Nel regno delle recensioni

download
La mer est pleine d’eau, c’est a n’y rien comprendre – Erik Satie

Da un articolo di Nicolas Bellario (→)sul Post colgo questo passo che non voglio, non devo commentare né spiegare perché, come dice Bellario, sarebbe una forzatura. L’articolo si riferisce agli inizi della carriera dell’artista Rothko, autore per esempio del quadro qui sopra:

Peggy Guggenheim diventa la sua agente (di Rothko n.d.r.) e nel 1945 gli dà l’opportunità di realizzare la sua prima personale: quindici tele, che Rothko stesso descrive come “ritratto di un’idea”. La forza teatrale delle sue opere si impone: le incide con spatole o col manico del pennello, tracciando percorsi introspettivi e surreali. Rothko aborrisce interpretazioni e spiegazioni didascaliche: vuole che sia lo spettatore a decidere di fronte all’opera e che sia l’interlocutore a scegliere se vi sia il sacro o il profano in quei colori e in quelle forme. Critici, storici dell’arte, esperti di ogni genere sono solo un ostacolo, una forzatura.

Te lo dico con un certo disagio ché da una parte mi stupisce e a volte persino mi (re)suscita il riso, dall’altra mi fastidia, e mi innervosisce ogni volta la selva delle recensioni on line, si tratti di ristoranti o erboristerie, o film o libri o quadri appunto ; certo, uno la selva mica è obbligato a traversarla, caro Dante loda il mare e tienti a terra ; ma è il linguaggio cioè la sua attitudine che sconcerta, non solo la lingua che affiora dagli analfabetismi, mi pare di potere diagnosticare e aggiungo, dalla ebetudini dei recensori pubblici (perché pubblici si rendono e dove sappiamo). Provo a spiegarmi me medesimo : un tempo un tipo alcolico, tale Veronelli, girava per osterie e, soggetto supposto sapere, stilava delle critiche, delle recensioni,  alla fonduta e alla cantina e agli gnocchi della signora Rosina. Veronelli qualcosa di cucina doveva ben sapere ; allo stesso modo, i periti Michelin vanno, magnano e assegnano stelle o no. Sono soggetti supposti sapere, volendo ad arte adottare un‘espressione cara al Lacan che cretino non fu  tanto che qui questa sua invenzioni semantica  fa gioco. Ovvio che tu sei libero di crederci e meglio di non crederci, di sapere che le stelle cadono e che si tratta di vezzi del commercio, anche nel caso di epigoni odierni del Veronelli che figurati…gamberirossi…e  alla fine marketing. Ma, ti domando, con che becco si pubblicano le recensioni ( quasi tutte  di uomini se ci fai caso) del signor Brambati, contabile in Desio o dell’avvocato Martidaradonna di Cremona che, con sprezzo del pericolo ed orgogliosa sicurezza, scrivono di scaffali ben forniti location interessante (sic) prodotti ottimi personale competente ben scritto trama avvincente…da che pulpito, da quale fucina sapienziale si recensisce il sapere di un erborista o di un oste, persino dei farmacisti – molto professionali davvero e davvero ‘sti cazzi, alla farmacia Dulcamara distinguono ibuprofene da acido ialuronico – oppure è che nasce con i detti signori e avvocati un sapere di fatto enciclopedico e tale da permettere il giudizio, sempre perentorio sul sapere altrui in materie che contabili e avvocati ignorano, dal culatello alla padella antiaderente, dal torrone alla tisana sonnifera. Come fa poi un analfabeta strutturale, condizione se vogliamo comune a tutti, come fa a tranciare giudizi su un altro analfabeta che ha avuto la fortuna e l’abilità di farsi pubblicare da una delle tante agenzie di marketing ma culturale nascoste sotto il nome di case editrici. Pensa ai generali che scrivono e non solo vengono appunto editati, cioè messi sul mercato. Certo si può enunciare ciò che si è gradito con un mi piace non mi piace che è la prima forma disponibile di giudizio, forma che raccomandavo agli studenti esortandoli ad allenare però il giudizio con il raffinamento della sensibilità. Ascolta cento volte il Wozzeck e vedrai che ti piace.  Si può dire ho mangiato di schifo oppure mi è piaciuto molto a condizione di avere per esempio una cucina di paragone o acuito il proprio palato Ma a proposito di una farmacia ho letto che il suo personale è un po’ lento ma divertente – ah ri-sic – sono forse giocolieri? Al tuo posto mi preoccuperei: lo spettro dei competenti virtuali si aggira per l’Europa.

Implacabile sono andato al cinema poco prima della fine dell’anno per un film atteso come rivelazione di un genio, vero in generale, alla sua ennesima opera. Peccato che un film di americano concepito e partorito in francese sia stato doppiato in italiano al solito con impeccabile mediocrità. Nessuno alla distribuzione ha voluto riflettere sul cambio di registro di un autore anglofono che decide di lavorare in francese, traducendosi. Nemmeno un dubbio: doppiaggio. Perché mai non i sottotitoli. Peraltro mediocri erano gli attori originali anche credo in francese : opachi anche ai raggi X e mal truccati. Mediocri i costumi. Si dice che il film dell’autore è l’ennesima sua penthouse comedy, commedia d’attico, ma qui di penthouse c’è davvero poco, pochi i costumi, la protagonista indossa sempre lo stesso paio di scarpe spaiate con l’abito e si veste da serie televisiva in classe energetica G. Il film non si muove, non si sapesse che è cinema, cioè movimento, verrebbe il dubbio di assistere a una presentazione power point, luci da commercial, nessuna messa in scena, la vicenda passa dal non rullare all’abortire il decollo alla fine della pista  : tutti salvi i passeggeri ; avevo allacciato il cinturone di sicurezza dell’indifferenza e non sono cascato dalla poltrona. Ma cosa, come, di che dici? Sì dico di Coup de chance. Autore Woody Allen : di solito i grandi sbagliano alla grande, qui no l’Allen non ha nemmeno sbagliato, era dalla parte sbagliate della macchina da presa ( quella che i nativi illetterati chiamano telecamera), ovvero dalla parte sbadigliata. Tutti contenti alla fine gli spettatori, ah che bel che bel. si sono divertiti ; che è quanto i competenti recensori si attendono da un’opera o da una farmacista : divertirsi. E lasciateli divertire. Il pubblico guarda ma non vede.

Accidenti a te e da che pulpito, ti/mi chiedi, da che pulpito parli. Presto detto, mi permetto e comprometto per via di più di un annetto passato in teatro e televisione a far da cadetto (di Guascogna). Insomma il spettacolo è stato dai 19 ai 70 anni il campo del mio mestiere – e adesso sudate carte – Qualcosa ho appreso e compreso, alla mia opinione do peso, poco, ma non per malinteso.

Dunque Witz beiseite(sgherzi a parte) ho visto anche il film che rappresenterà la Spagna al prossimo Oscar e che ha già guadagnato i consensi pubblici dei recensori privati americani, in questo caso ma come si dice tutto il mondo è paese, cioè sguazza nella medesima brodaglia (chissà se anche laggiù dicono molto ben fornito). Ho visto dicevo l film La società della neve. Perepè perepè squillano le trombe del capolavoro di emozione, la rara potenza in re maggiore che arriva con non poco corteo di catering, effetti speciali e, in un set glaciale andino, attori cui per 72 giorni virtuali non cresce mai la barba e non bruciano mai gli occhi in mezzo alle nevi. Amen, si racconta del disastro del volo 571 della Fuerza aerea uruguaya, il 13 ottobre 1972. Il film del signor Bayona, per 125 minuti inquadra in totale vola  sul relitto dell’avione disperso, dentro e fuori fuori e dentro e poi tanta neve, neve a sfare e gelo. Il film così però resta congelato senza sceneggiatura, un puzzle su una lastra di sovrimpressioni ghiacce in bianco su bianco, voci off del narratore che poi scopriremo morto, e vita da moribondi, insomma una specie Das Boot, sai, la serie tedesca sugli Uboot che ha il pregio di essere un meccanismo tedesco di precisione e pieno di pistole e siluri che sono il bello della guerra. Per il resto c’è poca ciccia in La società delle neve e molto sfuoco sulla ciccia dei compagni morti che i sopravviventi pappano per campare, cruda o appena scottata sulle lamiere dell’aereo scottate dal sole delle Ande ; imparagonabile a un capolavoro di quasi cento anni orsono, La tragedia di Piz Palù (Die weiße Hölle vom Piz Palü-1929- https://www.youtube.com/watch?v=gJ8B4VH-5gk) di Franck e Pabst, che suonava tutt’altra musica. Il resto mi pare è un peana alla capacità dell’umano di tenere duro e alla fine farcela col favore della preghiera, dello sforzo collettivo, della fede, speranza e carità e dei verbalismi da saggi delle montagna ( ci sta la saggezza andina), ma lo stesso modus operandi potrà essere condiviso dalla prossima pellicola della Mosfilm sull’eroismo del fante russo tra le betulle (se ce n’é ancora) di Bahkmut : con diecimila cadaveri autentici riesumati… produzione paneuropea : PD, M5S, Ungaroton, Comuni di Modena e Bologna, Repubblica Serba, produttore esecutivo Massimo Fini.
La società della neve : un film catastrofico : non è una recensione.

N.B. Qualcuno potrebbe pensare che in questa pagina si manifestino una o più certezze assolute, una fede in quanto scritto. Disilludo : io non ho fede alcuna o per la precisione solo quel po’, quel che basta per non tacere in assoluto, non scrivere, nemmeno pensare al limite : un cinismo che so bene ha in sé il proprio limite. Lo si creda o no possibile infatti, lo scritto non è né assodato né si compiace di essere nel campo del vero ; del possibile sì, magari del probabile. Del simpatico quasi mai. Anzi mi leggo tra le righe un certo fastidio, un’antipatia verso me stesso che forse mi permette la distanza prospettica. Che dà un po’ di sollievo dal non mi piaccio – la prospettiva è una forma di anestesia, forse la migliore – e la possibilità di intravedere un altro, l’altro che compone la combinazione delle parole quindi, a suo giudizio. Giudizio che mi stanca e alla fine mi annoia. Stacco le mani dalla tastiera e ciao Diogene (→)

Posted in Al-Taqwīm | Tagged , , , , , , , , | 13 Comments

A pesca di perle

Non so come in organismi pluricellulari diversi o di poco da me dissimili funzioni il meccanismo della percezione di ciò che si legge o vede ; forse per lunga abitudine anche professionale non posso distrarmi dal leggere criticamente. Un esempio : di un film, di un libro, di un testo letterario o no, o di un’opera teatrale, mettici anche il Don Carlo ultimo scaligero, sento subito al palato, non dico i difetti, concesso che ve ne siano, ma di che pasta è fatto lo Strudel. L’opinione, ammesso sia necessaria, si conforma e convalida nel corso del breve o lungo scorrere dell’opera tra le sinapsi del mio cervello e a cose fatte di solito ho una visione almanco chiara e consolidata – non dico giusta – di quanto visto, ascoltato, letto. Sempre che non sia uscito prima dalla sala, non abbia chiuso per sempre la lettura, spento la televisione sui sette minuti iniziali del film (fatto che da ultimo avviene con una certa frequenza ma nemmeno una volta anche se riguardo Full metal Jacket o Il sorpasso per la ventesima volta, da che uscirono). Di solito appena fuori da una sala – è successo anche pochi giorni fa dopo la visione di Coup de chance nel brutto doppiaggio in italiano per dire uno dei molti difetti – accade che tra me e mia moglie si contrappunti subito un gioco di argomenti a favore o contro l’opera vista. Ma per contro o a favore è rarissimo che si taccia. Che ognuno si porti a casa il silenzio degli innocenti senza strumenti di osservazione e che credono a tutto, ignoranti, ignari dell’eppur si muove.

Dico pertanto che parlare di un’opera, dimenticai di citare quelle in un’esposizione d’arte, pare naturale, almeno a me e forse soltanto alla mia generazione di menti abituate alla critica. Attenti oh voi più giovani tra i pochi che mi leggete : critica non vuol dire polemica ma soltanto discernimento, analisi degli elementi costitutivi di un tutto, di un edificio qual’è un’opera magari intesa d’arte. La critica si esercita nel confronto – dovrebbe essere un pilastro dell’occidente in opposizione a un oriente portatore di rivelazioni cioè di non pensare in generale → * – che da spettatori è possibile solo tra noi, mancando la possibilità di interloquire con l’artefice. A me capita invece di scrivergli, non per attendere risposta – non mi attendo mai nulla da nessuno, nemmeno un grazie se offro il passo per strada – ma perché ritengo che far sapere a chicchessia il pensiero che il suo lavoro mi ha suscitato, sia un atto dovuto di attenzione, anzi proprio di rispetto per quel lavoro. A mio avviso tacere, non dire mai nulla e, in rete, affidarsi a un pollice verso o a un pollice recto, a un sorrisino o a un like sono sintomi o di una emiparesi del discrimine, tale cioè da impedire l’articolazione di una qualsiasi argomentazione – prendi per esempio la replica coglione, di un ministro della repubblica(minuscolo) a un tale che di esso lui ridacchiò amabilmente in twitterx – o di una totale indifferenza all’opera d’altri, dissimulata da pollici, sorrisi, like di convenienza senza convinzione. Ricordo peraltro con fastidio i molto carino, fuori di teatro per non disgarbare questo o quello. Sono convenienze sociali che offendono proprio perché non vorrebbero farlo. Per diavolo, che ci vuole a dire non mi piace o, guarda che mi pare brutto perchè e percome.

Può non essere vero o verificato o dimostrabile ciò che ho appena scritto ma non riesco a capire come tu possa leggere queste poche righe fin qui senza che ti si formi un’idea, una relazione, una associazione che a torto o ragione valga la pena di essere trasmessa e che magari inneschi un processo di relazione, diremmo epistolare. In definitiva sono grato a tutti che mi leggono ma in modo particolare a quei tre forse quattro moschettieri che sempre o spesso lasciano un commento che mi  apre una porta, un battere di palpebre che manifesta l’uscita dal coma. Leggi un po’ qui peraltro ma mica tanto per altro..

Depardieu, Israël, euthanasie, McCartney… Les confessions d’Alain Finkielkraut
Par Alexandre Devecchio
Publié hier à 12:00
copyright Le Figaro 5 gennaio 2024

ENTRETIEN – Le philosophe évoque son nouvel essai, Pêcheur de perles (Gallimard), dans lequel il rend hommage aux citations et aux auteurs qui depuis toujours l’accompagnent. Il se dévoile et analyse avec nous les événements récents: le débat sur la loi immigration, l’affaire Depardieu et les répercussions du 7 octobre.
Comme Walter Benjamin, vous collectionnez les citations. Comment avez-vous eu l’idée de vous plonger dans vos carnets de citations pour en extraire un livre?
Hanté par cette phrase du Talmud découverte en lisant Levinas: «Dire une vérité sans dissimuler le nom de celui qui l’a énoncée le premier, c’est hâter la venue du Messie», je recueille depuis longtemps déjà des citations mémorables. J’ai choisi celles qui me donnaient le plus à penser pour échapper à la contrainte de défendre une thèse et pour écrire, j’espère, une rhapsodie.
Vous vous référez notamment à Arendt, Kundera, Valéry ou Virginia Woolf… Comment avez-vous choisi? Était-ce aussi une manière de rendre hommage à vos maîtres? Avez-vous dû faire des arbitrages douloureux?
Beaucoup d’autres citations m’accompagnent. William Blake: «Celui qui veut faire le bien doit le faire dans les détails minutieux. Le bien général est l’excuse du flatteur, de l’hypocrite et du scélérat.» Benjamin: «La catastrophe, c’est lorsque les choses suivent leur cours.» Rilke: «Seule la louange ouvre un espace à la plainte.» Flaubert: «J’écris non pour le lecteur d’aujourd’hui, mais pour tous les lecteurs qui pourront se présenter tant que la langue vivra.» W. H. Auden: «Dans les pays à demi illettrés, les démagogues font la cour aux adolescents.» Gómez Dávila: «L’âme cultivée, c’est celle où le vacarme des vivants n’étouffe pas la musique des morts.» Orwell: «Le véritable ennemi, c’est l’esprit réduit à l’état de gramophone et cela reste vrai que l’on soit d’accord ou non avec le disque qui passe à un certain moment.» Peut-être ces fragments et ces aphorismes alimenteront-ils encore sous une forme ou une autre ma réflexion.
On constate l’absence de votre ami Philip Roth…
Philip Roth n’est pas absent de ce livre. Je tiens constamment ses romans ouverts devant moi et le chapitre sur la biographie est inspiré par Exit le fantôme. Mais j’aurais pu évidemment citer J’ai épousé un communiste : «Quand on généralise la souffrance, on a le communisme. Quand on particularise la souffrance, on a la littérature […] maintenir le particulier dans un monde qui simplifie et généralise, c’est la bataille dans laquelle s’engager.» Avec le wokisme, cette bataille est en passe d’être perdue.
Et la présence inattendue de Paul McCartney: «I believe in yesterday». Vous avez une passion pour le bassiste des Beatles… le considérez-vous comme l’égal d’un grand écrivain?
Non bien sûr. Et je trouve que les jurés du prix Nobel se sont ridiculisés en couronnant Bob Dylan plutôt que Philip Roth ou Milan Kundera. Mais je suis envoûté par la voix et les mélodies de McCartney. J’aime passionnément Penny Lane, Eleanor Rigby, Black Bird, Jenny Wren, Maybe I’m Amazed. Et j’ai été heureux de me montrer tel que j’étais en ouvrant le chapitre sur la nostalgie par Yesterday. Je préfère cette chanson magnifique à la définition sans âme de Gérard Genette: «Nostalgie: regret stérile d’un passé imaginaire.»
Votre livre fait également écho, comme toujours, à des thèmes qui font l’actualité. Dans un chapitre, vous évoquez la question de la mort et notamment votre angoisse de la déchéance mentale liée à la maladie d’Alzheimer. Allez-vous prendre position sur la question de l’euthanasie?
Le projet de loi sur l’aide active à mourir ne concerne pas les malades atteints de démence sénile et qui sont encore assez lucides pour voir la vérité en face. Je cite dans mon livre cette lettre envoyée à son médecin par une patiente au bout du rouleau: «Je vis sans passé, sans avenir. J’ai la maladie d’Alzheimer. Je perds peu à peu la parole. Je meurs un peu chaque jour. Je n’appartiens pas à un dieu, je suis libre. Je pense au suicide assisté. J’ai fait ma demande parce que je suis fatigué. Tout le monde peut attraper Alzheimer, riche ou pauvre.»
Il faut avoir un cœur de pierre pour opposer à cet appel désespéré une fin de non-recevoir en invoquant le serment d’Hippocrate ou en se drapant dans le «Tu ne tueras point». La cruauté prend ici le masque de la miséricorde: il n’y a pas de pire subterfuge. Mais bien sûr, les risques de dérives existent. Quand on lit dans l’American Journal of Bioethics que des personnes sur le point de perdre leur identité morale ont le devoir de se supprimer afin d’éviter à leur proche un lourd fardeau émotionnel et financier, on est fondé à se demander si les médecins ne seront pas un jour autorisés et même incités par une société soucieuse de ne pas creuser les déficits à éliminer les nonagénaires déments toujours plus nombreux et toujours plus coûteux. La sollicitude éclairée doit l’emporter sur toute autre considération.
Vous évoquez également les dérives de la révolution #Metoo. Que vous inspire l’affaire Gérard Depardieu? Le président de la République a-t-il eu raison de dénoncer une chasse à l’homme?
Le tribunal médiatique a ceci de commun avec les tribunaux révolutionnaires qu’il supprime le contradictoire. Pas besoin d’avocat. Gérard Depardieu est accusé de viol donc il est coupable. La plainte suffit à le condamner. La présomption d’innocence est perçue comme une insulte aux victimes. Quant aux propos obscènes tenus par le comédien lors de son voyage en Corée du Nord, ils n’étaient pas destinés à figurer dans le film de Yann Moix. Ils ont été ramassés dans la poubelle et diffusés par «Complément d’enquête». C’est ce qu’on appelle aujourd’hui le journalisme d’investigation. «Quand une conversation d’amis devant un verre de vin est diffusée publiquement à la radio, cela ne peut vouloir dire qu’une chose, c’est que le monde est transformé en camp de concentration», écrivait Milan Kundera. Les féministes authentiques n’ont aucune tolérance pour la misogynie ou les violences sexuelles, mais elles ne veulent à aucun prix de ce monde-là. «Je n’ai jamais hué personne», a dit – autre citation – le poète Bernard Delvaille. Moi non plus. Emmanuel Macron semble sur la même ligne. Mais je me souviens qu’au plus fort de la vague #Metoo, il a repris à son compte le slogan: «On vous croit». Ce zèle compatissant mettait en trois mots la justice hors-jeu.
À travers une citation de Marc Bloch, vous dédiez un chapitre à l’école. Que vous inspirent les premiers pas de Gabriel Attal à l’Éducation nationale?
La sociologie en vogue depuis cinquante ans nous raconte que la rhétorique de la méritocratie convertit un privilège de classe en talent ou en don inné. Pour abolir ce privilège, on a choisi d’accueillir les élèves plus faibles dans les classes plus avancées puis de se régler sur leur capacité pour ne laisser personne sur le bord de la route. Ainsi avec les meilleures intentions, le niveau s’est effondré. Et les premières victimes de cette politique bienveillante sont ceux qui n’ont que l’école pour s’élever. Il fallait impérativement changer de logique. Gabriel Attal le fait. Je lui en sais gré. J’espère seulement qu’il n’est pas trop tard.
→ * Dans notre époque de wokisme et de cancel culture, l’enseignement de l’Histoire revêt-il une importance particulièrement significative?
Le wokisme a pris sur les campus la relève du marxisme. L’ennemi à abattre, ce n’est plus le capital, c’est l’impérialisme blanc. Comme le disait déjà Octavio Paz, nous avons perverti notre grande tradition critique et nous l’avons mise au service de la haine de notre monde. Tout désormais se ramène à la dichotomie sommaire des Dominants et des Dominés. La complexité de l’Histoire fait les frais de cette philosophie de l’Histoire. La jeunesse occidentale subit un véritable lavage de cerveau dont l’antisémitisme universitaire est l’ultime avatar. Les Juifs ne sont plus un objet d’exécration pour la race prétendument supérieure: c’est au nom des races infériorisées qu’on les cloue maintenant au pilori. Depuis le 7 octobre 2023, cette judéophobie se donne libre cours non dans la populace mais à Berkeley, à Harvard, à Science Po, à l’École des hautes études en sciences sociales, c’est-à-dire dans les temples du savoir.
Qu’avez-vous pensé des polémiques au sujet de la loi immigration. Une partie de la gauche dénonce la priorité nationale comme une dérive d’extrême droite…
Dans son livre Sphères de justice, le philosophe américain Michael Walzer, ancré à gauche, écrit: «À un niveau quelconque d’organisation politique, quelque chose comme l’État souverain doit prendre forme et revendiquer l’autorité nécessaire à la pratique de sa propre politique d’admission, au contrôle et parfois à la restriction du flux des immigrants. Sans cette politique, ajoute-t-il, il ne pourrait pas y avoir de communautés de caractère historiquement stables, des associations continues d’hommes et de femmes spécialement engagés les uns avec les autres et ayant un sens spécifique de leur vie en commun.» Pour la gauche actuelle, la division entre autochtones et étrangers est une atteinte à l’égale dignité des personnes. Au nom des lois de l’humanité, elle s’engage donc à ne pas appliquer la loi votée par le parlement. Elle se souvient du mauvais accueil fait aux immigrés juifs fuyant l’Allemagne nazie. Et pour éviter que cela ne recommence, elle proscrit la fermeture des frontières. Un inspecteur général de l’Éducation nationale qui préparait en 2004 le rapport sur les signes et manifestations religieuses à l’école a pu constater l’effet de cette générosité. Interrogeant les enseignants d’un lycée qui évoquaient devant lui l’exode des élèves juifs, il leur demanda leur avis sur la cause de ces départs: «C’est bien simple, répondirent-ils, ils n’étaient pas assez nombreux pour se défendre.» * Être à l’heure: la seule exactitude.
Lorsque vous avez écrit «Le Juif imaginaire», pensiez-vous que la question de l’antisémitisme était derrière vous? Sommes-nous pour autant dans une répétition de l’Histoire?
Après Le Juif imaginaire, je croyais en avoir fini avec la question juive. Je me trompais. La question juive n’en avait pas fini avec moi. Il y a eu d’abord l’offensive négationniste menée non par l’extrême droite mais par l’ultra gauche. Pour les doctrinaires de la guerre sociale, l’extermination ne servait pas les intérêts du capital, donc elle ne pouvait pas avoir eu lieu. Puis, il y eut le grand retournement de la Shoah contre les Juifs. On leur épingle maintenant non l’étoile jaune, mais la croix gammée en les accusant de perpétrer un génocide à l’égard du peuple palestinien. Ce n’est pas une répétition, c’est une ironie de l’histoire. La haine des Juifs s’adosse aujourd’hui au devoir de mémoire.
À la question «qui êtes-vous?», vous répondez «un sioniste»! Pourquoi cette provocation?
Je suis très attaché à Israël mais je n’ai jamais eu le projet de m’y établir. Pour le meilleur et pour le pire, ma vie est en France. Je ne suis donc pas sioniste à proprement parler. Mais avec la nazification du sionisme, l’antisémitisme est devenu antiraciste. En répondant, «un sioniste» à la question «Qui êtes-vous?», je prends acte de cette réalité: la haine vertueuse. Et je revendique fièrement l’épithète qu’on me jette au visage.
Compte tenu de votre histoire et de celle de votre famille, pouvez-vous mettre à distance les événements et poser notamment un regard objectif sur la politique d’Israël?
Je n’ai jamais cessé de militer pour un compromis territorial entre Israéliens et Palestiniens. L’accroissement ininterrompu des implantations en Cisjordanie est une catastrophe pour les deux peuples. Après le pogrom du 7 octobre, la séparation s’impose plus que jamais. Elle est en même temps d’autant moins plausible qu’Israël a été récompensé de son retrait du Sud Liban par le Hezbollah et de son retrait de Gaza par le Hamas. Le retrait de la Cisjordanie ne mettra-t-il pas l’État juif tout entier à portée du djihad? La situation est tragique. Mais je n’en oublie pas pour autant les initiatives calamiteuses des fondamentalistes obtus avec lesquels Benyamin Netanyahou a choisi de gouverner. Leur radicalité ne me met pas seulement en colère, elle me fait peur et elle me fait honte.

Pêcheur de perles, d’Alain Finkielkraut, Gallimard, 224 p., 19,50 €. sdp

Screenshot 2024-01-05 alle 15.15.05

Posted in Al-Taqwīm | Tagged , , , , , , , , , , , , , | 7 Comments

L’ElzeMìro di Martedì 2 Gennaio 2024

Dopomezzanotte – Buona fine e buon inizio

nigel-van-wieck-coat-check-girl-1201x1536-1
L’ElzeMìro – Dopomezzanotte-Buona fine e buon inizio

in  http://www.gliamantideilibri.it a cura di Barbara Bottazzi

BAMANTI
Desideria Guicciardini-L’Elzemiro alla sua tastiera
Posted in l'Elzemìro | Tagged , , , , | Leave a comment

Cancel Depardieu

Un manipolo di coraggisoi artisti di peso ha espresso in Francia tramite pubblica lettera il suo sostegno all’attore Depardieu, scorporato (e ce ne vuole vista la mole) dall’uomo Gérard. La cito in coda ma in sintesi la lettera dice che le accuse a Depardieu, pesantine, di perversione in pratica,  sono nonsense, un attacco bavoso all’arte, un woke, un cancel-culture.  È ovvio che non si può sapere che delitti abbia o no commesso Gérard Depardieu nella sua vita recente o passata, né si può sapere se sotto il suo ben nasone si nascondono  De Sade o  M il mostro di Düsseldorf ( e chissà se l’attore Peter Lorre amava il sesso con le salamandre). Ovvio che è possibile, io stesso, vegetariano accanito, ficco le dita nelle cosce dei polli per ammanirli a mia moglie carnivora ;   le serie thriller mie predilette ( due per tutte, in Netflix : la francese Pax Masselia e l’islandese Trapped) mi entusiasmano  più è alta la loro densità di morti ammazzati ; e non vedo l’ora di vedere la polizia abbattere il malamente e ci provo gusto ; proprio gusto,  nessuna carità cristiana anche perché non sono cristiano e della carità non ho mai avuto il dono. Voilà al giorno d’oggi dovrei essere crocifisso solo per questo. Ma alla mia crocifissione non verrebbe nessuno, a parte mia moglie e i figli.

Tornando a Depardieu, ma anche Woody Allen o Spacey o chi ti pare, osservo per prima cosa che queste accuse riguardano la sfera sessuale e quindi al mio odorato sanno subito di bigottismo, di Salem, di abbrusciate la strega. Le streghe come si sa almeno dal tempo di  Jules Michelet, La sorcière ( 1862), sono esistite solo nella fantasia di sadici pederasti in pectore e misogini forsennati  in saio o porpora. Osservo che per i reati commessi dalla chiesa cattolica nei figuri delle sue gerachie alte e basse , da decenni per non dire secoli, di queste o di quelle associazioni furìche si è acceso molto ma molto minore sdegno che per le colpe  vere o fantastiche degli attori ( novelle streghe), ira poca mi pare, veemenza nemmeno tanta ; pacata anche delle vittime, forse frastornate ancora dalle violenze subite dai buoni padri, i quali tutti dopo un po’ di purgatorio tornano, se non del tutto almeno in parte, ad esercitare il loro mestiere naturale : i prevaricatori ; e tra l’uomo e la sua professione il punto di sutura non si vede perchè  tra l’uno e l’altro c’è pura sovrapposizione ; eppure le buone madri continuano a mandare i pargoli al catechismo e strillano dai microfoni di ProVita. Del resto tutti a Dubai a parlare di clima e stracciarsi le vesti ( com’è giusto) mentre povere donne e oppositori di un regime come solo in Russia, arrostiscono in prigione o aspettano la grazia, se mai arriverà, dell’inturbantato in comando. Osservo anche, e poi la pianto di osservare, che quanto è vero che nessuno – tranne il papa, i vescovi, Putin e il suo esercito, Hamas, Al Sisi, gli ayatollah, la totalità dei sergenti e colonnelli africani – che nessuno è superiore alla legge per nessun motivo e quindi nemmeno se è un mostro sacro del cinema, un faro di intelligenza interpretativa, un bulldog della cultura mondiale, tanto i fatti dimostrano, dopo anni di linciaggio a mezzo stampa e senza prove in puro stile Alabama, che sia Allen che Spacey sono stati legalmente prosciolti in tribunale. Per Spacey, meno noto e meno ricco di sicuro di Depardieu, il linciaggio ha significato la perdita del lavoro che sa fare egregiamente bene: per chiunque, attore o orologiaio perdere il lavoro è forse la più grave delle ferite. Allen è tra color che son sospesi nell’indignazione pop : quella che ti urla dietro à la lanterne ( lo sai no il grido popolare durante il terrore, in Francia per l’appunto).

Va bene, tutta questa slungagnata per dire poco. Depardieu è un attore enorme quanto è enorme l’uomo. L’attore ha costruito una fortuna con la sua abilità, talento, genio. L’uomo ne ha goduto. È possibile che prima o dopo abbia elaborato un senso di onnipotenza ( gli uomini fanno di queste stupidate) di essere al di sopra e al di là di ogni legge di convivenza, giustizia e compassione. Può darsi. In attesa che un tribunale esamini le prove e giudichi  l’uomo, se questo poi risulterà colpevole mi dispiacerà perché un’artista verso l’altro, il se stesso che accompagna i figli a scuola, avvia la lavapiatti e va al supermercato, ha delle responsabilità. Eluderle significa sporcare l’artista. Intanto, per quel che vale, mi aggiungo ai 50 quanti sono, in difesa dell’attore Depardieu.

© Le Figaro 25/26 dicembre 2023
«N’effacez pas Gérard Depardieu» : l’appel de 50 personnalités du monde de la culture https://www.lefigaro.fr/vox/culture/n-effacez-pas-gerard-depardieu-l-appel-de-50-personnalite…

L’acteur Gérard Depardieu, en 2018. THIERRY ROGE / AFP
TRIBUNE – Alors que l’acteur est mis en examen pour viols et agressions sexuelles et que ses propos diffusés dans «Complément d’enquête» ont suscité l’indignation, plusieurs personnalités, parmi lesquelles Nathalie Baye, Pierre Richard ou Carla Bruni appellent à ne pas se substituer à la justice et à permettre à ce «géant du cinéma» de continuer à jouer.
Nous sommes artistes, écrivains et producteurs de cinéma. C’est à ce titre que nous nous exprimons ici. Nous ne souhaitons pas entrer dans la polémique, et laissons la Justice faire son travail. Gérard Depardieu est probablement le plus grand des acteurs.

Le dernier monstre sacré du cinéma. Nous ne pouvons plus rester muets face au lynchage qui s’abat sur lui, face au torrent de haine qui se déverse sur sa personne, sans nuance, dans l’amalgame le plus complet et au mépris d’une présomption d’innocence dont il aurait bénéficié, comme tout un chacun, s’il n’était pas le géant du cinéma qu’il est.
Lorsqu’on s’en prend ainsi à Gérard Depardieu, c’est l’art que l’on attaque. Par son génie d’acteur, Gérard Depardieu participe au rayonnement artistique de notre pays. Il contribue à l’histoire de l’art, de la plus haute des manières. Il fait partie de cette histoire, et continue de l’enrichir. Pour cela, la France lui doit tant. Le cinéma et le théâtre ne peuvent se passer de sa personnalité unique et hors normes. Se priver de cet immense acteur serait un drame, une défaite. La mort de l’art. La nôtre.
Nous souhaitons rappeler tout le bien que cet homme nous a fait, toute sa vie durant. Aussi bien à nous, artistes, qu’à tant de spectateurs. Un grand film, ce n’est tout de même pas rien. Faire entendre la langue de Molière, de Marcel Aymé, de Bernanos, de Marguerite Duras ou celle de Peter Handke comme personne, cela compte, non ? Contribuer à faire rayonner le cinéma de Truffaut, de Pialat, de Ferreri, de Corneau, de Blier ou de Bertolucci dans le monde entier, c’est tout de même quelque chose ! Nous souhaitons, pour le bien du cinéma et du théâtre, le voir prêter son âme, son physique et sa voix unique aux œuvres qui l’attendent encore. Souvenons-nous combien il fut merveilleux, il y a seulement trois ans de cela, de le voir entrer magistralement dans l’œuvre de Balzac sous la direction de Xavier Gianolli. Et lorsqu’il a prêté sa profonde délicatesse aux chansons de Barbara… Nous le pensons du fond du cœur, nous ne pouvons et nous ne voulons pas nous passer de lui.
Quoi qu’il arrive, personne ne pourra jamais effacer la trace indélébile de son œuvre

Signataires : Benoit Poelvoorde (acteur), Nathalie Baye (actrice), Carole Bouquet (actrice), Jacques Dutronc (chanteur), Charlotte Rampling (actrice), Nadine Trintignant (réalisatrice et écrivaine), Yvan Attal (acteur et réalisateur), Jacques Weber (acteur), Bertrand Blier (réalisateur), Emmanuelle Seigner (actrice), Roberto Alagna (chanteur), Michel Fau (acteur et metteur en scène), Victoria Abril (actrice), Dominique Besnehard (acteur et producteur) Carla Bruni (chanteuse), Pierre Richard (acteur), Clémentine Célarié (actrice), Gérard Darmon (Acteur), Rudy Ricciotti (architecte), Christophe Barratier (réalisateur), Arielle Dombasle (chanteuse), Francis Veber (réalisateur), Patrice Leconte (réalisateur), Brigitte Fossey (actrice), Boualem Sansal (écrivain), Charles Berling (acteur), Yannis Ezziadi (acteur et auteur) Philippe Caubère (acteur), Vincent Perez (acteur), Myriam Boyer (actrice), Antoine Dulery (acteur), Afida Turner (chanteuse), Paolo Branco (producteur), Jean-Marie Rouart, de l’Académie française (écrivain), Josée Dayan (réalisatrice), Joel Seria (réalisateur), Bernard Murat (metteur en scène), Serge Toubiana (Critique de cinéma et ancien directeur de la Cinémathèque française), Catherine Millet (écrivaine), Jacques Henric (écrivain), Stéphanie Murat (réalisatrice), Marie-France Brière (productrice et réalisatrice), Daniel Humair (musicien et peintre), Judith Magre (actrice), David Bélugou (décorateur de théâtre), Marie Beltrami (styliste), Tanya Lopert (actrice), Jean-Claude Dreyfus (acteur), Chiara Muti (actrice), Jean-Marie Besset (auteur dramatique), Stéphane Druet (metteur en scène), Christine Boisson (actrice), Karine Silla-Perez (actrice et réalisatrice), Myriam Boisaubert (poète), Lilian Euzéby (artiste peintre), Marion Lahmer (actrice).

Posted in Al-Taqwīm | Tagged , , , , , , | 1 Comment

L’equazione di Prato

img_3437

Father Lish’s privat collection (courtesy of Biblioklept)

Due errori in un fanno un orrore

L’amico Paolo Prato, stamane sul presto, mi ha confortato  con questa sua equazione di facile applicabilità a risolvere molti paradossi e questioni aperte e mai richiuse, come le ferite purulente e che quindi restano tali : a=a. Si dia un’occhiata all’oggi e anche al domani ; dico oltre la pausa natalizia della boxe. Tanti saluti ai pochi non da poco.

Posted in Al-Taqwīm | 2 Comments

TITOLO : Cosa mangiare in inverno per dare una sferzata al metabolismo

Francisco_de_Goya,_Saturno_devorando_a_su_hijo_(1819-1823)

Francisco de Goya – Saturno devorando a su hijo (1819-1823)

Non è da poco che la rete si popola di inviti, allarmi, predicozzi e predizioni di nutrizionisti e consigli per gli acquisti e ricette della pletora di cuochivendoli che passano tute le frontiere del ridicolo suggerendo come cucinare il cavolo nero …poco mi raccomando – petula la giornalista-in-cucina – per non perderne il contenuto vitaminico… ahi, il cavolo nero o lo cuoci almeno 40 minuti o è crudo cioè immangiabile. Vabbè, il silenzio non è contemplato da nessun sito che fondi la propria esistenza sulla ciarla, sull’ esprimersi su tutto, sul sistematico ricorso al nulla per assemblare pupazzi di neve con la neve che non c’è né ci sarà mai più ; ma i pochi commercial che mi passano davanti agli occhi, anche il filmino ultimo di Esselunga, mostrano una realtà innevata che sì forse a Sankt Moritz, forse a Oslo. Il forse non è tirato per i capelli… qui nella più o meno nordica Lecco di giorno la temperatura sale senza fatica a 10 o 12 gradi, altro che Babbo Natale.E non si avvista una nuvola nera da settimane.

Ma il discorso che mi perplime e angustia è circa il cibo. Un discorso co-ossessivo-compulsivo rivolto, non so a chi, ma a gente, ce n’è un sacco in giro e io ho difficoltà a uscire perché non voglio vederla, a gente che sul cibo e sulla sua preparazione, scelta e conseguente ostensione su tovaglie in regola con l’etichetta (non intesa come pizzino di stoffa col nome di frabbica o brand) fonderebbe pare la sua ragione d’essere. Del resto e sempre per timore, ho qualche ritegno ad andare a fare la normale spesa alimentare per non sentirmi chiedere e se sto qui per Natale – avessi delle renne e una slitta forse mi muoverei ma altrimenti dove vorrei andare, rispondo – per non vedere l’occhio lubrico del negoziante che apparecchia sul banco i suoi prodotti per le feste come un tempo i barbieri offrivano calendarietti profumati allietati da figurine porcelle, e preservativi. Scopate fratres. E mmagnate.

Non capisco e non giustifico in questo mondo occidentale dove è già il Tutto ad essere alla portata di tutti, tranne dei poveri che sarebbero pochini nelle gibigiana delle statistiche, e senza riguardo né attenzione al troppo, che è dubitabile certo ma osservabile, non giustifico e non capisco questa bulimia ostentata e propagandata di cui osservo peraltro gli esiti, tuttaltro che salutistici e temperati da una attenta analisi psicovitaminica,  in giro per il supermercato, guardati attorno : sempre più obesi e sempre più giovani, sempre più coppie la cui distanza tra le teste è antivirale, sempre più carrelli gonfi di cocacole, caccole, snacks e bric-à-brac alimentizi fondati su sintesi ardite di innumerevoli prodotti tra cui qualcuno anche alimentare ; il resto grassi trasformati in mercedes da chi li idrogena, zuccheri in sostituzione di vari tipi di neve… e E E E da 102 a 203.

Vabbè poi l’uomo e la donna alla moda smaltiranno la foia alimentare correndo indemoniati per le vie dalle sei alle sette di tutte le mattine. Senza dimenticare lo sci sui chips da imballaggio. Ma attenzione, dietro l’angolo è pronto il nutrizionista a spiegarti, Oh tu sportivo, cosa mangiare in inverno per dare una sferzata al metabolismo

Nota bene : per me e mia moglie al solito anche a Natale brodino di verdura con pastina, integrale ovvio. Amen e arrivederci

Posted in Al-Taqwīm | Tagged , , , , , , , , | 2 Comments

L’ElzeMìro di Martedì 19 Dicembre

Dopomezzanotte – Canto di Natale

nigel-van-wieck-coat-check-girl-1201x1536-1

https://www.gliamantideilibri.it/?p=80537

in  http://www.gliamantideilibri.it a cura di Barbara Bottazzi

BAMANTI
Desideria Guicciardini-L’Elzemiro alla sua tastiera
Posted in l'Elzemìro | Tagged , , , , | Leave a comment

L’ElzeMìro di Martedì 5 Dicembre

Dopo Mezzanotte – Sonderkommando

L’ElzeMìro – Dopomezzanotte-Sonderkommando

in  http://www.gliamantideilibri.it a cura di Barbara Bottazzi

BAMANTI
Desideria Guicciardini-L’Elzemiro alla sua tastiera
Posted in l'Elzemìro | Tagged , , , , | Leave a comment

L’ElzeMìro di Martedì 21 Novembre

Dopo Mezzanotte – Una conversazione da caffè

nigel-van-wieck-coat-check-girl-1201x1536-1
https://www.gliamantideilibri.it/lelzemiro-dopomezzanotte-le-possibilita-del-baratro-una-conversazione-da-caffe/

in  http://www.gliamantideilibri.it a cura di Barbara Bottazzi

BAMANTI
Desideria Guicciardini-L’Elzemiro alla sua tastiera
Posted in l'Elzemìro | Tagged , , , , | Leave a comment

Cortellesi e o’ pernacchio 2/2a

Un affezionato lettore Azsomusic mi scrive un lungo commento al brano sul film di Cortellesi. Il commento ha scatenato una replica chissà se eccessiva ma che mi pare centrata o decentrata forse. Propongo qui pertanto e il commento di Azsumusic e la mia replica

«Penso che il cinema sia come la politica: il successo dipende dal saper cogliere il sentimento del momento tra le masse. Fare neorealismo alla Cortellesi è un punto di vista femminista, movimento che ora punge e fa presa, come presa l’ha fatta il politicamente scorretto prima che si arrivasse al silenzio dei recenti tempi. Il film in questione, si intenda, anch’esso possiede una comicità scorretta sebbene con accezione negativa. E bello, è bello. Un po’ perché, come riportato dal Fatto, ricorda Parasite ovvero quel genere di film che evolve con il personaggio, partendo dal comico e culminando nel tragico, per poi magari ritornare al semiserio. Un po’ perché ricorda quello che di meglio il cinema italiano, nel dopoguerra, ha saputo realizzare. “C’è ancora domani” come una citazione del “Bellissima” di Visconti, con a capo la suprema Magnani. Impossibile non vincere l’Oscar, non soltanto come miglior film straniero. Si pensi a “Roma” di Cuaron in B/N che riuscì a vincere un po’ di tutto, con certo una poetica differente e probabilmente più originale nel concetto. L’unica pecca di “C’è ancora domani” è non essere riusciti a rappresentarlo nell’oggi. Esperimento in cui Sorrentino riuscì, nella sua visione della “Dolce Vita”. Per il resto, davvero un gioiello. Ed ho visto solo il trailer.»

Dopo aver ascoltato di prima mattina un po’ di Brahms e qualche Schumann, caro Azsumusic, prendo carta penna e calamaio per dissentire. Intanto sul fatto di fare valutazioni da un trailer : non è vietato ma è poco. Poi con l’assunto che il cosiddetto femminismo sia un sentimento di massa. Di massa femminile intendo dire. Sì, non nego che ci sia un certo non so che di sono femmina e me ne vanto – atteggiamento non so quanto diffuso e in ogni caso stupido – che circola ai piani alti. Ma, a giudicare dall’ondata di vittime donne giù nei basements direi : più che all’orgoglio siamo, come pare, alla guerra. A proposito di guerra donne e bambini sono di regola, parlo di adesso stesso mentre ti sto scrivendo, le vittime innocenti del funesto amor loro (parafrasi da Simon Boccanegra-Prologo/S3) L’amore del maschio nasconde il pugnale o il cuscino in faccia. Non lo dico io, lo dice Shakespeare con Otello. Hamas e Putin sono la metafora di Otello e le Desdemone subiscono. Se vuoi, la tragedia è l’emblema dell’incompatibilità tra i due generi maggioritari. Gli unici realisticamente parlando. Il maschile e il femminile non sono complementari ma, a mio avviso, enantiodromici. Sono la cultura senza spocchia, l’amabile ragione, il buon senso cortese, l’educazione intesa anche come buona educazione, la gentilezza coltivata con cura, e la coltivazione di sé, persino la convenienza non dico di no, a rendere possibile l’incontro tra “specie” così diverse come mi sembrano essere l’una del maschio e l’altra della femmina.

Mi pare pertanto che se vogliamo parlare ovvero scorporare dal come il cosa, la sintassi dai contenuti, cosa che quasi sempre mi provoca orticaria, mi pare pertanto – mentre ti scrivo dei primati, tutti maschi lo so, in automobile suonano i clacson per esorcizzare un ingorgo scatenato da un incidente che qualcuno di loro ha provocato per imprudenza e stolidaggine forse in una galleria qui vicino ( di solito è così) ; i primati chiamati in causa alla fine si stuferanno di dovere assomigliare agli uomini – mi pare pertanto che bene il film della Cortellesi illustri la tesi che il progresso è cultura ( Delia, la protagonista, mette da parte i soldi per mandare la figlia a scuola) e anche politica (Delia finge una fuga d’amore e invece fugge al seggio elettorale). Andando a votare le femmine di allora invertirono il ruolo della tragedia shakespeariana e misero loro il cuscino in faccia agli Otelli : fessi tutti presi dal un wagneriano incantesimo del cazzo ; la vicenda collaterale del matrimonio della figlia di Delia saltato alla lettera per aria mi pare emblematica. Dissento sul modus della politica : è vero per carità che quella che da mo’ si chiama così insegue le masse ; è circa dal fascismo in avanti, per dare indicazioni temporali fumose, che la politica si manifesta nel titillare le prudenda delle masse là dove esse prudono ( per scabbia, piattole, pulci e affini) ; e dove desiderano essere grattate. Il fascismo cos’è in sintesi : sostituire all’argomento lo slogan che soggioga a se stessi tutti i masanielli. Alla cura paziente la pubblicità. Da lì l’inutilità del dibattito, del parlamento, della dialettica. È il trumpismo e il melonismo : Meloni un caso di femmina perversa che attende da se stessa un’erezione (al cielo), Trump il caso di un equivoco perverso che vuol scendere dal grattacielo.

Ma c’è stato un tempo un cui politica significava proposta: dopo la sgangherata stagione degli assolutismi senza idee ( lo scettro come metafora del manganello come metafora del cazzo) il XIX secolo produsse proposte – vedi Marx e poi muori – articolazione di pensiero, di idee, gioco argomentativo. Sostanzialmente rinuncia al muscolo ischiocavernoso, a vantaggio del circolo, del cortile, persino della baruffa chiozzotta, del fare calmo e cauto del femminile migliore. Si veda ne I compagni del Monicelli la fatica educativa dell’intellettuale tra le masse operaie.

Dopo tanto sproloquio torno al cinema. Non c’è mi pare niente di male ad annusare il vento e surfarne l’onda. Il cinema è industria ma un’industria che si rispetti (riflessivo) è quella che anticipa non quella che si accoda e aspetta. Lo diceva Steve Jobs. Mi pare pertanto che Cortellesi non c’entri niente con il neorealismo né con Bellissima. Il neorealismo portò la macchina da presa per strada. Negò il teatro di posa, persino l’attore. Prese il signor Umberto D. e lo inquadrò nell’unico modo possibile, b/n e ratio 3/4. Il film era il proseguimento, dall’attenzione ribaltata, della Settimana Incom e l’antitesi al l’irreale del Film L(d)uce. Ma il neorealismo faceva piangere. Cortellesi mima, agita la maschera del neorealimo, non punta alla lacrima, anche per questo va detto detto che il suo è straniamento. Non vuol far piangere, prende per il bavero, costringe, come diceva e ddaje Brecht, costringe il pubblico a prendere partito, a dividersi. Se fossi un uomo, dalla proiezione di C’è ancora domani uscirei con la coda tra le gambe circondato come nel film da un coro di donne decise. Le troiane si sono incazzate e tutto questo non lo sopporteranno mai più.

Posted in Al-Taqwīm | Tagged , , , , , , , , , , , , , , | 4 Comments