L’atra magion vedete…

Non posso non segnalarti, dal corteo di Milano anti.fa, il pregevole striscione “Gaza chiama – Lecco risponde”.

Trovo ier sera questo wapp di un caro amico – caro è pleonasmo lo so, ché gli amici o sono tali o sono nella migliore delle ipotesi conoscenti e non sempre graditi  – e io, che ero andato fuori all’aperto a smaltire l’orgia di retorica nell’aria come sull’aria la canzonetta in Nozze di figaro, a smaltire le scampanate di tutte le chiese riunite fin dalle otto del mattino a celebrare l’unità, della chiesa, e la sua estraneità a una ricorrenza che non è mai riuscita a essere niente di più che un’occasione di chiacchiere, allori e, in anni antichi di prime comunioni di massa –ah come le ricordo le processioni di bimbi che nemmeno in coda per l’antipolio ( chiaro sia che me non ha fatto né prima comunione né il richiamo e soprattuto niente battesimo : grazie mamma e pappà) – io mi sono trovato spaesato, cioè come mi è naturale : senza paese e la signora al governo direbbe senza patria… eh ssì. Ricordo però che il giorno del giuramento, da recluta, nel casermone di Casale Monferrato, giurai con convinzione di difendere la Repubblica  e connessi, forse anche con le armi chiossà ; o forse in quel frangente mi credetti Svizzero : Guglielmo Tell ovvio…

Ier sera come altre sere  sono uscito a fare la  quotidiana dovuta  passeggiata : delle rimembranze. Finché non ne affrancai le ceneri dal loro loculo nel cimitero di Chiaravalle infatti,  in questa ricorrenza  tuttavia e sempre sul calar della sera, poco prima della chiusura del cimitero  e dopo i trionfi di chat & badge resistenziali, andai per anni  a ricordare mio padre. Morì giovane e qualche anno dopo la caduta del Muro di Berlino. Come mi è capitato di scrivere in un mio libretto, morì assediato e in esilio ( Assedio ed Esilio, Orizzonte Atlantico 2020) , da un paese per la cui salvezza fu inchiodato alla sorte di resistente a tredici anni, espulso da tutte le scuole del re d’Italia – il noto Re-natino nazionale – costretto a studi clandestini lui che sopratutto amava i libri quelli che alcuni squadristi vollero levargli. Da lì la migliore carriera che fece fu quella del condannato, a morte in contumacia da due diversi tipi di occupanti, italiani e tedeschi, di in fuga, di fuori dal coro benché molto intonato. A guerra conclusa, dopo essere stato nominato primo oratore del Partito Comunista a Milano, a guerra conclusa, dovette però recuperare la sua 7.65 per difendersi da quel Partito. La pistola gli permise di uscire indenne dal confronto col suo capo callula e, con il suo stigma di trotzkista addosso ma indenne, si allontanò anni luce dai viva Le-nin viva Sta-lin viva Mao-tze-tung sull’aria del quale slogan sfilavano quelli che poi sarebbero diventati tutti capibastone prima del PSI craxiano poi di Forza Italia, oggi non escluderei a priori molti della Lega, qualcuno della F.lli di Taglia s.r.l. Per il resto della sua vita, mon père non fece altro che farmi accorgere del faxismo degli antifascìti e della nequizia del piccicippì, oltre che diccidicci dominante egemone. Peraltro negli anni settanta del xx secolo bastava dire, Ho votato radicale,  per essere ascritti, senza i benefici della legge, al novero dei fascisti : ricordo ricordo certe ammonizioni di colleghi e conoscenti, ma come puoi non votare Piccì tu che devi essere un intellettuale organico ( organico lo sono – risposi nell’occasione – intelletuale non saprei /piccì non voterei) Pur tuttavia dai fachas, quelli senza faccia di bronzo, fui picchiato (1969- Milan Italy-Via Visconti di Modrone angolo Via Mascagni) ; oh che botte, trenta picciotti contra uno. Fui salvato o da uno della politica, non lo so ma era gentile quasssi affettuoso, o da un adulto tra loro che mi strappò, alla lettera, dalle mani di quel manipolo di inferociti. Altri furono meno fortunati di me  in quei tempi. Altri, di questi tempi, ricoverati al Beccaria di Milano, sono ancora meno fortunati : le botte gli piovono addosso non per caso ma per odio e senso orgiastico del potere, del gruppo, dei guappi, della canèa, il potere del bastone che non di rado diventa del cazzo. I tempi cambiano, ma restano, per fortuna di chi ci fa affari, sempre uguali gli umani, sempre incorregibili.

In questi gironi di preludio alle europee e proprio ieri alla vigilia odierna la cittadina di Lecco-risponde si è popolata di plance metri dugento  per cento del più orribile dei fachas locali, un tale un faccione, forse devo dire dottore, dottor Fiocchi, pistole proiettili e vu2: faccione da polenta e osèi, che si propaganda per conto dei suoi fradèi de trilobata Fiamma di Predappio; claim: Lecco ha un unico candidato orgoglio e passione. Ci vuol poco a ecografare in tanto motto, l’utero fertile di ogni fascismo, l’unicità dell’unico, dell’unto e bisunto, del cavalier Vino della Casa, commendator de’ taglieri di affettati e del rivetto ardente. Lecco merita una gita solo per vederne quel faccione digrignoso, di quello lì. E amen.

Ed ecco a cosa serve il 25 aprile. A dar la stura alla sragione che mostra di nuovo e come sempre i suoi mostri. J.L.Borges scrisse dei peronisti argentini, declinazione locale dell’internazionalismo fascio, scrisse : Los peronistas no son ni buenos, ni malos; son incorregibles. L’atre magione vedete dei Fieschi….dei fasci… è l’empio ostello

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L’ElzeMìro di Martedì 23 Aprile

Dopomezzanotte – L’Appeso

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Il racconto l’Appeso si puà trovare anche direttamente nel menu di testata della rivista Gli amanti dei libri  a cura di Barbara Bottazzi.

Nelle categorie L’ElzeMìro e Spazi della rivista stessa si trovano l’ultimo in ordine di tempo e tutti i racconti precedenti.

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L’ElzeMìro di Martedì 9 Aprile

Dopomezzanotte – Twingle twingle

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L’ElzeMìro di Martedì 26 Marzo

Dopomezzanotte – L’uomo in nero

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Sìrfide

Oggi ho cominciato la giornata imparando qualcosa, anzi sto stando imparante qualcosa. Ti racconto. Appena desto vado ad aprire le finestre per dar luce alle piante che vi stanno accanto e cui non faccio mancare nemmeno la prima luce delle sei ; dopo qualche minuto sento volare un moscone, io mi credea ; cerco e invece vedo uno strano volatore, per me, mai visto in tanto d’anni, dal volume di una mosca,  livrea di una vespa o di un’ape, una sacco di lanugine, e un gira e rigira intorno alla begonia che vive lì alla finestra. In altri termini : invece di sbattere il capo contro il vetro come fanno anche le vespe, questa gira e rigira biondina, quasi avesse altri scopi da quello di tornare all’aperto. Dopo breve tentativo di lasciarla uscire, vedo che niente, si è aggrappata al residuo passito di un fiore della begonia e lì sta apppesa come una bacca. Stacco quel residuo e lo metto all’aperto. Dopo un po’ constaterò che l’insetto se n’è ito. Chiamo subito mio figlio giardiniere ed esperto di insetti per chiedere: Sìrfide, mi replica al text. Così apprendo da Wikipedia che i Sirfidi – Il giorno dei Sìrfidi  avrebbe potuto essere un titolo di fantascienza primi sessanta, come l’ omosono, il giorno dei trìfidi – che i Sìrfidi sono tra i più importanti e voraci mangiatori di afidi delle piante e, altro punto a loro favore,  tra gli impollinatori i più svegli e capaci, altro che ; che vivono i sirfidi in colonie transumanti, che possono coprire senza cambi alla guida chilometri e miriametri, insomma una meraviglia tra le tante che testimoniano gli innumeri processi di adattamtento al pianeta di altrettatno innumeri viventi compresi i  virus e, ahimè i bipedi eretti, gli eredi di Neanderthal che siamo. Leggendo della complessa natura dei Sirfidi ho provato di colpo un’infinita riconsocenza per quanti nel tempo hanno spesso l’esistenza, parlo degli entomologi, a osservare, catalogare e differenziare queste creature piccole, modeste, ben costruite e utilissime : i Sìrfidi.

Poi ho pensato ai dìtteri senz’ali  e del tutto infestanti che hanno rivòtato, mangia che ti mangia, il cesso del cremlino e senza utilità, se non il profitto della loro specie divoratrice, né soprattuto vergogna. Ché se davvero avessero voluto farla finita non sarebbero andati per niente, quegli ottantasette per cento, a votare. Lui, il regino di picche, sarebbe stato lì lo stesso a godersi salsicce e cavoli cappucci sul suo tavolo di lacca bianca brianzola, ma almeno senza consenso e invece. (Già detto lo ripeto tra parentesi: se non ti va una guerra spari agli ufficiali ; lo fecero gli uomini-contro della grande guerra, basta essere d’accordo in tanti come suggerì Remarque in Niente di nuovo ; e questo vale anche per i palestiniani, per chi ti pare, per gli israeliani per esempio).

Sono pertanto  contento perchè alle elezioni europee, tristo evento, non andrò a votare per mancanza di alternative ai meloni ; che, oggetivamente, da un punto di vista di sordida quanto squisita ragione politica, sono gli unici da votare, stante la populaglia orrenda di parte avversa ma non troppo, anzi poco e che nemmeno riesce ad esprimere il candidato presidente di una regione che Metternich avrebbe faticato a localizzare sul suo mappamondo, tanto è larva di mosca. Insomma se  non (ti)va quello che offre il mercato passi oltre. Non serve? Non importa : che io compri le pere da questo o quel banchetto è male e non minore, se le pere sono brutte e cattive, ma così, sai, per tenere aperti i mercati e i commercianti càmpino. Campano campano perchè ditteri, ma che si lasciano al contrario impollinare, ce n’è mille e mille di milioni  i cessi da vòtare. Amen e tanti saluti a ssoretə.

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L’ElzeMìro di Martedì 12 Marzo

Dopomezzanotte – Delitto

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Il teorema di Čatak

Gottfried Benn-Statische Gedichte
 
Entwicklungsfremdheit
ist die Tiefe des Weisen,
Kinder und Kindeskinder
beunruhigen ihn nicht,
dringen nicht in ihn ein.

Richtungen vertreten,
Handeln,
Zu- und Abreisen
ist das Zeichen einer Welt,
die nicht klar sieht.
Vor meinem Fenster
– sagt der Weise-
liegt ein Tal,
darin sammeln sich die Schatten,
zwei Pappeln säumen einen Weg,
du weißt – wohin.

Perspektivismus
ist ein anderes Wort für seine Statik:
Linien anlegen,
sie weiterführen,
nach Rankengesetz –
Ranken sprühen -,
auch Schwärme, Krähen,
auswerfen in Winterrot von Frühhimmeln,

dann sinken lassen –
du weißt – für wen.*

Lo dico per evitare che tu ti impelaghi in questo discorso che mi costringe a rendere pubblica qualche abilità di oneiromànte. Dirò il meno possibile ma non si può dire poco dell’ottimo film che è Das Lehrerzimmer , come lo leggi si dice. La sala professori cui la virtuosa distribuzione di Andrea Occhipinti – Lucky Red non impone uno strafalcione italiano, ma se mai il titolo internazionale The teachers’ lounge, filmo tedesco di autore turco visto che Ilker Čatak sa proprio di Istambul.

Allora dicevo, oneiromanzìa o interpretazione dei sogni. A una ragione sensibile mi pare che il film abbia un carattere shakespeariano. Da tragedia. Un film politico non direi proprio, a mio avviso la politica non esiste, ovvero non esiste più in quanto tentativo di imbrigliare l’antropologia ovvero la patologia (si guardi la bagarre repubblicana durante lo speech di Biden al Congresso americano dell’altro ieri); patologia di un mondo denso di conflitto, basato sul conflitto e che il livello di conflitto, dopo averlo innalzato a sistema, alza via via senza che possa intervenire una catarsi. Chi, come me, ha vissuto 35 anni nella scuola persino come genitore, e che quindi ha partecipato a consigli di classe, di scuola, di dipartimento, di istituto, a incontri genitori/professori a elezioni di rappresentanti e direttori, malevolente e di malavoglia, dato il mio pessimo carattere ovvero poco incline alla mediazione tra cretini e pensanti, ha dovuto tuttavia misurarsi con l’antropologia. Questo il teatro, il setting se preferisci, nel quale si mette in scena un teorema geometrico, molto più che una storia shakespeariana, di intrigo e sospetto. Fin dalle prime immagini il parlato si confonde in una sticomitìa ( battuta e risposta rapida) dove tutti levano la voce su tutti, dove l’attesa che l’altro parli è superflua tanto prevale il gusto, la necessità di prevalere, di as-se-rire, di riportare a sé, solo a sé, il dire. Il doppiaggio in italiano ha fatto quello che ha potuto e se le voci sono sempre tutte troppo a fuoco con troppo poco ambiente, alla fine la versione italiana non disgarba dato che è evidente la difficoltà di fonici e direttori di doppiaggio nel versionare il film in italiano. Film che non procede per tesi antitesi sintesi narrative ma per blocchi, a grandi campiture si direbbe in critica d’arte. L’immagine in 4/3 che di suo, ai giorni nostri procura una qualche angustia claustrofobica allo spettatore panavision, è scandita come Mondrian scandiva le sue tele, con in più il gusto esatto delle diagonali, delle ipotenuse, dell’isoscele, delle linee tirate ; le stesse cantate da Gottfried Benn in Statische Gedichte-Poesia statica : Linien anlegen – Ranken sprühen/ tirare linee, proiettare filari. Nel film nessuno cammina, ma fende lo spazio e il tempo scenico, tira linee e filari, e non a caso il film presenta una professoressa di matematica e geometria appunto, l’ottima Leonie Benesch, il suo antagonista, Oscar, il bambino Leonard Stettnisch ; non a caso comincia con la dimostrazione di un’ipotesi – è 1 maggiore o uguale a 0, 99 periodico – ; non a caso termina icasticamente con al soluzione spietata del cubo di Rubik da parte del piccolo grande protagonista, il reietto Oscar. Un genio, uno stratega, uno spietato giocatore alla perle di vetro ( → Hermann Hesse- Il gioco delle perle di vetro). Oscar risolve il cubo e lo riconsegna alla maestra che glielo ha proposto al principio. Nel finale la polizia lo preleva dall’aula dove si è trincerato sollevandolo con tutto il suo seggiolino di legno : ecco un’arsi, una elevazione, un’assunzione olimpica del piccolo protagonista : che ha vinto probabilmente. Usque tandem, fino a quando, scrisse Cicerone. Con un colpo d’ala, Čatak, regista evidentemente musicale – il tempo del film è dato da certi unruhige Tõne, inquietanti, di musica elettronica – con un colpo d’ala da Kubrick, questo Čatak chiude la pellicola con Sogno di una notte di mezza estate di Mendelsohn e chiude proprio a nero dopo i titoli di coda. Un’intuizione, niente marketing.

È un film di massa critica che esplode nelle teste e nei cervelli. Siamo pronti, ad oggi e mi pare evidente, per altri Hitler, a una burocrazia della morte, a una giovinezza hitleriana con tanta libertà da bruciare e miti scambiati per verità ( con altra geniale intuizione citata nel film con una iscrizione, propaganda, latina) a una giovinezza che come nel film Cabaret …den morgigen Tag ist mein – il domani mi appartiene, canta. E chi canta, l’adorabile canzoncina in quel film… un bambinetto in divisa. Se guardi alle notizie del giorno e se appunto hai ascoltato il discorso, accorato e seccato, di Joe Biden alla Congresso, almeno la domanda te la fai : ci risiamo. Non metto punti interrogativi.

*Estraneità al Disegno
è l’ottica del Saggio,
Bimbi e Bimbi-dei-bimbi
non lo mettono in allarme,
non gli entrano nel cuore.

Tra correnti destreggiarsi,
immedesimarsi,
Per dove e da dove partire
è il Segno di un Mondo,
che chiaro non ci vede.
Fuor dalla mia Finestra
– dice il Saggio –
si allunga una Valle,
là vi si adunano le Ombre,
due Pioppi orlano una Strada,
tu sai – per dove.

Prospettivismo
è un’altra Parola adatta alla sua Statica:
tirare Linee,
prolungarle
in filari normati –
proiettare filari –,
Anche Sciami, Cornacchie,
spandere nel rosso invernale di un cielo precoce,

lasciare poi che tutto affondi –

tu sai – per chi.

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Fanatascienze

Non sono come è noto un politologo né un esperto di nulla che esuli dal mio ristrettissimo campo e chiedo scusa ma sono uno che si indigna spesso, si spaventa e si arrabbia come il gatto in gabbia. Così offro al miglior offerente questo articolo del NYT che la racconta lunga sulla deriva americana che ci aspetta. Presto l’Europa e quel che resta di un mondo libero oltre che liberale – chissà il Giappone – si troverà schiacciato tra due potenze dittatoriali, neoquacchera l’una, neosovietica l’altra. E a Sud ma nemmeno spostarsi, nemmeno guardare oltremare perché siamo, non dico invasi, ma pervasi da masse mussulmane prepotenti, indifferenti all’integrazione e portatrici di un altro tipo di fascismo. A Gaza crepano è vero sotto le bombe israeliane, non meno non più fasciste tuttavia di quelle autoctone  di Hamas che prospera sul delitto, sul patire della sua stessa gente, prona, e chissà beata del governo che ha. Il fascismo oggi è  dunque di tre tipi principali,  il trumpismo, il putinismo, l’ayatollismo. Tutto questo letto con approssimazione, ripeto, costernata e spaventata, anche perché l’Europa è un baraccone che sta per affondare nell’acqua di sentina dei nostri fascismi nostrali. Vedrai  vedrai le elezioni, O si dovranno chiamare erezioni…. eya eya eya ararat ? Su tutto ciò avvilisce e atterrisce ancora di più la polverizzazione di qualsiasi buonsenso in un centrifugato di sinistra che sembra composto da ebeti e forsennati e cocainomani. E come disse la marchesa camminando sugli specchi, Come me la vedo brutta.

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Da leggersi Dune

Dal basso della mia posizione di specialista dell’insuccesso qual io mi vanto posso parlare con il massimo agio di film di fantascienza perché circa la loro genesi e sviluppo mi laureai a suo tempo, relatore Umberto Eco che mi accusò di spiritualismo senza sapere che di Bergson non avevo letto nemmeno le date di nascita e morte, che ero ateo genetico e nietzsciano acquisito dopo averne acquisito ed eletto l’opera omnia, hmm quasi omnia, dell’adelphi; ma a lui, all’Umberto stetti semplicemente sulli cabasisi perché non usai i suoi strumenti di indagine semiotica. Un punto mi diede per premio, un punto e mi fermò a 109.

La fantascienza è nata con il cinema, il cinema fu in sé fantascienza e, per esteso, l’arrivo della locomotiva in sala vista dal punto di vista di uno che sta sui binari fu il primo di una serie di film catastrofisti. Ma insomma se vuoi sentirti citare qualche titolo più denso prendi Metropolis di Lang, senza gli interventi di Moroder al sintetizzatore . Poi il cinema si sbizzarrì in avventure spaziali, molte di serie B o C, Quatermass, Forbidden planet, in mostri, The Thing, Them, nelle distopie, 1984, e poi Brasil che di serie era A con relativi cliché di paura e orrore ( vidi Cittadino dello spazio al cinema Prealpi di piazza Prealpi a Milano, ah Milàn Milàn l’era bela granda , avevo 3 anni e baby sitter era termine ignoto ai miei giovani genitori sicché sempre con loro dovunque : e io mi spaventai a sangue alla vista di un cervellone gigante che cento ne pensa e mille ne fa) Il genere, piuttosto tipico prodotto della guerra fredda – gli alieni, i manipolatori, i cattivi del di fuori sono i sovieti, vero è uguali a oggi, come poi in 007, a guardare i film con occhio interpretativo ; la lotta degli umani, cioè dei buoni occidentali è sempre per salvaguardare le proprie cocacole, i frighi e la cucina americana – , il genere prese a declinare intorno ai sessanta del XX sec. A parte arrivarono Alphaville di Godard che a suo modo fu un capolavoro, e poi Stranamore, capolavoro, e Space Odissey, Solaris, sai di chi, e Star wars, il primo, che vidi nell’enorme cinema Manzoni a Milano in prima fila centrale allucinato dalle immagini ; infine Blade runner, visto e stravisto : I’ve seen things you people wouldn’t believe… Attack ships on fire off the shoulder of Orion. Ma dei film moderni, anche la serie Spazio 1999 che passava in tv la domenica pomeriggio alle cinque, visti o rivisti appaiono come prodotti di un declino. La vera ascesa allo spazio e tutta la tecnologia connessa, compressa quella qui che mi permette di scrivere sciocchezze e di metterle in rete, volessi persino dettando a questa macchina, bè hanno in larga misura superato i limiti fantastici evocati dal cinema.

Ma se capita, vado ancora a vedere cose. A suo tempo, con piacere, il Dune di Linch, molto disprezzato e che invece era un bel lavoro di costumistica, ambientazione, luci, messa in sccena e recitazione – il barone Arkonnen come un brufolo raccapricciante e capriccioso e il bellissimo androgino Sting, superbi –. Quindi dei sequel, del sequel del sequel in sala da ieri mi pare, che vuoi che ti dica perché guarda che è difficile parlare male di una cosa che non è un film, questo dune ; leggilo all’italiana dune perché altro non è se non  la proiezione di diapositive – sai gli amici che ti suppliziano con le loro foto animate a Photoshop – del viaggio di nozze in Marocco di Paul Atreides and Chani Kynes. Si può invero lamentare la riduzione del cinema a questo, si può lamentare la mancanza di cinematografia, di mise en scene. E si può osservare come il regista che ha il nome di un automobilista di F1, sia apparso alla madonna della mediocrità e sotto il suo manto azzurro si sia accoccolato. Hic manebimus optime. Altro boh. Di Dune la prima e l’ultima cosa bella che ho avuto dalla noia è Zendaya, per cui ho un debole e che trovo di cangiante e inquietante bellezza da quando la scopersi, fino a scovare in rete tutte le sue apparizioni da ragazzina, in quella formidabile serie fuori dalle righe che fu Euphoria… andata a male in secondo stagione in un autocliché…. e in coppia con la fulminante e bellissima anche lei Hunter Schaefer ( mi rifiuto di qualificare la sua situazione di genere di cui non ce ne può fregà de meno). Zendaya/Chani, qui tra le dune si muove bene, ex ballerina, agile agile studiata, regge benissimo il primo e il primissimo piano, è intensa senza essere straordinaria e si vede che ha cercato di suggerire al regista, senza essere ascoltata ma lasciata fare senza volante, che occorre essere credibili. Chalumet-della-pace-sia-con-lui, forse dovrebbe riflettere invece sul cosa fare da grande ammesso che arrivi ad esserlo e decida di cambiare parrucchiere. Il resto del cast con qualche nomone, omesso per rispetto alla carriera, attinge ai propri ricordi di scuola d’arte drammatica i dejà vu  appresi, ma senza nemmeno l’impegno contrattuale. Forse pagati poco o stufi di tenere la testa ferma, le braccia ferme, gli occhi sgranati in un esoftalmo maligno, la bocca in un ghigno da ictus. Ma ripeto, tutti ospiti del viaggio di nozze, tra tramonti, arconti, pobbie, sabbie, rune, crune, lune e dune e tiro alla fune, con verme.

Volevo uscire dopo il primo tempo che in questo caso è arrivato gradito a lasciare sgranchire il sedere formicolante. In più ostia, davanti a noi una coppia disturbata di piccioncini presi da una còrea extraterrestre, e tuffa le dita nel popcorn e bevi la sprite e apri la minerale e pulisciti il bocchino e vai a fare pipì. Veri alieni? No, autentici rompicoglioni. Dune è risultante di un marketing fascistoide, vedér per credér, che conosce mandibole, tentacoli, ureteri  e allahkbar del suo pubblico.

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L’ElzeMìro di Martedì 27 Febbraio

Dopomezzanotte – Zucchini

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