Genius

L’ignorare che persegue e cui segue l’ignoranza è facile e dunque comodo, da qui il successo che consegue, specie oggi che ignorare è il manifesto dei rancorosi, degli sfaccendieri e della scolastica contemporanea che al sapere ha sostituito il passare esami alla svelta e richiedere crediti; il mio amico professor Alberto Giovanni Biuso potrebbe dirne. Ricordo il mio babbo, che come Wittgenstein ma con meno risultati passò l’infanzia prima, la guerra e la vita poi a studiare, al lume di una piletta, anche di guardia sui monti a liberar l’Italia, lo ricordo afflitto e perplesso quando trattava con certi pittori di dozzina di cui per campare s’era fatto mercante, e ricordo i loro discorsi circa Raffaello che taluni dicevano di aver superato con la propria pittura o circa la scoperta che altri ancora avrebbero fatto di questa o quella tecnica, di questa o quella corrente, sì che dai loro discorsi il loro dipingere significava aver dato inizio alla pittura tout court.

Ci sono scrittrici, si chiamano così in osservanza del politicamente corretto e alla parità dei sessi, che nel loro ultimo libro, purtroppo non è mai l’ultimo davvero, affrontano il tema della relazione madre-figlia alla luce… alla luce di qualcosa che sarebbe bello fosse una semplice lampadina ma non è mai così, con buona fortuna di altre scrittrici cui sarà lasciato tempo e spazio altrove per affrontare il tema delle relazioni madre-figlio, figlio-fratello, fratello-padre, padre-madre, o padre con se stesso cioè con dio, buondio. Le relazioni, pericolose per definizione, pare siano femmine. Caìne e Abelle.

Ebbene, il mio amico A.G. Biuso che detesta la televisione con più di una ragione, mi biasimerà adesso se dico due cose di uno sceneggiato o originale televisivo, così ai tempi di Sandro Bolchi* da cui proviene la mia infanzia si chiamavano le serie, nome che sta all’aggettivo televisivo come seriale ad assassino, d’accordo. Egualmente capita che il mezzo si faccia veicolo di qualche autentica nozione, atta a sversare una tazzina nello sconfinato invaso del mio non poter sapere di cui mi lagno, che non potrò mai colmare e cui dunque con Pascal mi adatto, Poiché non si può essere universali, sapendo gratuitamente tutto ciò che è possibile sapere su tutto, è meglio sapere un po’ di tutto, poiché è molto più bello conoscere qualcosa di tutto piuttosto che conoscere tutto di una sola cosa**. È il caso dei documentari e riassunti storici o di divulgazione scientifica e di questo prodotto ultimo la cui prima puntata è stata messa in onda dal canale dedicato di National Geographic, Genius, titolo con limite tendente all’ovvio per illustrare un personaggio così noto che scoprirlo di nuovo è stata la trovata, Albert Einstein. Un film che mi piacerà guardare tutto intero per i motivi che ho detto, cioè che sapere è per me innanzitutto ricordare, anche qualcosa di cui non si sa, andare indietro ad indagare e aspettare che il fatto si faccia fatturo, che si costituisca in invenzione, trovamento o rinvenire inconscio; base, a sentire Poincaré***, del metodo creativo, Il y a une autre remarque à faire au sujet des conditions de ce travail inconscient: c’est qu’il n’est possible et en tout cas qu’il n’est fécond que s’il est d’une part précédé, et d’autre part suivi d’une période de travail conscient. Jamais… ces inspirations subites ne se produisent qu’après quelques jours d’efforts volontaires, qui ont paru absolument infructueux et où l’on a cru ne rien faire de bon, où il semble qu’on a fait totalement fausse route. Ces efforts n’ont donc pas été aussi stériles qu’on le pense, ils ont mis en branle la machine inconsciente, et, sans eux, elle n’aurait pas marché et n’aurait rien produit. Su questa pietra mi pare che il film Genius racconti la storia di un’intuire, disfacendo l’immagine romantica, furibonda del genio creatore schizofrenico ed ex nihilo, sregolato e, scriverebbero sul Corriere-che-si-serve, anarchico. Come se anarchico fosse una via di mezzo tra un difetto svelato e un insulto manifesto. La sceneggiatura di Genius infatti porta con sagacia, come m’è parso di vedere, a riflettere sul fare anima, per dirla con Hillman, che il genio costituisce in sé, obbedendo, ai confini del mito, agli dèi, non alla propria narcisa voluttà di potenza. Genio, in definitiva è colui che sta in riga, nei limiti del proprio dèmone, il genio che ha sempre una lampadina di scorta; e Einstein viene descritto come portatore sano del suo dèmone efficiente, di cui segue il dire e persegue il fare, mettendone il proprio saper fare al servizio, anzi studiando per esserne all’altezza: bella la scena in cui, en enfant prodigue, Einstein ospite dai genitori, ripara con un tronchese il macchinario elettrico del babbo fabbricante di lampadine. Questo induce a trovare in Hillman, con una mia estrema sintesi interpretativa e in un suo libro capitale, Il codice dell’anima- Adelphi 1997, che genio non solo non si ferma mai, indovinare perché, but he is always still at work; che genio è appunto una forma di obbedienza, scoprimento, adesione a una chiamata; vocazione vuol dire questo. E non c’è niente di strano. Io lo vedo in Desideria Guicciardini, illustratrice e per qualche ragione mia consorte che, piacciano o non piacciano, nel sonno o nella veglia tutti i giorni i suoi segni dalla punta delle dita lei fila in disegni, come la buona Parca Cloto fa della vita e non ci può fare niente. Obbedisce a sé oltre che ai committenti e disegna. È una fata, una fatica ma aiuta.

*Sandro Bolchi (1924-2005) celeberrimo regista di teatro ma soprattutto della Radio televisione italiana. Autore di fortunatissime traduzioni televisive di grandi opere letterarie. Tra le altreI promessi sposi e I fratelli Karamazov.
**Blaise Pascal (1623-1662) Pensieri, XV, 183
*** Henri Poincaré (1854-1912) Science et méthode – http://jubilotheque.upmc.fr/fonds-physchim/PC_000305_001/document.pdf?name=PC_000305_001_pdf.pdfIn merito alle condizioni di questo lavoro inconscio c’è qualcos’altro da notare: ovvero che esso è impossibile e peraltro infecondo se non è preceduto e d’altra parte seguito da un periodo di lavoro cosciente. Le (quelle) improvvise ispirazioni non si verificano mai se non dopo qualche giorno di sforzi volontari, in apparenza infruttuosi, dai quali c’è parso di non riuscire a cavare nulla di buono, anzi quando abbiamo l’impressione di aver proprio sbagliato strada. Ma quei tentativi non sono stati tuttavia sterili come si crede, hanno messo infatti in moto la macchina dell’inconscio che, senza di essi, non avrebbe né fatto strada né prodotto qualcosa. 
****James Hillmann(1926-2011) psicoanalista e filosofo americano. In questo sito più volte citato.

About dascola

P.E.G. D’Ascola ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: "Le rovine di Violetta", "Idillio d’amore tra pastori", riscrittura di "Beggar’s opera"di John Gay, "Auto sacramental" e "Il Circo delle fanciulle". Sue due raccolte di racconti, "Bambino Arturo e il suo vofabulario immaginario"" e "I 25 racconti della signorina Conti", i romanzi "Cecchelin e Cyrano" e "Assedio ed Esilio", tradotto questo anche in spagnolo da "Orizzonte atlantico". Nella rivista "Gli amanti dei libri" occupa da molti anni lo spazio quindicinale di racconti essenziali, "L’ElzeMìro".
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2 Responses to Genius

  1. Biuso says:

    Caro Pasquale, e perché mai dovrei ‘biasimare’ il tuo riferimento a Sandro Bolchi e ai suoi capolavori, come quelli che citi? Ai suoi Promessi Sposi devo ore e giorni di autentica gioia. Anni fa ho acquistato l’opera in cd, che di tanto in tanto rivedo.
    Di Genius nulla so ma so di Hillmann, il quale -nell’opera che citi- scrive anche questo (alle pagine 186-188):
    «Se mai volessimo la prova lampante dell’esistenza del daimon che chiama, basta che ci innamoriamo una volta. Le fonti razionali dell’ereditarietà e dell’ambiente non sono abbastanza ricche da far scaturire il fiume in piena dello spasimo romantico. Lì ci sei tutto intero, in nessun’altra occasione ti senti altrettanto sopraffatto dall’importanza del tuo essere e dal destino; in nessun’altra occasione ogni tuo gesto si rivela più chiaramente ispirato da un demone […] Perché questo tipo di amore non è un rapporto personale o una epistasi genica, ma più probabilmente un’eredità demonica, insieme dono e maledizione degli antenati invisibili».
    Ecco, questo è un modo di andare alle radici dell’umano destino e del suo enigma, alle radici della terra da cui germina.
    Desideria come Parca è immagine bellissima, colma per l’appunto d’amore.

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    • dascola says:

      Caro amico, si è trattato di un evidente joke, utile a mettere in moto il discorso o se vuoi per stuzzicarlo. Tu sei avverso anche all’apparecchio televisivo, io all’uso che le compagnie ne fanno. E in questo siamo compari. Come sul fatto che ci sono alcune reti televisive e prodotti da esse messi in atto da non disprezzare, prendi per esempio Arté tutta dedicata a raccontare arte e artisti. E questa National Geographic fa programmi di gran classe. Del resto ho citato Bolchi perché appartiene a un epoca, o vuoi dire a un mondo, in cui la democristiana Rai si occupava, con non diverso spirito, di diffondere opere di ingegno che allora chiamavano il pubblico a un sapere, a un far sapere, minore, ma sempre sapere. Pensa che grazie alla Rai, benché in casa mia non ci fosse televisore, e allora tutti dal signor Zanzi, vicino di pianerottolo e operaio alla Lagomarsino, a guardare tutti i film di Greta Garbo presentati da Fernaldo DI Gianmmatteo con spieghe dottissime. E poi i muti, da Nosferatu a Calligari, e le commedie con attori che non ci sono più perché se ne è perso lo stampo. Tutto in diretta come a teatro. Adesso la pianto con questo com’eravamo.
      “. Lei m’intende”.
      Per la Parca grazie Alberto.

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