Vento d’Auster

Lo sai, il mio punto di vista non è mai né lo dello storico, che non sono, né del critico, che non sono. Ovvero se sono critico lo sono in quanto artigiano. Artista mah ; lo sai che il titolo me lo affibbiò, per disistima verso altri colleghi, un bravo bidello al Conservatorio, un abruzzese di spirito come Flaiano : del complimento gli sono tuttora grato ma scettico.  Però so, per essermi guardato intorno tutta la vita, che ogni artista è artigiano e, ipso facto, critico ; qualsiasi produzione d’arte, scrittura, musica, pittura, pone, a chi fa sul serio, la questione del come, non del che cosa; ovvero sia del che cosa per rapporto stesso e stretto al come : guarda Kiefer. È evidente che per svolgere il suo mestiere d’arte, dopo avere ricevuto la chiamata, uno deve, ma deve proprio avere maturato il proprio senso critico : dall’interno della sua arte. Sono cose queste che tu dirai, vabbè si sanno. È evidente pertanto che la critica che l’artista esercita su sé stesso è consustanziale alla sensibilità che per il, e nel, suo fare ha sviluppato. Ad altri, a chi non fa arte, andrebbe offerta, e io dico conculcata, una educazione estetica, mancando la quale educazione percepire il prodotto d’arte ( ma egualmente o la bellezza non artefatta di un gatto o dell’oceano a La Coruña, o o o ) non solo come tale, nella sua sostanza, è impossibile ; se ascolti lo Jedermann, senti che egli giudica e interpreta e casca subito nell’ideologico, nello psicologico ; benché quello del giudizio è probabile sia un istinto che sopraffà l’umile mi piace non-mi piace, monsieur J. ohibò, ha un Io da ostentare,  e si aggiudica il diritto di sparare giudizi ma osservando  da un campo diverso da quello artistico. Farla semplice : valutare un paesaggio dal punto di vista della portineria. Avrete, sarebbe invece da dire, avrete una buona arte, un’arte che incide, se fabbricherete un buon pubblico. Fin dalle elementari fin dall’utero. Da qualche parte qui nel blog, ho già ricordato il pittore Vella, amico di famiglia, il quale, ricorderai, asseriva con ragione impeccabile, che solo un’artista può intendere un artista. Nel lieve eccesso di questo statement stava, sta l’incontrovertibile. L’arte va difesa dal mercato e dall’università ( ricordi : Schopenhauer disse lo stesso della filosofia come pratica aliena alle cattedre di filosofia) ovvero dalla pratica assurda, molto americana se vuoi, di insegnare letteratura e poi, anche,  scrivere. Dottrine e condizioni inconciliabili. Dal numero di scrittori proclamati che affollano, non so di preciso l’America ma,  è palese l’Italia, si deduce con che lo scrivere non è nel dominio dell’arte, ma un andazzo, simile a quel della pittura di gerani a Bellagio, di cavalli nella spuma marina con clown al mercato.  Andare incontro al pubblico è il mercato, generale : ai generali di Milano dovrebbero aprire un’area-libri insieme con quella della carni, dell’ortofrutta, dei fiori ;  Mecenate-Milano Sudest, è quella la destinazione. L’editoria, il marketting  di un qualsiasi oggetto estetico. O che tale si pretenda. Se il cinema è un fatto ambiguo, malaccorto, zoppicante su quel piano ( il che non ha evitato mai in passato la comparsa di opere d’arte, a dispetto del mercato dico), il libro lo è ancora peggio :  claudicazioni in corpo 11.

Á quoi bon tutta questa pastrufaziata, ti domanderai. Per causa di Auster, il defunto recente. Di là da 4 3 2 1 e adesso di questo suo ultimo pre mortis, 2023, Baumgartner (giardiniere d’albero), conosco niente di Paul Auster, se non l’eccessiva foliazione del primo libro e almeno e per fortuna, la giusta misura del secondo. Di altre opere, ripeto, so niente e possono essere dei capolavori, a me sconosciuti ma che a quel punto ho poca voglia di leggere. Di leggere romanzi contemporanei, aggiungo, ho in generale poca voglia perché sono contemporanei all’epoca vuota, maldestra, furbastra e canaglia di cui a 72 anni vivo non so per quanto ancora gli  ultimi i bollori assassini. Anche questa è una fortuna ma la constatazione di questo degrado, di questa débâcle, di questa caporetto verso cui pare avviato il mondo in mano a sovranìe delinquenti, non allieta ; non è così, è la domanda di cortesia al pensiero di come sarà la vita di generazioni di figli e nipoti se non ci saranno le condizioni per una rivolta prima e per una rivoluzione poi e nel caso di quali nuovi malfattori le rivoluzioni saranno il blocco di partenza e lo starter.

Allora. Ho letto con fatica ma con metodo fino in fondo questo, oh cielo come chiamarlo il Baumgartner, non so, romanzo, appunti, diario, immaginario ma fino a un certo punto. L’ho comprato, il volume, e l’ho letto stuzzicato da una critica ridondante, magnificante, esornativa, superlativista, sai com’è: il libro viene tradotto in quarta di copertina e pare compendio de la vita l’ammore, ‘a morte, spiegate finalmente al poppolo ; ovvero di istanze che non vanno cercate nell’arte, ma il progettare un chi siamo-da dove veniamo-dove andiamo –  l’immane quesito di Woody Allen, non solo dio non esiste ma avete mai provato  a trovare un idraulico a New York –. (Ricordo una specie di tavola  ambigua  anche perché condotta dall’ambiguo perché televisivo e pretino Enzo Biagi, con Pasolini protagonista ; il pretino gli domanda quale consolazione trae dalla lettura del Vangelo ; a tanto  il Pasolini replica sehr piqué che egli non legge nulla né questo né quello, né il Vangelo per consolarsi, che lo legge in quanto opera letteraria. ) A prescindere, ho trovato in Baumgartner è una descrizione continua di pensili, librerie, automobili, lower Manhattan e upper Manhattan, intese come geografie, e faccende autoreferenziali di una coppia dei soliti ebrei niurchési, benestanti ma che si sono fatti da sé, universitario lui con una cattedra in chissà che cosa ma che gli permette di citare Kierkegaard, redattrice di casa editrice lei, l’Anna così citata nel libro :  e come che nuotava bene, e come che stava bene in costume e com’era elegante e come si scopava bene da giovani con lei, ma anche adesso fosse viva – pare che i niurchèsi cattedratici e letterati non siano toccati da rinsecchimento dei tessuti, spanciamenti e impotenza  – e come che la scriveva bene l’Anna e quante quante e belle poesie che la scriveva (127 n.d.r. ) e che bel volume ne verrebbe fuori e quant’è bella quant’è cara/ men la vedo e più mi piace/ ma il mio cor non si dà pace….  Insomma quei fenotipi cliché  di  benestanti borghese cari al sarcasmo di Woody Allen appunto. Bischerate ovvero cose note cose note, mixate nel testo con una poesiola meno che infantile di questa Anna – e la traduzione non nuoce, non potrebbe ; Carducci a 15 anni avrebbe fatto meglio perché almeno avrebbe conosciuto, si sa, la metrica, la tecnica – e qua e là con estratti di testi sempre di questa Anna ma anche di questo Baumgartner, di volta in volta io narrante insieme, pare, all’Auster stesso che con B. si sconfonde, e che non sono nemmeno equivocabili per articoli del NYT che sarebbe invece grasso che cola.   Insomma delle somme nada, il libro pare uno di quei fondi di cassetto Sellerio’s style (Camilleri tira ancora e pubblichiamo anche gli scontrini della sua tintoria come questo l’ultimo volume uscito dal registratore di cassa Sellerio, Un sabato, con gli amici). Qui l’avvento del nuovo lavoro di Auster è anteriore alla sua morte e quindi purtroppo ci si deve aspettare il recupero testi che la sua casa editrice, là negli Stati se nessuno la fermerà , metterà in atto e qui immaginarsi l’È-in-Audi se non si lascerà rimorchiare, o come che paga il personale d’ufficio e gli stend al salone del libro. Per il resto Baumgartner, mi ripeto, è descrizione descrizione descrizione – lo sai non che è altro da narrazione – qua e là da sparsa di morbidezze Perugina, ma senza mai una luce di stile, di letteratura. Insomma il libro mi ha fatto la stessa impressione del vecchio Va’ dove ti porta il cuore : a motivo di ciò spero che Tamara stia in salute.

Tu mi chiedi ma te tu ohi che leggi : non so, Simenon, piuttosto che il solito Céline, il solito Gadda. Ma che soliti.  In generale la domanda che ti pongo, è sul senso che ha la scrittura se non è toccata dal bene dell’arte. E della rivolta : cioè una delle forme della conoscenza ( Anselm Kiefer). Ma questa è un ‘altra storia.

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About dascola

P. E. G. D’Ascola Ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: Le rovine di Violetta, Idillio d’amore tra pastori, riscrittura quet’ultima della Beggar’s opera di John Gay, Auto sacramental e Il Circo delle fanciulle. Suoi due volumi di racconti, Bambino Arturo e I 25 racconti della signorina Conti, e i romanzi Cecchelin e Cyrano e Assedio ed Esilio, editato anche in spagnolo da Orizzonte atlantico. Sue anche due recenti sillogi liriche Funerali atipici e Ostensioni. Da molti anni scrive nella sezione L’ElzeMìro-Spazi della rivista Gli amanti dei libri, diretta da Barbara Bottazzi, sezione nella quale da ultimo è apparsa la raccolta Dopomezzanotte ed è in corso di comparizione oggi, Mille+Infinito
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2 Responses to Vento d’Auster

  1. azsumusic's avatar azsumusic says:

    4-3-2-1 sa di modulo per tattica calcistica, il cosiddetto “Albero di Natale”, fortuna di Carletto da Reggiolo che con questo vinse un po’ tutto, presidenza del consiglio per procura inclusa, verso l’inizio degli anni 2000.

    E su quell’opera pacchiana Pagana mascherata da Cristiana puoi di fatto proiettarci tutto:

    Alla base il piedistallo, il vertice basso ovvero l’estremo difensore che permette alla partita di rimanere in piedi.

    La difesa a quattro, con i rami bassi per creare densità ed equilibrio abbassando il baricentro, con l’ulteriore compito di impostare l’azione.

    Le tre diramazioni a centrocampo, con i due braccetti esterni e quello interno intenti nel seguire gli inserimenti per vie centrali delle palle filtranti, impegnati anche nel rifornire la trequarti.

    Le due mezz’ale, impegnate nel legare il centrocampo e l’attacco.

    La punta, la stella della gruppo, flessibile tra movimenti e contro movimenti al vertice dell’insieme.

    A corredo, i festoni dei tifosi, le luci intermittenti dei fumogeni e i canti tradizionali celebrativi per l’evento.

    Natale come il Calcio e il Calcio come Pollastre.

    Il Calcio come Pollastre e Pollastre come il Natale.

    Pollastre come il Natale e Natale come il Calcio.

    Pollastre come il Calcio e il Calcio come Natale.

    Dovrebbero esserci tutte.

    Questa filastrocca è l’effetto-visione del Trailer “MEGALOPOLIS”, una storia infettata dalla confusione, la stessa malattia che ha colpito dalla Coppola tutta la troupe che ci ha lavorato sopra.

    Mentre se volete sapere cosa ne penso del mio 4-3-2-1 di Pollastre, beh, sappiate che questo si ritrova tra le mani di una polla che in 3 anni è riuscita a leggerne solo le prime 3 pagine. Non male per un uccello.

    Peccato, la storia sarebbe pure interessante ma non puoi competere con la Bibbia se non ne crei perlomeno una religione.

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    • dascola's avatar dascola says:

      Sono ancora un po’ stordito da questo montaggio di attrazioni la cui parte sostanziosa calcistica ho apprezzato solo per la temerità ; per il resto del calcio so l’esitenza di misteri delle tattiche. Misteri che mi sono da sempre negati. Del calcio infatti so che si gioca in 11 contro 11 e che occorre tirare nella rete avversaria. A motivo di ciò fui estromesso da ogni gioco di pallone ché tiravo con metodo nella rete amica. Da allora mai presa a calci una palla. Ma mi sono divertito talvolta a guardare partitone importanti solo per le immagini di ardimento ginnico e giocoleria senza braccia. E poi il calcio fiorentino, una volta live e una in un docu. Live è però dantesco : “Cioni, ‘mpressionalo” Detto da un del pubblico a un “calciante” di nome Cioni e di mestiere, seppi, macellaro, per invitarlo a “far fuori” un tipetto tutto scatti e dribbli. Non ricordo che fine gli fece fare il Cioni. Ma sono sicurò che lo impressionò. Ricordo inoltre che sempre a Firenze assistetti allo spettacolo, forse grandioso, di una partita in notturna, con mio cugino fiorentinista giurato ; ricordo che per tutte le volte che la Fiorentina segnò, per poi vincere, scattai in piedi come un greco a Olimpia, o un romano al Circo. Non so perché : fui preso dall’entusiasmo collettivo. Non mi dispiacque. Psicologia delle masse, o delle mosse

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