Tutti mi dicono bionda ma io bionda non sono**…
Qualcuno, nel pattuglione di insperati lettori, si domanderà come mai, dopo un meditato silenzio impegnato per un’opera ‘ssai voluminosa per la quale trovare un editore è l’impresa delle imprese, pubblico adesso simil-dotte conferenze in vece di racconti. Il fatto è questo; le dotte sono un omaggio ai padri greci, un tanghino argentato che mi costa soltanto il divertimento di produrlo, il gusto di gettarmi nel witz a blitz, il piacere del paradosso rivelatore, il brivido dell’escursione in solitaria che tanto mi allontana dal, tanto mi rende antipatico al resto del mondo; si sa; il bipede che trova for ever and ever lustro lo specchio delle sue brame di plauso, approvazione e reame, il bipede perennis euro 7, il suddito alla Mann, il kulturphilister* dire-fare-cosare ché al pensare ha sostituito l’informazione che pensa per i più e li dispensa così dalla tavoletta, IL tablet -LA tablet e LA automobile- come dalla più comoda tavoletta della comoda, assicella del cesso da dove il pre-digerito si muta in pre-defecato, il piccolo borghese che dà premi alla stessa strega ha da essere simpatico, culinario e bella persona; tutti mi chiamano bionda, detta il marketing dell’anima postulato di recente da un noto editore di su’cessi. Tutto quello che c’è, sì. Il racconto invece, il racconto in quanto stile di racconto, di ritmo, di termini e confini, nonostante la mia ben nota agilità pennaiuola, è un lavoro per me, il mio autentico lavoro; in senso fisico uno spostamento di tempo, peso e misura. Dunque mi tratterrò d’ora in avanti dal distribuire gratis, benché a pochi disinteressati, ciò che almeno nella fantasia potrei rilasciare al cambio del suo valore. In attesa di questa eventualità, delle prossime apparizioni, suggerisco di riguardare l’ELLEnco delle mie operette già comparse e di divisarne l’acquisto, il regalo di buon augurio agli amici più cari per un anno, nuovo di rivincita della letteratura sul giornalismo e sulla fuffa truffa. Regalarsi basta, mi ha ingiunto il mio editore, Specie a chi non si accorge delle tue ormai ripetute epifanie di befàno, tante che nemmeno la migliore tra le madonne basterebbe ora ad osservarle. Agli operai la giusta mercedes. Dunque chi può, chi vuole, faccia contento l’editore senza pensare a me che tutti mi dicono difficile ma io difficile non sono; anzi, per cortesia natalizia offro ora questa canzonetta da meditazione sulla quale tanto fantasticavo da bambino, malato, sempre malato, ascoltandola alla radio da Nilla Pizzi e struggendomi prima di darmi conto che d’ogni alba il destino è diventar tramonto/Alessandrino.