Molti e molti anni fa il signor T., gran lavoratore e onesta persona di indefettibile fede PiCcina, stretta addosso come per lo più le fedi, il cui scopo bensì è restringere non l’ego, ché anzi a quello viene garantita libera circolazione di qua e di là da ogni limitante frontiera, ma di condannare ieri come deridere o compatire oggi chi, in assenza di una patologia specifica che ne prescriva l’uso, senza le stampelle del potere cammina, il signor T, uomo che chiamava Enrico il proprio nume tutelare M. de Berlinguer come fosse un personaggio sfuggito alla trama dell’Andrea Chénier per modellarsi una neo-aristocrazia tutta sua basata sulle masnade tra le più versate nell’uso di martello e ghigliottina, il signor T dunque, mi obbiettò, riferendosi a un attore e di gran vaglia al centro di una ben vexata quaestio tra lui e me, M. Carmelo Bene, mi obbiettò che a tale attore un intellettuale organico – quale io ai suoi occhi risultavo per un mal corretto difetto non solo visivo ma anche prospettico – non poteva concedere credito alcuno, né come attore né tantomeno come bipede, nemmeno perdere tempo a far di sue vanità falò. L’estro del momento mi suggerì di rispondere che intellettuale non avrei saputo dire se lo fossi o no, e quanto all’organico beh, ciò era un lampante fatto biologico dovuto a un’imposizione della natura che, donandomi una doppia elica di DNA con cui volare, mi aveva negato alla duratura cristallina semplicità dell’inorganico, fosse esso quarzo, feldspato od ortoclasio. Altri tempi, tempi orfani di un nome del padre, direbbe M. Lacan (1), severo ma giusto nel concedere asilo ed esistenza a non poche intelligenze private, proibite alla pubblica manifestazione di se medesime dai numerosi e indefettibili fascismi, di allora come d’ora, in cambio di un piccolo concordato tra quelle intelligenze stesse e il babbino caro (2), acciò che esse intelligenti fossero, ma non troppo, né tanto da contraddire il babbo e tutta la famigliola. Dopo il complesso di Edipo, il complesso di Lunačarskij, chi era costui. Diverte e spaura dunque, in merito all’altra super vexata quaestio costituzionale, quel farsi carico dei pensieri altrui di personaggi non riusciti nello sforzo d’essere persone, come M. Benigni che la Costituzione è bella ciao ma Sì, un corno le si può fare o non saremmo uomini e l’uomo si sa è cacciatore, di balle per lo più, o amenità pallide come ministre. Diverte e spaura sentire gli accorati appelli contro banche e baratri, del nuovo Idomeneo di creta, nel senso di sedimento non litificato costituito da alluminosilicati idrati appartenenti alla classe dei fillosilicati ovvero argilla, M. Cacciari (3), che si caccia in grovigli di sì al no, no al sì, ma dal sì al sì, in laguna la filosofia facciam così, che vengan denari al resto son qua io, ïa ïa oh. Ora, non stupisce ma desertifica la volontà di commento l’assenza nell’uno di umorismo; male non raro nei comici, grandi e piccini, più attenti a conservare un regime che a beffarsene, visto che è grazie allo stesso che campano e nel piatto villan mangia e non sputa. Il sarcasmo genera mostri di segno contrario. Né stupisce la disattenzione alla propria comicità dell’altro, dell’involontario veneziano, così misurato nel farsi maschera di una nuova commedia dell’arte, tanto che ascoltarlo suggerisce il piacere del ron ron che diffondono i vari corrieri. Per ogni sera che le stagioni non mutano. Su tutto aleggia l’odore non della benigna merda ma del sospettabile soldo.(4)Uffa.
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forse Cacciari farebbe meglio a dire che vota sì, senza a tutti costi voler apparire un pensatore al di là delle parti, fuori dalla mischia, più in alto; alla fine l’unico renziano onesto è Renzi; che dire, votare insieme a Brunetta e Salvini? votare insieme a Benigni, Briatore, Cacciari? speriamo che piova forte, quel giorno e che un raffreddore m’imponga un sereno anticipo della poltronesca vecchiaia col plaid sulle ginocchia
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I casì citati a parte, non si tratta di votare con qualcuno ma per se stessi e pochi altri. Per dissentire. In caso di piova leggere impoltronirsi con Saggio sulla lucidità di Saramago, e rabbrividire tanto da ripassare prima questo saggio https://www.youtube.com/watch?v=gtjbvIjwnY4 e poi correre a votare, il cesso se non altro.
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“Povero Rigoletto”, cantano, ma i cortigiani del mai prono ai potenti Verdi. Altri tempi, altri uomini, altri italiani, quasi stranieri di sé. Le tue repliche dissolvono ogni perplessità sull’opportunità dei miei commentari del reale. Un grande abbraccio P.
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“Diverte e spaura dunque, in merito all’altra super vexata quaestio costituzionale, quel farsi carico dei pensieri altrui di personaggi non riusciti nello sforzo d’essere persone, come M. Benigni che la Costituzione è bella ciao ma Sì, un corno le si può fare o non saremmo uomini e l’uomo si sa è cacciatore, di balle per lo più, o amenità pallide come ministre.
[…]
Su tutto aleggia l’odore non della benigna merda ma del sospettabile soldo”.
Commentandoti, non posso che citarti, Pasquale. Tanto è esatta la tua dizione del mondo.
Esatta. Indignata e distante, ironica e dolente.
Sì, colui non è ‘persona’ poiché tale è chi sa d’essere ‘maschera’ che la natura ha plasmato dandole identità. E invece qui abbiamo una bandierina che garrisce là dove la porta il soldo.
Grave fu già ai miei occhi il diabetico filoamericanismo de La vita è bella, film furbastro e superficiale. Il resto è stato un rotolare tra sghignazzi e banconote (non ricordo l’esatto ammontare delle cifre dantesche ma alte assai) sino al patetico ‘Sì’ pronunziato davanti ai lacerti della Costituzione, ridotta a pronuba testimone dello sposalizio con Renzi, vale a dire con il potere. E allora forse devo rettificare: Benigni è persona, con una sua identità costante. La costanza del ‘buffone’ nel senso più rigoroso, storico, colui il quale anche e soprattutto quando sbeffeggia il suo re, lo fa perché dal re è pagato.
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