Αιών, Χρόνος, Καιρός, Aiòn, Chrònos, Kairòs sono i tre termini che designano nel greco degli antichi le tre modalità del tempo, ossia l’infinito, il cronologico, il momento – la pienezza del tempo ( in Aiòn, Alberto Giovanni Biuso – Villaggio Maori 2016 – pg. 30)
Sempre a proposito di tempi, perduti e non, Aiòn è il titolo ovvero il tema che il filosofo ha assegnato al suo ultimo libro e che, a mio modo di vedere, dovrebbe essere il libro del cuore di tutti gli uomini di buona volontà; la stessa buona volontà di Nietzsche nell’andare contro il proprio tempo, come scrisse Rudolf Steiner *, nel ribaltare le carte in tavola ai Kulturphilister, ai filistei della cultura**. Bari, nel senso di cheaters. Aiòn è un libretto tanto breve quanto concentrato, quanto complesso; scandito temporalmente da una partizione in tanti capitoli – sei, Teoresi, Filosofia, Fisica, Antropologia, Estetica, Metafisica – quanti sono dunque i legami di Tempo con i fatti, con la materia, con il pensiero, con i sotterranei della vita quotidiana che, peraltro, dai tempi più lontani è il campo di esplorazione del filosofo; e con una struttura compositiva che rimanda al rigore e a certe ricorsività della composizione musicale – ogni capitolo finisce con sei differenti variate cadenze intorno alla stessa parola, Αιών: il tempo è quest’identità differente. (…) L’essere è evento. Ogni immagine-mondo stabile e perenne va sostituita con un’immagine-tempo che è la verità del mondo. Un tempo che non consiste soltanto nell’ordinata geometria del χρόνος ma anche nel frattale sempre nuovo dell’Αιών (ivi Metafisica – pg. 117).
Chi conosce Alberto Biuso sa come, ascoltandone il discorso, all’interlocutore sia dato di vedere il suo pensare costruirsi, prendere forma fisica nell’aria, di parole màndala***, che pronte disappaiono là dove non si copino nel pensare altrui, e dunque come architetture in movimento continuo la cui traccia permane e non si sa bene, dopo – dopo, hmm – che forma abbiano acquisito****. Forse quella di sentimento. Il pensiero di Biuso prende tempo, cioè si prende una parte di chi lo deve riformulare in sé, per adattarlo, per cum – prehĕndĕre, scilicet, farlo proprio a dispetto, non di rado, da quella intelligenza che di ogni dire altrui si pretende automatica e vertice del sapere, cioè del aver sapore. Ma domandarsi se intellĭgĕre è comprendere sarebbe opportuno. Nel tempo, mi sembra di non avere strumenti ragionevoli per capirmi ma di comprendere, ovvero, dopo un po’ di tempo, di avere in me sotto qualche altra forma i detti e i fatti. Di averne acquisito la materia senza che io abbia fatto nulla per conquistarla. Ma questi sono fatti miei. Non saprei fare una lezione su questo libro importante, così tanto sottolineato e notato e dunque amato da rendersi necessaria non una ma diverse riletture, l’assimilazione, la mutevole comprensione. Posso dire che mi pare ribalti le carte in tavola ai bari, appunto. Che instilla una profonda, folgorante intuizione del limite, in spregio del quale ecco ὕβϱις, la dismisura che tutto devasta, mandando fuori tempo l’atto, l’umano per lo più. Non mi pare infatti che esista questo luminoso concetto greco nella cosmogonia dei gatti. Aiòn.
Il tempo è la realtà stessa che rende l’universo da noi conosciuto un’indissolubile unità dentro la quale tutto è legato a tutto (…) L’unità metafisica ed estetica del tempo (…) che Heidegger chiama Zeitlichkeit (temporalità ndr.) Tale unità primordiale rappresenta uno dei nuclei dell’ontologia fondamentale, che in Heidegger è costitutivamente linguistica poiché si danno mondo e comprensione del mondo soltanto nel e attraverso il linguaggio che è linguaggio del tempo nel duplice senso del genitivo: linguaggio che nel tempo accade, linguaggio nel quale il tempo parla. (Aiòn pg. 30)
è un libro importante, richiede un lettore che vuole ripartire dal principio della filosofia, dalla domanda iniziale; a tratti arduo per chi ha una preparazione traballante, ma dopo che lo hai letto pensi: «ho fatto un passo avanti, in questa strana faccenda d’esser vivo»
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Ma sai Diego, il mio punto di vista è che un’opera, qualunque sia ma questa non è qualunque, trova il lettore senza richiederlo e senza richiedere preparazione ché, tale è il caso, indica da sé il proprio senso. Sta al lettore di infilare il cuneetto sotto le proprie traballanze. La difficoltà che segnali è vera. Ma anche non intendere è ammesso. Per tutto c’è il tempo a lavorare. L’immediato non è meditato e viceversa. Non ritengo nemmeno che l’opera serva a far passi avanti perchè mi pare riduttivo. Come ho scritto, ribalta le carte in tavola, come spesso capita ad Alberto, a convinzioni di un sapere cristallizato a volte in luoghi comuni o che cerca, talvolta, di adattare il reale all’immaginario. Del resto tu sai che Mach ribaltò le carte in tavola, che… ok prova a leggerti, se già non l’hai fatto. un libriccino poco noto “Nanna, o l’anima delle piante” di Theodor Fechner. Lo trovi da Adelphi. Ti ribalterà. Un caro abbraccio P.
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per la verità, carissimo P., io sono un po’ «abituato» alle tematiche di Alberto nostro, e mi piacciono tanto, le difficoltà son proprio perchè sono ignorante e le citazioni a volte non le traduce (per gli ignoranti appunto)
comunque del libro ne ho parlato nel mio esilarante video, comunque
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Sì Diego ma la citazione, che rivela il non sapere, serve al lettore per confrontarsi con esso e a compiere, se vuole, le verifiche che gli sembrano opportune. La citazione è una sintesi per chi scrive e una scorciatoia per proseguire senza indugi, a dire, ecco vedete come Heidegger ha formulato bene ciò che io rischierei di pasticciare; la citazione è un atto che scaturisce dal profondo dei propri accertati e accettati limiti, altri direbbe umiltà; ed è anche un piacere che consiste nel trovare appigli e lagami con ciò che si ama, stima, ritrova in sè stessi in altro abito, non di rado indossato con meno eleganza. Questo è anche del lettore. Fermarsi intimoriti alla citazione è sintomo, nella mia opinione; poiché ciò che si valuta originale di quanto produciamo è spesso ciò di cui, meditazione dopo meditazione, pensiero dopo pensiero, associazione dopo associazione, abbiamo scordato la sorgente, ciò che siamo diventati; credo nessuno ricordi la propria nascita; dimenticare se stessi, non riferirsi vien dopo, con la riflessione. Non sapere è normale, essere ignoranti è altro ed è, come sai, simbolo non del non sapere, ma del non voler sapere. Che comporta ὕβϱις, appunto. Caramente P.
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fa benissimo Alberto nostro a metter le citazioni, anche se a volte penso che lui ci arrivava anche senza heidegger
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Grazie, Diego, per le tue parole sempre colme di affetto e di stima profonda per ciò che scrivo.
Grazie, Pasquale, per aver ribadito il senso del lavoro culturale e filosofico.
Avere amici e lettori come voi è una fortuna che riempie la vita.
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Questo post e la discussione che n’è seguita sta raccogliendo, nel piccolo di un blog di nicchia, una messe di letture. 101 a oggi. Mi auguro porti fortuna alla BTGT – Biuso teoria generale del tempo -.P.
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Pingback: «Di tempo in tempo-Aión» - agb
Ho cercato di indurre stimoli alla lettura di un lavoro che ritengo una svolta di pensiero autentico, non di critica del pensiero altrui. Tu non sei un traduttor dei traduttor d’Omero. Sarebbe bello che qualcuno se ne accorgesse. P.
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Se ne accorgono -credo- i miei studenti, i miei amici, i miei lettori.
E questo mi dà molta gioia.
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Sai che sono convinto che il tuo pensiero merita anche un’attenzione scientifica non solo d’affezione. P.
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Grazie, amico mio.
Grazie per questa riflessione rigorosa e insieme inconsueta, seria e ironica, capace di penetrare nel mio libro, capace di -appunto- comprenderlo.
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