Ricordo un mio allievo, dotato di intelligenza complessa, che, a una mostra di Bacon mi disse, C’è poco da fare, faccio fatica, sono ancora a Renoir. Tutto questo bla bla per dirti che qui si tratta di  un lavoro musicale di Alessandro Melchiorre, di cui posso dire che è stato mio collega e viceversa e mio direttore al Conservatorio di Milano e non viceversa. Del suo Microliti posso dire e non è inutile che li ho ascoltati all’Auditorium di Milano. Una performance ottima ma non è questo che interessa.

Di Melchiorre, ovvero di molte sue opere c’è un particolare che a me pare brillare : l’affinità del musicista con la poesia. Quella vera, e non quella che si traduce in una immaginaria forma libera ossia in una prosa squinternata ed egòlala : la poesia come la musica non interpone un me tra te e quell’altro che non scrive bensì è scritto ;  a dispetto della notazione in parole, la poesia a me pare  una delle forme della  musica ; molto più simile alla danza, altra forma della musica, la poesia è gesto, altro dire per dire altro, persiana che sbatte al vento, la poesia ha a che fare immediato col tempo immediato : rinvenimento di tempo, non di senso, ritmo ; la poesia è insensata o altrimenti è su-bambini-che-cosa-vuol-dire, foto di gruppo con signora, or, a tale told by an idiot.(Shakespeare – Macbeth atto V). Di là da ogni motivo esteriore – l’incidente tema di Auschwitz in Celan, mi pare un caso-mai – Microliti di Melchiorre-Celan, è oro incenso e mirra per chiunque consista, abbia la consistenza di  un neonato. Scrive Gottfried Benn in Il soffiatore di vetro (Adelphi pg. 122) : Solo l’artista viene a capo delle cose, lui solo ne decide. Tutti gli altri tipi umani tengono a mollo i problemi, per generazioni, per secoli finché ristagnano e imputridiscono finché i cervelli si trasformano e interviene la Natura. 

A Milano-Auditorium, Melchiorre proiettò i testi, sul filo del rasoio del loro significato, perdendoli e ritrovandoli nel significante, in quanto significante musicale, musica insomma ma in bilico, in equilibrismo ; perché la proiezione era in qualche modo l’apparizione di quadri, ovvero percorso dentro una galleria di testi, parlo dell’originale tedesco, da vedere, da guardare. Accanto a me mia moglie mi disse, Non so il tedesco ma le traduzioni di fianco mi danno fastidio ; e io le risposi Infischiatene, guarda le figure. (Apocalypsis cum figuris di Albrecht Dürer, guardatelo) Visto che lei è illustratrice di mestiere, mi capì al volo. Io le ho sentite e ascoltate queste proiezioni come quadri di Bacon, tra l’altro più o meno coevo. Non sbagliando, Melchiorre scelse di proiettare anche singole parole, o cellule della parola. parole=immagini=idee. Questo è ; questo è quello di cui posso scrivere da non musicista. Nella tessitura quello che conta è il tessuto. Io credo che la musica, al pari di  un software che si inserisce nel sistema operativo, o chissà forse meglio come un vaccino a Rna messaggero,    si innesta e lavora e produce qualche memoria, qualche associazione, qualche eco, qualche nuova combinazione neuronale. E non si sa cos’è. Mettere in musica i versi non è lo scopo di Melchiorre. In Microliti  non c’è poesia per musica. E dunque niente musica per versi. La musica di Melchiorre è la colonna sonora di un film di immagini retro-proiettate, musica in forma di fantasma nei versi. Il metterli musica vuol dire farne scoprire il suono e il tempo. E un’altra consistenza?

Poi. Melchiorre è anche architetto, se preferisci un  architetto  d’altro tipo,  e questo lo avvicina e di molto a mio avviso, all’ineludibilità, al destino se vuoi, della forma, alla composizione in senso proprio – la tela di Penenlope che di continuo appare e scompare – all’aggregazione della materia sonora come se si trattasse di elementi di quella che peraltro si chiama composizione architettonica : guarda al Borromini di Sant’Ivo alla Sapienza in corso Rinascimento a  Roma, per farti un’immagine, di quello che le parole trovano difficile da concludere. Ma dov’è la forma del vaso è una nota interrogazione Zen cui si risponde : nel vuoto che contiene.

Microlìti, ossia sassolini, mi fa pensare, mi ha fatto pensare, ma pensare non è il temine che conviene, li associo alla fiaba, dai che la sai, quella di Hänsel und Gretel che ritrovano la strada sotto la luna in grazia dei sassolini che il Giovannino ha seminato sul percorso. Quando dai un titolo, o usi una certa parola o, in musica una certa soluzione di tecnica, cioè scegli uno strumento, non sai perché lo fai, almeno non subito, la mente creativa è molto più rapida nell’afferrare la pinza giusta e utile di quanto la coscienza riesca a fare con i mille ostacoli che frappone tra sé e la comprensione, con-prendere, dunque accogliere, nutrirsi, ritrovare nel saputo, macinare. 

E per tentarti con una risposta alla domanda proibita qui del principio, eccoti una citazione dal proprio Melchiorre, Musica come qualcosa che solo coi suoni si può dire. Da Testo e suono – Libreria musicale italiana – 2023.

Va bene ti lascio qui con una bio del Melchiorre e un link al suo canale Ytbe per ascoltare

Alessandro Melchiorre, compositore formatosi a Milano, Freiburg im Br. e Paris è tra i protagonisti della musica contemporanea italiana ; è stato professore e poi Direttore del Conservatorio di Musica di Milano. Tra le sue opere, da ricordare Fables that Times invents (Het Nieuw Ensemble), Schwelle (Echo Ensemble), Secondo Quartetto (Arditti Quartet), Le città invisibili, su testi di Del Giudice(EIC-IRCAM); Atlante occidentale e Unreported inbound Palermo (prima Rai-Radio3 per il Prix Italia poi Teatro Comunale di Bologna); Mine-haha (da Wedekind-Ottavia Piccolo per la RSI); Il Maestro di Go da Kawabata, (commissione Arena di Verona). Tra gli ultimi lavori LontanandoInventario e Dal buio, per grande orchestra. Nel 2024 scrive Microlìti, spirato alla vita e all’opera di Paul Celan, per due voci e orchestra.

Unknown's avatar

About dascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi della rivista Gli amanti dei libri, diretta da Barbara Bottazzi, sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito
This entry was posted in Fuorisacco and tagged , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Bookmark the permalink.

Leave a comment