Quanto ci resta (affermazioni e domande)

Porto all’attenzione di chi non l’avesse letto il commento postato ieri da Davide Galassi a chiosa del biliardo di detti e contraddetti su una questione che a tutti i frequentatori di questo blog pare stia in un modo o nell’altro molto a cuore, e che potrei riassumere appunto con il titolo di Quanto ci resta. La risposta pare la diano persone di scienza nel mondo e da tempo. Questo si è detto.

Confesso che le mie informazioni sullo stato di salute del pianeta e dei virus più potenti che lo abitano, cioè come implicitamente nota Galassi, gli esseri chiamati con voce impropria umani – 8.000.000.000 ; mille più mille meno – queste informazioni non le traggo da letture speciali o specialistiche ma dalla stampa, come sapete soprattuto internazionale ( sono molto bravi in merito al NYT, al Guardian e al País che riportano e rimandano a testi che di volta in volta rimandano a pubblicazioni, studi, ricerche apparse sulle varie e illustri riviste scientifiche.)

Soprattutto però le mie opinioni le formo osservando così a occhio nudo le mie 60 piante ogni anno da anni: si risvegliano un poco più presto ogni primavera, stagione che ormai si situa tra fine gennaio e i primi di febbraio, di più, tendono ad avere una sete paradossale – fatto che mi è stato confermato sabato scorso da una vivaista ad Orticola ( Milano) – si asciugano a venti che corrono come stasera in modo strano e caldo, sì non fosse che non è föhn da nord ma un scirocco, raro mi sembra in queste plaghe settentrionali. Poi osservo la difficoltà che si ha a tenere pulito un paesone come Lecco e a mantenere un certo rigore e disciplina nello smaltimento individuale dei rifiuti che sono di molte altre città la principale attrazione turistica. Osservo la quantità sempre maggiore di veicoli che ingombrano le strade invece di corrervi. Osservo il fermarsi al bar a chiacchierare col motore del suv acceso. Osservo lo spreco, anche quello che produco io se non mi impegno alla rovescia, osservo tante cose, non ultima la catastrofe ( catastrofe di animali per esempio affogati negli allevamenti intensivi – fatti non per sfamare ma per arricchirsi – ;   ho letto di cavalli che hanno nuotato per giorni nell’acqua alta ; non parlo dei gatti e dei cani  e di conigli  sì dei conigli morti e migliaia; non parlo degli umani, ai quali per abitudine fin dall’infanzia non va tutta la mia tenerezza… e i figli? E i  figli già te l’ho detto, per loro provo disperazione e rimorso perchè politicamente chi come noi pensava, avrebbe dovuto svegliarsi un po’ prima di Greta Thurnberg e invece di occuparsi di Moro e Berlinguer battersi per la questione della sopravvivenza onorevole della specie o almeno dell’uomo europeo) non ultima dicevo questa catastrofe ; cose insomma che riguardano il quotidiano e sulle quali lascio a te il compito di trarre se ci sono, altre considerazioni, di là  quelle già postate.

Questo per dire che di sicuro su molte questioni chi scrive parla un po’ a Vànvera, personaggio che si sa risponde quasi sempre a Muzzo. Mi pare però che concludere o che siamo troppi, verissimo, o che non c’è più niente da fare è stato bello sognare, o che xe pegio el tacòn ch’el buso, ovvero che dalla spirale industriale o del capitalismo non si esce, che le pale non girano abbastanza svelte e le centrali elettriche inquinano più dei milioni di autoveicoli e di fornelli a gas ma quelli elettrici sono i tacòni pegiori dei busi bah, a prescindere dalla fonte  di formazione di queste opinioni, a prescindere, tutto questo mi pare porti a concludere che ci sono due vie d’uscita. Cioè di soluzioni finali: una, tirare a campare di inerzia come si può fino all’ecatombe che prima o poi arriva ; due, sperare nella bomba fine di mondo di Stranamore. Bomba che potrebbe non essere atomica ma demografica, bomba a miccia mica tanto lenta, anzi. Non so, siccome sono come si dice àteo non nutro il malessere della speranza ma il suo contrario, tuttavia penso che arrendersi non sia un’opzione. Salutandovi indistintamente

Non conosco l’autore qui di seguito, nel titolo mi specchio, domani lo compro. 

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About dascola

P.E.G. D’Ascola ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: "Le rovine di Violetta", "Idillio d’amore tra pastori", riscrittura di "Beggar’s opera"di John Gay, "Auto sacramental" e "Il Circo delle fanciulle". Sue due raccolte di racconti, "Bambino Arturo e il suo vofabulario immaginario"" e "I 25 racconti della signorina Conti", i romanzi "Cecchelin e Cyrano" e "Assedio ed Esilio", tradotto questo anche in spagnolo da "Orizzonte atlantico". Nella rivista "Gli amanti dei libri" occupa da molti anni lo spazio quindicinale di racconti essenziali, "L’ElzeMìro".
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1 Response to Quanto ci resta (affermazioni e domande)

  1. Paolo Prato says:

    Oso far notare che a qualunque quesito pur minimamente problematico, oggi, si rinvia con un guizzo la risposta al “dopo aver visto le carte”. E, qui, si intendono carte vere, con veri timbri e firme, altrimenti non valgono. Il punto non è la perduta informatizzazione, ma il perduto tempo in assoluto, qualunque sia il motivo della dilazione. Ci si è messo un po’ di tempo, ma finalmente si è riusciti a dare forma canonica alla schivata decisionale, nel cui turbine (una “veronica” degna di Manolete) si possono infilare piccoli provvedimenti di sostegno per sé e per gli amichi. E si dovrebbero così risolvere le cose? La questione non è “un’altra”, ma sempre la medesima: quella morale, senza moralismo.

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