Caso più unico che raro, il mio divertito scritto sul festival dei festival ha suscitato ben 4 commenti. Ma lo scritto si sa che fa fatica a rendere l’intonazione sorniona e sarcastica che la parola detta ha nella propria faretra. Ringrazio tanto interesse che avvalora la tesi che un tema così sciocco fa audience – modesta ma dotta, fino a citare il vangelo, uno dei 4 – così come fa audience la direzione artistica di Amadeus e che egli butterà come Brenno la sua spada sul piatto di qualsiasi bilancia: una media di 10.5 milioni spettatori, picco di 16, e 60 % di share circa. Ecco l’oro. I dati precisi si leggono nell’autorevole – mi pare circa le cifre, Il sole 24 ore –. Per il resto più che ringraziare per tanta attenzione non saprei altro che fare se non far scegliere l’abito da un titolo di secoli fa (1962)
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Blog di Pasquale D’Ascola
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Facile ottenere il 60% di share se la concorrenza non c’è. Stanco delle solite 6 ore trascorse per aspettare canzoni deludenti, da qualche anno a oggi sfrutto questo stratagemma: lasciare all’algoritmo il compito di analizzare e propormi che vedere. Meglio ciò che è disposto ad accondiscendere ai miei interessi piuttosto che la tortura della pubblicità. Perchè mai dovrei fare la poppata dallo spot del prosciutto se sono pescetariano? Perchè dovrei stare a sentire la pubblicità degli assorbenti se sono uomo? Pannolini per strilloni, pannoloni per comodità, collant per sex appeal, fuoriserie per la libertà, mobili immobili, wafer con la sopratassa, assicurazioni che non ti rassicurano, supereroi virtuali, formaggi puzzolenti, occhiali da pagliacci, cosmesi per vanitosi, telefoni per poveri al prezzo dei ricchi, zuppe senza la cucina e cucine senza la zuppa. Il tutto nello stesso frullato tra jingle paranoici e capolavori dell’epopea musicale. Tutti li come ubriachi, costretti a non cambiare canale per non farsi tagliare dal rischio di perdere la parte migliore: una gaffe, un fuoriprogramma, una caduta di stile e una caduta di faccia. Invece, tutti fermi li, agli ordini militari, costretti alla cura “Ludovico” con le pinze alle palpebre. Costretti come Alex DeLarge, per imporci i porci comodi altrui a costo di renderci il ricordo un maremoto. E come Alex, eccome se lo direi: «È un Delitto! Delitto! Delitto! Delitto! Usare Ludovico Van così! Egli non ha mai fatto male a nessuno!
Beethoven ha solo scritto musica!»
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Trovo tutto esagerato. IL 60% di share, per quanto me ne infischi., è un risultato non dalla mancanza di concorrenza ma dal gradimento. I canali sono migliaia, chiunque può deliziarsi con le storie di ristrutturazioni a Waco-Texas in HGTV. ( appasionante osservare la carpenteria americana). Quindi non c’è nessun obbligo. Peraltro non c’è nemmeno l’obbligo di possedere un televisore. MIo cognato per esempio non lo ha mai voluto. Ma poi guarda RaiPlay al computer. Netflix e Prime e Disney, se uno vuole sono in rete appunto, come lo è RTVE( la rai spagnola) o la famosa BBC. L’offerta è bassa ovunque? Può darsi ma si può evitare tutto. PErsino di votare alle elezioni: concorrenza. Io non guarda come ho detto nessun canale Rai o berlsuconico, da diciamo 20 anni. Eccezion fatta per la diretta dalla Scala il 7 dicembre e qualche altra occasione nobilmente snob. I venti minuti di Sanremo sono stati un eccezione. Non leggo lo sai la stampa nazionale, seguo il Post, i suoi podcast, e la stampa estera. La concorrenza c’è e si vede: in queste sere di Sanremo mi cattura una docufiction messicana, Un extraño enemigo, sul loro ’68, la strage del campus ( in cui rimase ferita Oriana Fallaci)e i lampi oscuri del destino sul Messico. Fatto molto bene e piuttosto polemico con il Messico d’oggi, di cui so pochino. Ma è un esercizio, tocca verificare, nomi, date, fatti. Tutto il resto detto è vero ma non è vero che non c’è scampo. C’è grazie alla concorrenza. Che è libera: almeno di concorrere. Almeno, così a me pare. ( una televisione virtuosa, monocroma, monolitica, monocola, tutta quartetti e vita delle api, sarebbe di una pallosità insopportabile, come l’URSS)
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Le fonti esterne ai canali televisivi non vengono conteggiate dall’Auditel. Le stime sull’audience vengono eseguite su un campione di 16.100 famiglie ovvero 41.000 persone. Dalle proiezioni si evince che gli spettatori di fronte al televisore, nella prima serata del festival, fossero 17 milioni (il 30% della popolazione). I restanti 42 milioni di individui, pari al 70% della popolazione, non risultavano pertanto sintonizzati su canali televisivi.
La stima dell’indice di gradimento per il festival andrebbe quindi calcolata per una persona su 6, valore pari al 15% della popolazione nazionale.
Visti in termini assoluti e non relativi, i dati dimostrano un ridotto interesse per la manifestazione in oggetto e un generale disinteresse verso la televisione da parte della popolazione italiana.
Riporto di seguito la programmazione per la prima serata del 7 Febbraio 2023, ordinata secondo la percentuale di share:
Rai 1, Festival di Sanremo: 10.757.000 spettatori (62,4%);
Canale 5, Puoi baciare lo sposo: 924.000 spettatori (4,18%);
Italia 1, Le Iene Show: 782.000 spettatori (4,45%);
La7, diMartedì: 549.000 spettatori (2,84%);
Rete 4, Fuori dal coro: 549.000 spettatori (2,86%);
Rai 3, Cartabianca: 527.000 spettatori (2,47%);
Rai 2, Replicas: 398.000 spettatori (1,65).
Sulle prime 7 reti italiane, la concorrenza proponeva due film, entrambi del 2018 e rivelatisi flop tanto per gli incassi quanto per la critica, unitamente a tre programmi di tipo talk show di cui due sul genere politico e uno sul genere rotocalco, oltre che un programma di intrattenimento sul genere rotocalco.
Questa sarebbe la concorrenza?
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Ammiro la capacità di calcolo e la precisione dell’appunto. La sostanza tuttavia tuttavai mi pare non cambi. Voglio dire che è vero, non c’è concorrenza nell’ambito della rete televisiva nazional popolare. Che il gioco sia quello di convogliare pubblico per 5 giorni su Sanremo mi pare azzardato concluderlo perché mi pare che l’offerta televisiva sia di bassa o nulla qualità in ogni giorno, settimana o mese dell’anno; dunque anzi il festival costituirebbe persino una fiammata di ingegno nelle programmazione. RIpeto tuttavia che la concorrenza c’è da fuori del panorama nazional-popolare. RIpeto: da Netflix a Disney a Prime. Costano? Sì, ma non più della Rai che si paga a prescindere dal consumo che se ne fa. Chi come me non la guarda la paga lo stesso e in realtà potrei eliminare il televisore, vero oggetto di consumo non la Rai in sé, a vantaggio del computer.( che a qualcuno parve a un certo punto possibile oggetto di tassazione) Dunque mi pare dimostrato che la concorrenza c’è e nei termini che ho illustrato nella replica precedente. Mi pare anche che l’argomento caro ai detrattori ideologici o filosofici della televisione ( è un obbligo segreto, ahi l’apparecchio infernale) sia oggi nullo. Me sono un fruitore tossico di cinema e uso l’apparecchio infernale per guardare al 98 per cento pellicole ( già non si usa più la pellicola ma transeat) siano serie o documentari o quel che sia. Potrei farne a meno? La domanda propria è se potrei fare a meno di leggere o scrivere. Non credo di essere molto particolarmente incivilito o forse sì rispetto a chi si imbesuisce di fronte agli spettacoli televisivi che sono obsoleti oltre che pervasivamente laidi. Ma sarebbe interessante contare quanti siamo ad usare il televisore come schermo di cinema: una parziale risposta sta nelle piattaforme che affollano l’aria sopra di noi e con i loro investimenti cinematografici. E tutta roba buona? Non credo ma questo non succedeva nemmeno ai tempi delle sale cinematografiche: la fuffa c’è sempre stata. A volte poi capita che la fuffa di oggi venga rivalutata domani. Vedi i film con Totò, alcuni dei quali sono piccoli capolavori che la televisione ha passato e ripassato. Siamo uomini, caporali, due marescialli o i soliti ignoti?
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Nostalgico illuso: tutona (altro che pigiama! ) e pedalini in ciabatta crusca. Olè.
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