È una bella giornata di sole e di vento in questa città quaresimale e ottusa, sainte marie au cachot, per chi non lo sapesse.
La carne è debole si sa, infatti o secca o imputridisce o brucia, in vari modi, almeno due, per effetto di fiamme, da tanatos tanto quanto e tanto meglio da eros appiccate, così che mentre nelle aule dalla debole acustica le anime si suppongono intese all’opera di fortificarsi con la declinazione di congiunti e congiuntivi saffici, sulla visione della gerusalemme celeste e con le particelle elementari, tanto elementari che nessuno concede loro nell’aula nulla più dello sguardo che si riserva a una mosca, nel segreto dei bagni uomini, qui sta l’errore perché in tutt’altro modo si sarebbe presentata la cosa nello spazio scenico dei bagni femminili, ecco che pino e sabino, di anni 18, intesi pin e sabi nella vulgata lombarda, si scambiano un numero imprecisato di baci, d’amore si direbbe e di curiosità. Si esclude il dolo perché il bacio è cosa che non si può violentare. Tant’è non è d’uso nella pratica nota dell’abuso. In quella, il bidello, così si chiamavano un tempo i cosiddetti commessi al piano; detti così benché non stiano al piano e non commettano niente finché non lo commettono, il bidello cosiddetto antonino intenzionato forse a chiudersi in un stabbio per placare l’intensa fantasia scatenata dalla minigonna della nuova applicata di segreteria, in quella dicevamo, tra dolci baci e languide carezze ecco che cosiddetto antonino irrompe, scopre deliberato il delitto e sbraita e minaccia. Pino e sabino si trovano nel dopo, in balìa, curiosa parola che in questa giornata di sole vorrebbe avere l’accento sulla à di bàlia, in balìa di un personaggio oscuro, un dottore in lettere, dentro le lettere, un postino dunque, assunto al cielo della direzione didattica con il compito antico di sorvegliare, catalogare e punire. Il dottore direttore cataloga con infallibile ragion pura i due, ascrivendoli senza omissis al registro dei dannati, li deferisce alla geenna del giudizio finale dei loro rispettivi padreterni, tutti dottori e laureati questi, il nostro liceo alleva il meglio della classe dirigente di domani si intenda bene, impomatati anglophonati e con le orecchie ancora frizzanti per le molteplici telefonate fatte fino a quell’ora a cominciare dalle amanti su fino agli angeli svizzeri custodi dei loro contanti. Entrano nel salotto buio i padri eterni, brillano le loro camicie stirate da donne di periferia con cui si contratta sei euro, sei euro e mezzo, sette, non otto è troppo per un’ora di stiro, e che le pieghe siano ben piegate, che sarà mai stirare, da che mondo e mondo maria, non ti pare, dare del tu alla servitù, stirano camicie a padreterni.
I due dannati in un angolo si tengono per mano, come piccoli fanti ribelli davanti al plotone mortale degli ufficiali padroni. E con una manata il primo dei padreterni scioglie opus sine lege nisi deo l’abbraccio peccaminato, mentre l’altro eccitato dalla possibilità che il sangue coli dal sangue del suo sangue viene fermato dal direttore, all’improvviso calato nei pantaloni del mediatore linguacciuto; non drammatizziamo, s’immagina che dica, sono bravi ragazzi, ottimi voti, hanno solo cinque baci di debito deformato, rimedieranno, cinque giorni di reclusione in casa o quindici o quello che vogliono lor signori e, per virtù del ministero della santità un voto negativo nel registro di condotta; si potrebbe anche pensare all’obbligo di seguire il corso di religione cattolica così spesso disertato ma non è luogo a procedere.
Il giorno dopo pino, più adatto per nome ai lavori forzati viene spedito in un collegio salesiano dove certo potrà approfittare della pratica acquisita nel sordido cesso scolastico dello stato, per adattarsi ad altri tipi di attenzioni di qualche decano, priore o confessore dal bello studio foderato. Sabino invece apre la finestra della stanza che l’ha visto nascere, fa il suo piano di volo, ma non ne lascia traccia né sulla mensola con gli aeroplanini di bambino, né sulla scrivania del pc al vaglio degli inquirenti, l’attico del padreterno si lascia in un attimo. Scende rapido che è un piacere guardarlo sabino. Si può morire anche prima dell’atterraggio, dicono che sia possibile, dipenderà dall’altezza, si soffoca e questo è un innegabile vantaggio.
Padre orco padre porco, che non te ne vai in cielo, direttore o preside con e senza pantaloni, bidello incafardato mano-di-patta, l’ombra di sabi assassinato e di pino venduto ai ladroni come una giovane ucraina da squartare, come una signorina carlotta alle buone suore, vi visiterà la notte, per tutte le notti di tutti i giorni; i morti giovani non hanno requie e gridano vendetta, ma non al cielo.
S’udiva intanto dalle amate sponde
sommesso e lieve il tripudiar de l’onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero.
Il PADRE mormorò, non passa lo straniero
Un pugno di emozioni. Vorrei che un pugno arrivasse ad altri.
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Si sarà intuito che ho messo solo le parole per impugnare la rabbia dopo essermela fatta passare; il fatto è efferato non meno non più dei delitti di quanti vendono i figli sulle strade di dakar o di chissà dove ma, in questo caso manca l’attenuante grave della miseria e invece la ricchezza o il benessere costituiscono una orribile aggravante. Avrebbe dovuto essere denunciato il fatto ma i colpevoli si sono auto assolti con il silenzio credo della vergogna, forse di comodo o perlomeno ex post; non escludo che si lecchino qualche ferita ma non escludo nemmeno che si raccontino, ancora per assolversi, qualcosa del genere, eh ma che che cosa abbiamo fatto, dopo tutto bastava che la smettesse. Non esprimo giudizi ma ripugnanza, la stessa che provo quando per caso mi capita di vedere intervistato, per motivi storici certo, qualche simpatico vecchino in lederhosen che da piccolo ha fatto il guardiano di qualche piccolo campetto di piccoli stermini, dove, di persona, non ha egli commesso alcun delitto. Guarda che ti passa.
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