Ma come mi dirai e mi direi, Il mondo brucia , in senso letterale, la gente crepa di fame o di prostata, di inedia, di missili e tu ti occupi di surrealismo. Eh che vvo’ fa’? E una delle forme della resistenza di fronte al raccapriccio, all’orrore, al perverso. Potrei no ma vorrei, ne avessi la capacità e i mezzi, mettere una bomba nel piatto doccia di Putin, ma non solo, di una gran parte di figuri che costituiscono la banda di potere inter&nazionale, a cominciare da quella maschera di cera che Elon Musk, passando per Trump e poi il succitato, parti della fantasia di Boris Karloff più che primati; vorrei ma come puozzo fa’. Onoro il coraggio degli Ucraini e di Greenpeace e stop. E mi occupo di quello che conosco un po’ per contrastare l’incubo, il fantasma delle trincee. E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, è pur vero ma noi qui nel riscaldato – e surriscaldato – occidente di oggi, credo che aperte dobbiamo tenere le trincee, gli sbarramenti anticarro di ciò che ci ha resi grandi; non la Krupp ma Piero della Francesca, non i firmato Diaz, ma Leonardo da Vinci e, Max Ernst; in mostra a Milano, città dello spritz. Beh, finirei per fare qui un discorso lunghissimo, un arzigogolo, di cui peraltro non saprei se essere capace in quanto do conto qui, ovvero tento di indurre all’esperienza e quindi a un molto poco traducibile in una organizzazione razionale, in una esposizione esplicativa. Posso suggerire però.
Intanto se già non ci sei va’ a Urbino, fatto che dovresti considerare un fortuna sempre dal momento che le tue, le nostre radici, con l’esclusione di alcune regioni dalla Lombardia al Piemonte e via così, affondano in quel miracolo esistenziale, con tutti i suoi orrori, che fu il Rinascimento, fenomeno che implica il vero dell’Italia, il suo Centro. Suggerisco pertanto di prenderti un’ora, o qualcosa di più, senza accampare scuse, i tuoi arcinoti sai tra una cosa e l’altra, e andare al museo nazionale: gira, gira seguendo il percorso ma poi fermati in una sala in particolare, quella di Piero della Francesca (La città ideale) e osserva, se ci riesci come l’arte antica – facile che sfondi una porta aperta o al contrario che susciti una probabile irrisione – almeno una sua gran parte sfugga alla definizione di realismo, di raffigurazione, peggio di copia. In breve domandati se l’arte pittorica e non solo non sia nata astratta, sia per sua natura intrinseca astratta: significante puro. Del resto come non osservare l’ossessione di Picasso per la ripetizione in generale, e in particolare per lo studio pervicace del Las Meninas di Velasquez.
Dopo Urbino se proprio devi tornare a Milano sempre per lo spritz, trovati h 1:30 per visitare la mostra di Max Ernst. Non mi voglio né posso sostituire alle dotte e non disutili, ma opprimenti bandiere sul circa, il come il perché, appese alle pareti (che orrore quelli che girano con l’audioguida all’orecchio, ascoltano il bla bla e non guardano niente, attendono la spiegazione: sono dei disabili). Una bio all’entrata va letta perché situa l’artista, può essere utile come è utile ricordarsi dove si è parcheggiata l’auto dopo una settimana che non la si usa. Poi, a un certo punto, a metà percorso circa, c’è una bandiera appunto appesa a sinistra della sala, che riporta una fulminante osservazione di Leonardo da Vinci circa i segni che la natura imprime a sé stessa e che sono il tessuto che l’artista può o deve cogliere ma non per riprodurli. Questo grosso modo, vai, leggi e fatti la tua idea. Leonardo anticipa, a mio avviso, e conforta il concetto che l’arte, dice Penelope Cruz nel bel film Competition official, No se refiere a algo, sino que es Algo en sí (non di riferisce a qualcosa, ma è piuttosto qualcosa in sé).
Quindi con questa guida osservare senza pretendere di farseli piacere questi quadri, i disegni, l’infinita varietà di forme che l’artista diede alla sua opera, a mio avviso strepitosa di Ernst. In particolare, se così ti può piacere, Gli antipodi del paesaggio e Dopo di me il sonno. I titoli vedrai sono i sassolini di Hänsel e Grätel sul sentiero, con la differenza che non si sa dove portano. Sono domande, dice sempre Penelope Cruz, preguntas. Una domanda per tutte; anzi un imperativo: smetterla di chiedersi il che cosa vuol dire. Non c’è risposta. O meglio come in analisi, il riferimento extra artistico del surrealismo, la risposta è inafferrabile e parziale e molto ma molto soggettiva.( non importa che sia corrispondente al vero ciò che si estrae dalle cantine dell’inconscio, tutte sempre molto in disordine e molto impiastricciate, importa che soddisfi una sete o plachi un incubo; è un grimaldello o un cerotto l’analisi non una conclusione, un tu sei così: per questo si parlò di analisi infinita). Il surrealismo però va visto con animo ( e con occhio pronto al rifiuto) fanciullo, evitando di riferirlo, secondo me, alle dichiarazioni dei surrealisti stessi circa il sogno e compagnia cantando: intelletualismi. Lo si avvilisce. Surrealismo è appunto Piero della Francesca: eppure. Per non parlare della Monna Lisa che è molto più Picasso di quanto si sia disposti a d accettare. Evitare di guardare i quadri esercitandoti a fare dell’analisi. Lasciati sedurre e non chiederti il come e il perché. La spiegazione. L’arte non ha una spiegazione, è esplicita in sé. Non vuol dire niente (sì certo le poesie alla pace, o alle grandi labbbra della tua fidanzata, ma quella non è arte). Non c’è la spiegazione, e se c’è, è nella tua poesia se ne possiedi un poco, se l’anima ti si smuove. Se non si smuove continua pure con lo spritz. E con le tue comode pantofole. I tuoi Suv, le tue vacanze a Bormio. Non c’è niente di male ma non sai cosa ti perdi. Après moi le Sommeil.
Di surrealista, mi capitò sotto gli occhi l’opera di Mirò, a Milano, anni addietro. Che dire…che voleva dire? Lo percepii, da Ignorante, come precursore del fumetto. Ecco, non il “manga a 3.49, da Martedì prossimo in edicola!”. Un fumetto d’autore posto sulla quarta dimensione, quella dell’invisibile agli occhi. Mentre il fumetto commerciale è pari a una violenza artistica, come “semplificazione per le masse che necessitano dell’azione più che della ragione”, il surrealismo puro, nel suo caos, comunica quanto non può essere visto senza riflessione. Descrive il nostro essere “frammentari, alla ricerca di nuove mode che restituiscano unicità nell’uguaglianza”. L’uomo cerca “l’uguaglianza” attraverso la moda. Non che questo concetto di “uguaglianza” sia così sano, tutt’altro. Uscendo di casa, vedendo un altro individuo vestirsi al mio pari, trovo materia sufficiente per porre l’identità in crisi. Nel surrealismo, l’astrazione permette di comprendere come funzioni la mente. Ricordo, di Mirò, nel “Il carnevale di Arlecchino”, tutta la confusione ben descritta dal lapsus secondo Freud. Il surrealismo presenta le azioni criticando la volontà individuale, incapace di essere concreta nell’insieme non avendo pieno controllo sull’operato. Il surrealista prende spunto da questo meccanismo e lo eleva al cubo, talvolta sfondando nel cubismo.
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Osservazione che arricchisce quel che ho scritto. Preciso che il tentativo è quello di descrivere tutta l’arte come surrealista, in quanto scritta, detta, dipinta, da un Altro che non è l’artista ma il suo chi è segreto o come non saprei meglio descriverlo. Quando scrivo so bene, per esperienza, di essere scritto. I greci intendevano i poeti per medium degli dei. Anche questo conta credo. In definitiva l’errore dei surrealisti fu quello di farsi chiamare tali e di ricorrere a un -ismo di cui solo Bréton sentì il bisogno perché probabilmente non era un artista come il tuo/nostro Mirò. Ecco una ragione per fare un viaggio a Barcellona a vederlo dal vero se già non hai provveduto. Le osservazioni sul fumetto e sul vestire sono azzeccate. Grazie
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