Non è certo per me che mi preoccupo, ovvero alla lettera che me ne occupo con anticipo ed inquietudine, né per i molti che mi sono affini per età o elezione e, forse ma non è assodato, per lucidità di pensiero; io apparente, e non solo, potrei morire ora stesso colpito da una saetta olimpica; oh come mi piacerebbe non dovere attendere più complesse apocalissi, schlang ti saluto e non sono più. Del resto di che giri gira gira l’elica e romba il motor del mondo l’ho visto a sufficienza e afferrato al volo; dopo una certa età vivere rende consapevoli del sostare in una sorta di limbo tra la cella della morte e l’agonia; chiunque la vorrebbe il meno spiacevole possibile piuttosto che lunga, schlang. Chi come me, ha lasciato da tempo i propri genitori in orbita terrestre, da quel momento ha chiaro di essere a sua volta sparato in un buco a fare il bosóne di se stesso, schlang.
Ha piovuto ieri una pioggia svogliata dopo cinquanta giorni di siccità; oggi nubi isteriche sembrano disponibili ma non si concedono; oh se la piova piovesse, torrenti che si sono già insabbiati potrebbero riceverne un piccolo beneficio. Piccolo davvero. Le alpi sono depilate al punto che la neve non sa a che santo aggrapparsi. L’idiozia scia su piste di candore artificiale ma che importa. Scommettere che i telegiornalieri parlano di maltempo, ma tornerà il sereno. Verrà il sereno e i vostri occhiali avrà (1), oh cravattieri di guascogna.
A distanza di anni luce si collocano tutte le opere degli ingegni brillanti che hanno popolato il pianeta e, benché più vicino, il lontano ricordo di un film pieno di attori oggi deceduti o decidui, La grande bouffe-la grande abbuffata, 1973 (2), predizione di un mondo così bene intonato al perdurante idealismo delle magnifiche sorti e progressive (3) da non rendersi conto di rappresentare l’auto sacramentàl di una stirpe furibonda, rapace di appropriazione e di estinzione, compiaciuta dell’eccesso, dello scialo insensibile, demente fronte alla propria stessa eliminazione, anzi dedita con metodo al proprio suicidio.
Coevo o quasi, 1972, tuttavia di qualche anno luce più in là, anche il misconosciuto primo rapporto del Club di Roma sui limiti dello sviluppo (4). Fu chiaro in quegli anni a pochi svegli che si andava a rotoli. Eppure tutte le Fiat del pianeta vendevano giocattoli a motore affinché il pezzente, illuso di stare su una democratica griglia di partenza, si sentisse assunto tra i pari del mondo; affinché lo specchio delle sue brame gli sussurrasse ogni giorno l’incantesimo adatto a farlo sentire alla guida dello stesso trick e track utile a farlo girare e rigirare dritto nella gara per l’appagamento fino all’annegamento.
Allora di che ti vai lagnando, non capiamo, spiegati, qualcuno domanderà tacendo. Interrogato lo sventurato risponde che si lagna, si perplètta, si désola perché gli appare chiaro quanto quello stendardo della cinematografia, hollywood, apposdatato sulle colline de los angeles, sbandieri il proprio hic manebimus optime (5) alla pari con uno dei tanti stendardi neri che si stendardano su deserti già costituiti tali. Hic non manebimus. 50 giorni di siccità in territorio alpino sono segnale di facile decifrazione, un annuncio fatto a marie di sventura che l’era della mangiatoria è finita. Tranne che per pochi auto-eletti scericchi. There is a thin thread of a plot che lega insieme fatti in apparenza distanti. La vendita di petrolio e i delitti seriali dei jihadisti significano la stessa cosa: abbuffiamoli, non ci sarà bisogno di mangiarli. I figli e i figli dei figli… chiudo tutti gli occhi che possiedo per non immaginare il resto. Il discorso potrà apparire fumoso ma non è inquinante. Amen. Atmen (6).
La ginestra o il fiore del deserto https://www.youtube.com/watch?v=ZqzVXF3Fx4Y
Ho l’impressione Diego che si sia persa la connessione. Se non avevi letto vuol dire che non ti è arrivato e con lui molti post che curiosamente non hanno suscitato reazioni. Prova a ricliccare su follow+ e ridai l’indirizzo. Se vuoi. Abbracci.
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http://diego56.com/2016/02/05/ben-ci-sta/
per chi volesse per curiosità veder lo stesso tema trattato dalla mia esangue penna
in effetti c’è una coincidenza, ma purtroppo gli eventi son quello che sono
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bravo pasquale, con molta più esangue penna anch’io ne scrissi or ora, con sentimenti simili
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Amico mio, da tempo mi vado abituando all’idea che alcune specie si estinguono – guarda i dinosauri, e neppure ne sappiamo bene il come e perché – e quindi non c’è motivo alcuno perché ciò non accada alla specie umana, che per molti aspetti si distingue dalle altre originate su questo pianeta, ma principalmente, mi pare, per l’attitudine – rara in altre specie – a infierire con ferocia sui propri simili, oltre che a devastare con pervicace impegno tutto ciò che la mantiene in vita. Personalmente non posso proprio fare nulla per fermarla… mi limito (consapevolmente nascondendo la testa sotto la sabbia per non vedere) a sperare che troppe catastrofi non si abbattano su coloro che, come diceva Tomasi di Lampedusa, “possiamo accarezzare con queste mani”. Che cosa sia il resto, ce lo insegnava già Amleto.
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Grazie Gatto, per affinità felina siamo abituati a guardarci intorno socchiudendo gli occhietti. Nel caso a scappare pancia a terra. Il finale del tuo commento suscita radiose lacrime. Mi par di rileggere la morte di Socrate che pian pianino sale su per le zampe. Eppure si chiacchiera con gli amici mici.
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ecco, tutto sapientemente fotografato, come da te. Anche la foto è agghiacciante e, ogni volta che mi capita un volo di notte, mi dico che siamo il cancro della Terra. MA. Ma bisogna ben seminare qualcosa che possa crescere, al posto di passare il tempo ad aspettare uno schlang qualsiasi.Va bene le parole ma il fare? Serve buon concime e va cercato e raccolto. Con stima. E.
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Grazie Manuela per la bacchettata sulla tastiera, ma. Ma mi pare che di là dalle piccole attenzioni individuali o di gruppo, gli strumenti in mano ai piccoli per deviare il corso delle cose, siano inesistenti. Risparmio l’acqua, la luce, il gas, giro in treno, non compro,non alimento il sistema nei limiti del mio. Non sto zitto finché non sarà vietato e manca poco, ché per far finta di protestare occorre, anche lì, essere organici al potere. Abbiamo più giornalisti che esseri umani in giro, cioè padroni di opinioni grate al regime, che è mondiale. Da solo poi questo paese sperpera 2,5 milioni di euro al giorno per mantenere soldatini nel deserto. La bottega statale di restauro degli arazzi storici, a Firenze chiude priva di fondi. E, più terra terra, io insegno con mezzi di fortuna, non ho nemmeno un’aula come si dovrebbe, ma un magazzino. I grandi della terra si fanno una vacanza a Parigi per ottenere lo storico risultato di mezzo grado. L’ecologia è un diletto costoso. Non credo che ci sia qualcosa che si possa fare per ottenere. Tranne non adeguarsi. Quante alle speranze sono convinto con Monicelli che siano la gibigiana messa in atto dalle chiese per mantenere lo status quo. Non dico cose nuove. Vedi Leopardi. Un carissimo saluto. P.
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Caro Alberto, che dire, il tuo vaglio è una guida e un conforto. A volte peraltro, come in questo caso, sarei tentato dall’idea di avere scritto scempiaggini peggio di Checco Zalone che, non a caso, ha incassato sette milioni in pochi giorni. L’errore piace. L’orrore di più. Stringiamoci a coorte. Grazie. P.
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Uno dei testi più lucidi che abbia letto da anni. E uno dei tuoi più belli, meglio costruiti. Di questo genere di parole, se non di tali appunto, dovrebbero nutrirsi i fogli informativi, se tali fossero e non semplice meretricio offerto al padrone.
Condivido per intero i tuoi sentimenti e concetti, Pasquale. Credo infatti che ormai nulla ci sia da fare. Il Club di Roma, guidato dal lucidissimo Aurelio Peccei, aveva avvertito per tempo ma non venne ascoltato. Forse non poteva esserlo. Il pianeta ci sputerà come uno ‘scracchio’ (in siculo vale come ‘fastidiosa mucosa’) e finalmente la Terra avrà un poco di requie da questa specie pretenziosa, geniale e miope. Hic manebimus optime, penseranno gli altri viventi.
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