Kitty Pearson, 1973 by Alice Neel (1900-1984)
Il mondo brucia ma madame si fa i ricci. Quindi è bello ogni tanto occuparsi di stupidate. E non sono così snob da non avere mai guardato il triccheballache di San Remo. In anni molto passati sì. Forse per imitare Luchino Visconti che snob e nob lo era. In verità qui in casa non guardiamo la tv nazionale da non so quanto, direi vent’anni. Per difetto il computo. Ciò nonostante l’altro ieri abbiamo voluto assistere ai primi venti/trenta minuti di trasmissione. Bello il Presidente della Repubblica con la sua bella figlia a simboleggiare il suo ruolo di nume tutelare di tutti e che va sì alla Scala ma questa volta anche all’Ariston. Che per non sembrare com’è di provincia per prima cosa dovrebbe cambiare il proprio titolo in uno che suoni meno da cinema porno.
Poco dopo in una operazione di sicuro mani tese ( cioè ho bisogno di lavorare) ecco Benigni, che non lavora da un pezzo infatti, pare starnato e stonato e sproloquia io dico per venti minuti sulla Costituzione. Esce a capo chino come lo scolaretto che potrebbe fare di più se si impegnasse e lo sa.
Poi una Anna Oxa vintage e patetica( dopo una certa età che diventa certa ci si trasmuta tutti in tali ) e fatta su in carta regalo nera che sibila, scatarra e rutta in albanese da tanto poco si capiscono le parole. Poi un paio di nuddu ammiscatu cu nnenti, il primo descamisado il secondo che canta accompagnato da un buffo coretto di bambini così carini poi da aver eccitato il cuore di più di un nonna. Poi vista la signora Ferragni, per fortuna in Dior vero. Tutti però in emozione di ordinanza. Oh basta.
Letto poi in ANSA, e mica è finita la giostra, delle esternazioni di detta Ferragni sulle donne. E poi della tale iraniana, e poi di Fedez contro un ministro o una minestra la cui esistenza ignoravo. Poi di un’altra che viene in pace; non so chi sia anche questa, ma del mondo italiano presente ignoro con metodo quasi tutto. Poi letto anche di un tale della lega dei chissenefrega che ha stigamtizzato il festival. Forse, mi sono domandato, tale indignazione di partito è dovuta al fatto che il festival da tempo è una fiera di parole in libertà in un paese dove è la libertà di parola non è del tutto intesa. MA… basta che sia tra lor signori, diceva Marco Pannella. E quindi la lega menzionata vorrebbe che che che a fronte di un Fedez che strappa cartoline ci fosse chissà un pensionato che grattaevinci a reti unificate o un piccolo imprenditore di Lecco o Lodi o Seregno che fresano, fresano fresano. Così che accanto all’abbasso di chi, nella vulgata, lavora solo ogni tanto e guadagna troppo ma si sa, di Roma, suonasse anche l’evviva di chi s’affretta e s’adopra con la partita iva lombardo-veneta. Non lo so, è una fantasia.
Tuttavia mi pare che questa deriva radicalista del festival cui sembra faccia da contraltare la sua scarsa, forse nulla qualità musicale in genere, tanto bassa che vengono accolti con peana vecchi stonati come il signor Albano, tale deriva chissà non serva a procurare un elettroshok positivo, a prescindere dalla posizione degli elettrodi, in tante testoline italiche così ottuse, così governative, così in frack da Don Calogero Sedara, così in ghette bianche e camicia nera in ultima analisi, per quel fascismo naturale, endemico, genetico o antropologico che denota, è probabile il pubblico di San Remo, e si sa il carattere dei nostri compatrioti. Quindi vai a indovinare se tutta questa fiera di bassa qualità, di retorica instagram, di bolscevismi sdentati, di provincialismo in pailletes e mutande sudate non serva a redimere un po’ il paese da sé stesso. E un’ipotesi diagnostica.
Sono anni che non ho più il coraggio o il piacere di vedere il festival (Forse gli ultimi visti risalgono a quando esisteva la Ricordi dischi!!!!) . Mi accontento, e ritengo che sia più che sufficiente, ascoltare qualche o vedere qualche commento.
Una volta il festival era il FESTIVAL DELLA CANZONE ITALIANA, con fior di CANTANTI, attualmente mi sembra più la fiera del cattivo gusto e della scarsa qualità (per quel poco che ho sentito/visto nei commenti).
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Grazie per la visita e per il commento con sordina
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Le scale. Le inesorabili scale di Sanremo. No, non quelle musicali, quelle della scenografia, indispensabili al siparietto di prammatica (tu diresti benissimo “di ordinanza”) sull’oddioddio nel discenderle. Le scale non sono nate con il Festival, né il Festival è nato con le scale (nel Salone delle Feste dal bel nome non c’erano), né io ne chiedo l’abolizione, conscio di quel che è successo con il Latino della messa, ops, Messa. Le si faccia a salire, tanto da dare quell’ingresso in palcoscenico di fine e gradevole ansimare, caro a Mike Bongiorno, o mobili, che però catturano pericolosamente i tacchi di maggior slancio. Uscita, comunque, in quinta e con fiori. Applausi per tutti. Felicità.
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Sto ancora ridendo. Many Tanks
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Non seguo il festival di San Remo perché l’ho sempre trovato noioso, benché il mio interesse verso l’antropologia culturale dovrebbe impormelo. Però invecchiando divento sempre più pigro e faccio, fin dove è possibile, solo le cose che mi divertono. E debbo dire che le notizie che girano intorno a quest’ultima edizione del festival mi divertono molto anche se il divertimento è un po’ amarognolo. Allora, prima abbiamo avuto l’assurdo dibattito video di Kelensky sì / video di Zelensky no che si è risolto con la salomonica decisione circa la lettura di un suo scritto, tra gli sberleffi di Santa Madre Russia (per inciso sarebbe forse il caso che il nostro la smettesse di esibire la maglietta o la felpa simil-militare visto che non mi risulta essere napoleonicamente, bandiera in pugno, alla testa delle sue truppe). Poi abbiamo avuto la presenza di Mattarella all’inaugurazione del festival in onore del quale il Gianni Morandi ha cantato l’inno nazionale: sebbene io abbia sempre propugnato tesi in difesa della musica come forma d’arte indipendentemente dai generi in cui viene prodotta, mi sembra difficile mettere sullo stesso piano l’inaugurazione della stagione scaligera con quella del festival di San Remo e l’orchestra della Scala con Gianni Morandi, con tutto il nostalgico affetto che provo per lui, a meno che il nostro presidente non abbia colto analogie tra la fenomenologia nazional-popolare dell’evento canoro e la medesima dell’opera italiana, il che farebbe di lui un fine musicologo, comunque divertito e rilassato durante la manifestazione, a detta del presidente del Senato, Ignazio La Russa. E infine, a proposito di La Russa, che tiene in casa un busto del Duce a tenero ricordo del suo papà, il nostro presidente del Senato difende la declamazione della Costituzione da parte di Benigni – perché comunque è bene che la Costituzione venga letta o citata in qualsiasi occasione – contro il Salvini, che invece depreca la cosa, e contro il quale il conduttore del festival, che si fa chiamare Amadeus (e non ho mai capito il perché: Amadeus come il film di Forman, quindi identificandosi con Mozart, o come il titolo della rivista di musica euro-colta?) dichiara che nessuno lo (il Salvini) obbliga a vederlo. Mi pare che ci sia sufficiente materia per dar corpo a delle gustose gags in qualche cabaret tipo Zelig…
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Super ospiti in prima fila con l’accredito e poveracci costretti a pagare per loro conto, conquistando un posto in penombra. Paladine dell’uguaglianza con le sofferenze altrui, stiliste di successo con abiti altrui, raccomandazioni per meriti altrui. Performer sovversivi nei modi anziché nel contenuto. Eroi della giustizia solamente quando la legge è di loro gradimento. Cantanti non più autori, musicisti di scena, presentatori invisibili. Intellettuali costretti a travestirsi da comici per non essere censurati. Attori richiedenti forche in cambio di ortaggi. La sagra degli strepiti silenziosi come oppio dei popoli.
Matteo 21,12-13
Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: «La Scrittura dice:
La mia casa sarà chiamata casa di preghiera
ma voi ne fate una spelonca di ladri».
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