Paola Cortellesi e o’ pernacchio

Mi riferisco al pezzo di Giovedì 9 novembre – https://www.ilpost.it/2023/11/09/ce-ancora-domani-paola-cortellesi/– circa il mistero del successo del film C’è ancora domani di Paola Cortellesi. Ebbene, un vecchio direttore editoriale di mia conoscenza mi spiegò secoli fa che se era facile prevedere la pioggia o il sole era impossibile predire la fortuna di un libro, la più bella scrittura e il miglior marketing non avrebbero assicurato alla pubblicazione il successo auspicato in camera di lancio, Ci si può augurare che vada bene, non di più, mi disse.

Del resto l’esperienza personale racconta che ben tre miei volumi, ritenuti strepitosi da alcuni lettori elettivi, meno di venticinque – editori a parte che su quei libri scommisero con dedizione – non ne hanno guadagnati nel tempo più di altri cento. Parlo per eccesso. Amen. Dunque per Paola Cortellesi lo stupore è giustificato dal fatto che esiste l’imponderabile. Ma non per il film in sé. Che è formidabile. Dire opera prima è una stupidaggine. Cortellesi è da tempo regista di sé stessa per la maestria attoriale con cui costruisce e racconta i suoi personaggi e li domina ( si guardi Petra, che si regge su di lei a dispetto della modestia della serie). Cortellesi ha il dono dello straniamento naturale, lo avevano Gasmann e Proietti, Totò e Eduardo, De Sica e Sordi.

Lo straniamento è quel modo, piuttosto ignoto in America dove l’attore per solito insegue l’identificazione con un niente chiamato personaggio, per cui, come affermava Brecht, l’attore non impersona ma ne indossa, per così dire, la maschera, lo fa parlare come il pupàro fa col pupo, lo racconta, lo epicizza come i cantori omerici dovettero fare con l’Iliade. Brecht, durante la sua visita a Milano, nei ’50, scherzando con gli attori del Piccolo  Teatro che gli chiesero, Come facciamo a essere straniati come maestro, ebbe a dire, Cari ragazzi –allora lo erano più o meno tutti – che diavolo andate cercando da me, io parlo per i tedeschi che non lo capiscono ma voi italiani lo straniamento lo avete per natura e cultura, la commedia dell’arte, basta ricordarsene.

Poi Brecht usava nel suo ( straordinario n.d.r.) teatro degli accorgimenti per escludere lo psicologismo del teatro del fine XIX sec. : la canzone ( come l’aria nell’opera e nell’operetta che sono per natura straniate e che per se stesse rendono ridicole le letture psicologiche di fatti e personaggi – che esistono solo all’attuarsi della finzione – che ne danno soprani e tenori nelle interviste) il cartello esplicativo, il coro, il siparietto e via discorrendo : tutto ciò che leva al pubblico l’incantesimo e produce pensiero attraverso lo sfaglio, la cesura, l’inciampo ; che spariglia le carte in tavola.

Non è come alcuni intendono, e male, freddezza, distacco dall’emozione, al contrario è un opposto modo di prendere il pubblico, ma per il bavero. Chi abbia visto e apprezzato Il sol dell’avvenire di Moretti, capisce appieno la Cortellesi, attrice colta e regista di sé stessa quanto del suo film : sa tutto quanto detto e lo mostra. Il pantomimo delle sberle, così poco apprezzato pare da certa critica (ignorante), è insieme una trovata di maestria interpretativa, è un’espediente di quelli citati e una chiave di montaggio. Non mi si dica che non induce qualche pensiero. In sé è un bellissimo espediente e del resto tutto il film adopera espedienti ( il vuoto di colore, la ratio in ¾ alternata al 16/9) ed è un bellissimo espediente per raccontare la puzza, in senso fisico, e la puzzoneria etica dell’Italia di allora e poi di oggi che, in più, si è sottratta al sogno che ci sia ancora domani. Punto.

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L’ElzeMìro di Martedì 7 Novembre

Dopo Mezzanotte – Le fanciulle di vetro

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BAMANTI
Desideria Guicciardini-L’Elzemiro alla sua tastiera
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L’ElzeMìro di Martedì 24 ottobre

Dopo Mezzanotte-A Quattrocchi

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L’ElzeMìro – Dopomezzanotte-A quattrocchi
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Guerra guerra…

Avrai notato senz’altro che non un rabbino non un imam – te’ i druidi –prendono parola per cercare di placare almeno, non dico fermare, placare le furie. Nada. Mi dicono che non capisco niente di quella che con una parola oggi molto vogata si chiama geopolitica, oh come piace la geopolitica, fesseria verbale per mimetizzare l’antico gioco di chi ce l’ha più duro e lungo. A che serve si sa. Ma è vero, sono antico e sono un artista, cioè lontano dal mondo abbastanza da vederlo in prospettiva come un immenso scannatoio : in senso proprio e figurato, cioè cosa da maschi anche se non nego che ci sono/saranno povere donne rimbambite a vociare per le strade, come la Norma ( Vincenzo Bellini, 1832) , tutte avvoltolate nei segni della loro malnate identità del vaammorìammazzato. Identità, quanti delitti in tuo nome. Ma il danno, avrai notato lo procurano sempre  i maschi  per primi. Al maschio piace la guerra guerra, leggiti Hillman Un terribile amore per la guerra – tanto per non perdere ogni disillusione sulla specie virile, virale, quella appunto che misura il mondo a decimali del cazzo. La tristezza che suscita la lacrima e la paura prende il pacifico, non il pacifista che è un violento al rovescio e che vede le cose al rovescio : dagli all’America as usual. Mi pare chiaro che il disegno è quello di far fuori l’Occidente e i suoi Beweise : relativi, il frigorifero per tutti e la doccia che butta acqua quando ti pare, magari una Skoda in garage, i bimbi all’asilo ; non richiedenti asilo : altrove il poropòppolo ha da soffrire o non lo manovri. L’innesco è stato in Ucraina ma vedi che finalmente la bomba è scoppiata là dove è facile sollevare plebi, anche di studenti – ma che te studi a ffa’ – tutti assatanati per non aver nient’altro da fare. Ai miserabili nel mondo orientale è concessa la democrazia del vociare, poi a danni fatti tutti a nanna ragazzi. L’occidente, il suo debole avatar, la pia Europa, ricordati di me che son la pia, esposta alle coltellate è circondato. Non dirmi di no. Il deus ex machina mi pare è in Cina, a manovrare il resto, cioè un’orda di utili assassini : poi li spazzeranno via o daranno loro in premio il circolo polare artico. Alla fine forse la partita finirà con una vittoria o almeno un pareggio tra Stati Uniti e Loro : è dimostrato che i primi possono portare la guerra dove vogliono, i secondi non si sa ancora – sì a Taiwan per prendere la quale isola bastano dodici canotti Zodiac con a bordo dei ben istruiti accoltellatori – e poi par proprio che lo possano fare senza spostare incrociatori. Inoltre né questi né quelli credo siano disposti a importare il macello nel proprio giardino. Sanno bene quanto costerebbe caro a grattacieli e superferrovie, dai, non hanno nessuna intenzione. Il macello si fa altrove ed è un’utile operazione malthusiana. Non so immaginare se basteranno i forni crematori o i roghi per smaltire i cadaveri. Intanto fai fuori l’Europa scema così isoli l’America, la bella lì in mezzo ai mari. Ecco die neue Ordnung divisato/a da Putin il pupazzo. Non credo che scoppierà la terza guerra mondiale : è già scoppiata. Arrivedercela.
Chiedo scusa per la mia idiozia, non sono riuscito a trattenermi ma torno alla mia poesia. Tschau. Leggi i sottopancia lassù nel iutiùbe.

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L’ElzeMìro di Martedì 10 ottobre

Dopo Mezzanotte-La migliore amica della donna

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L’ElzeMìro di Martedì 26 Settembre

Dopo Mezzanotte-La terza stanza

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Burn after reading

Tanto ma tanto tempo fa, e credo di averne già accennato qui da questo ambóne, fui querelato da un tale per averlo definito e in ambito privato, una circolare interna della direzione del mio Conservatorio, un impeccabile cialtrone. Ci fu un processo che non pochi definirebbero farsa o da paese dei balocchi, con animali al posto delle autorità giudicanti; fui ritenuto reo confesso – Ha confessato ha confessato signor giudice, strillò l’avvocato di parte lesa – per avere detto la verità cioè che sì avevo scritto quelle due parole impeccabile cialtrone, E allora, domanda implicita ; fui condannato a una cifra spropositata, circa 10.000 euro tale che avrei dovuto lavorare gratis per ripagare il debito che poi mi fu ridotto di due terzi circa in appello. Pagai per non arrivare in cassazione con ulteriori spese. E la cosa finì a tarallucci e vino come era cominciata.

Ma perché ti racconto questo, ti domanderai. Perché la questione che ti prego di leggere nell’articolo qui accluso da Le Figaro, riguarda intanto lo scarso umorismo di chi legge, prova ineffabile di stupidità o quantomeno di intelligenza ingabbiata, limitata, e poi di chi legge in generale senza capire contesto, stile etc. bref di chi non sa leggere per palese ignoranza, di limitata capacità di lettura, tipica di chi si attiene, come i testimoni di Geova e certi integralisti, alla lettera di ogni cosa, e infine prova di altissima soglia, chissà quanti ne hanno già scritto migliori di me, altissima soglia dell’offesa, per cui basta una mosca fuori posto per far scattare la reazione di un ego smisurato, lo stesso dei terroristi, uno per tutti quel Princip che assassinò l’Arciduca d’Austria nel ‘14. Presa così alla lontana per non stare a fare i soliti discorsi. O ti accusano di islamofobìa perché constati che i produttori di petrolio arabi insieme ai russi stanno strangolando le economie occidentali. Transeat diceva sempre mio padre quando il dibattito si approssimava a un cul di sacco. Si offenderanno i sacchi? Occorrerà dire fondo di sacco perché chissà quale associazione madri di bambini protesterebbe per il linguaggio scurrile? O i culi per essere associati alla viltà del sacco… sacco di patate, ma ssacco deché, de mmerda.

L’articolo ; io non so se sia vero o no quello che racconta né so se a perdere sarà o è la letteratura, propendo per un sì ma questa è altra storia. Le Figaro è scritto bene e ha un occhio conservatore, borghese, chissà gaullista, non è Le Monde o NYT, sa un po’ di buon salotto dove si invitano letterati di tutte le risme intorno al tè, si tira un po’ di spada, poi di fioretto,  e poi tutto finisce come prima. Ma è scritto bene il quotidiano e annusa bene l’aria che tira specie quando puzza di fogna. Qui la fogna è l’editoria. Non entro nel merito del tema censura, non censura, wokismo e bingo bongo. L’articolo sfiora ma mette bene a fuoco in due righe al suo centro – une morale commerciale – che la questione è per l’appunto commerciale. Il libro è merce, propaganda di merce e la merce si deve vendere peccùi deve essere propaganda di sé stessa: cioè lavata e stirata. Quindi come nei commercials, propaganda né più né meno, il nero è bello – hai voglia, certe modelle/statue per HM – il bacio tra signorine romantico e zuccheroso, mica c’entra la saliva, le famiglie fanno acrobazie su diversi arcobaleni di salamini (absit o sit iniuria), lo spic è sempre span, così il marketing editoriale è determinato ad affrancarsi dall’obbligo di fare da rimorchiatore del gusto ma anzi ne asseconda del più basso, del più ringhioso, del più rissoso, giaculatorio, preficale, autoassolutorio perché detentore della verità, lamentoso, ipnotizzato, sedato profondamente, alcolista, morfinomane senza morfina, psicobeso, solenne somaro – un somaro ma solenne recita Don Magnifico e non sa che parla di sé ne la Cenerentola di Rossini – ; il gusto di chi non ne ha e che a questa assenza pretende di uniformare il mondo. Fascismo. Dominio delle masse è la sua lezione magistrale. E con ciò mi sono ipso jure direi, attirato i fulmini della censura. Sissignore, la censura girala sottosopra, fa da sempre questo, fascismo e faxismo : difendere i più nell’interesse di pochi padroni il cui scopo è tenere i più nell’ombra, nell’oscurità. Nell’oscurantismo. Tanto ci stanno benone. E dunque? Dunque leggi and burn after reading.

«Un climat d’autocensure»: les éditeurs français dans la cible des sensitivity readers https://www.lefigaro.fr/livres/un-climat-d-autocensure-les-editeurs-francais-dans-la-cible-des-s…
La présence de «sensitivity readers» dans le milieu de l’édition française ne relève pas de l’utopie.

RÉCIT – L’affaire Kevin Lambert-Nicolas Mathieu n’en finit pas de diviser le monde littéraire. De nouveaux «flics de la pensée» entraînent des pratiques de surveillance et de prudence à l’extrême dans le milieu de l’édition française.
Par Alice Develey
 Publié il y a 2 heures, mis à jour il y a 9 minutes

Le 4 septembre dernier, un éditeur français Le Nouvel Attila publiait un post Instagram dans lequel son auteur, le québécois Kevin Lambert, présent dans la première liste du Goncourt, expliquait avoir fait appel à un sensitivity reader. Derrière ce mot, se cache un employé d’une maison d’édition chargée de peigner un texte pour désamorcer tout mot ou phrase qui pourrait froisser le lecteur : on imagine que ce sont les annotations relatives au physique, à la race, à l’orientation sexuelle ou la religion qui font l’objet des attentions des «lecteurs de sensibilité».
Kevin Lambert se justifiait en expliquant qu’il voulait s’assurer qu’il ne «tombait pas dans certains pièges de la représentation des personnes noires par des auteur.es blanc.hes» (sic). Il ajoutait que «la lecture sensible, contrairement à ce qu’en disent les réactionnaires, n’est pas une censure ». À cet aveu, une première dans la littérature, Nicolas Mathieu, Goncourt 2018, réagissait, appelant les écrivains à «bosser», «prendre leur risque», «sans tutelle, ni police».

« C’est une polémique stupide, a balayé de la main le président du jury Goncourt, Didier Decoin. Quand on est auteur, on a le droit de faire appel à qui on veut pour relire un texte. » Une manière comme une autre d’éteindre le feu. Oui, mais l’affaire est sérieuse. D’abord, parce que les sensitivity readers ne sont pas de simples lecteurs ; leur expertise n’est pas littéraire mais morale. «C’est de la mauvaise foi de faire croire que surveiller son texte est naturel. Ce sont des flics de la pensée», tance un éditeur. «Ils font passer les textes au tamis d’une idéologie pour y coller leur grille de lecture du monde, c’est ahurissant !», s’offusque une autre. Les canadairs de Decoin sont vains, parce que la question agite déjà depuis quelque temps l’édition.
Jusqu’ici, la question des «sensitivity readers» était relativement cantonnée à l’étranger. On a observé l’émoi qu’a suscité la traduction de l’œuvre d’Amanda Gorman, poétesse afro-américaine, par une autrice blanche aux Pays-Bas, en 2021. Ou plus récemment, le scandale de la réécriture de classiques aux Etats-Unis. Quand la possibilité d’interdire des mots aussi communs que «gros» et «laid» a menacé l’œuvre de Roald Dahl en français, Gallimard jeunesse a tout de suite fait barrage. Mais depuis que les éditions du Masque ont cédé aux ayants droit la possibilité de réviser les traductions d’Agatha Christie, il est très vite apparu que la France ne pourrait pas rester extérieure à ce débat, qui est une menace pour la liberté des créateurs.
On est confrontés de plus en plus à des pra‐ tiques de prudence à l’extrême de peur d’at‐ taques en justice, sur la question de l’égalité des sexes, de la couleur de peau.
Un éditeur chez Gallimard

Aujourd’hui si les éditeurs français sont en première ligne, peu osent parler. «C’est parce que c’est politique, avance une jeune éditrice. Dès qu’on en discute, on est soit de gauche, woke ou de droite, conservateur. C’est un débat binaire.» Et, au sein d’une même équipe éditoriale, le sujet des sensitivity readers divise. «Surtout les
générations !, abonde une autre éditrice. Les plus de 40 ans sont réservés, quand ceux de moins de 40 y sont plutôt favorables. Chez ces derniers, il y a une foule de réflexes qui sont devenus des évidences : on a peur dès qu’on publie un texte, on doit tout féminiser, utiliser le iel et le point médian.» Les défenseurs de l’écriture inclusive auraient ainsi trouvé son pendant avec la naissance d’une «littérature inclusive».
«Faire que les lectrices et lecteurs soient heureux et calmes !» Dans un récit publié ce mois-ci, Sensibilités, Tania de Montaigne imagine avec cynisme un monde où seuls les livres «Feel Good», dument contrôlés par des sensitivity readers et rendus incapables de faire du mal à une mouche, seraient commercialisables. Il s’agit d’une fable, certes, mais pas non plus d’une utopie. C’est parce que Tania de Montaigne s’est un jour entendu dire qu’elle avait «écrit une phrase qui aurait fait de la peine aux Noirs», qu’elle a pensé à écrire cette histoire. Les sensitivity readers, s’ils ne sont pas nommément présents dans les maisons d’édition, font déjà partie intégrante du milieu.
Une morale commerciale
«Cela fait plusieurs années qu’on a désormais des consignes du service juridique qui circulent, avance-t-on du côté des éditions Gallimard. On est confrontés de plus en plus à des pratiques de prudence à l’extrême de peur d’attaques en justice, sur la question de l’égalité des sexes, de la couleur de peau.» Depuis quand exactement ? Difficile à dire. Ce sont des évolutions de société corrélées à la mondialisation de sujets sur les réseaux sociaux qui ont fait de problèmes nés à l’autre bout du globe les nôtres. «Les sensitivity readers ne sont pas là pour dire s’il y a des erreurs, mais pour que les textes correspondent à une idéologie en vigueur.»
Concrètement, «les juristes se mettent en conformité avec la loi et les sensitivity readers, avec la loi morale», analyse une éditrice. Mais laquelle ? Sûrement la morale commerciale. Car, il ne faut pas oublier que la littérature est d’abord un marché. Or, les sensitivity readers se fichent du livre, qu’importe qu’il devienne ennuyeux ou insipide après leur réécriture, ce qu’ils veulent, c’est se conformer à ce qu’ils estiment être la pensée dominante afin de vendre un maximum de livres (c’est ce qui arrive aux ayants droit d’œuvres célèbres à qui Netflix demande un toilettage main stream).
Une autrice a prétendu que nous n’étions pas lé‐ gitimes, car nous n’étions ni femmes, ni japo‐ nais. Or, quand on écrit, on n’est pas assigné à un genre.
Benjamin Lacombe
Au contraire de l’auteur, qui est seul dans son écriture, l’éditeur lui est dans le monde, il sent la société qui l’entoure et les débats qui l’animent. «Aujourd’hui, on est plus attentif aux questions de sensibilités», indique une éditrice de Grasset. La maison travaille ses textes selon trois niveaux de lectures : éditorial, juridique et historique. «J’estime que notre travail d’éditeur, c’est d’être curieux, ouvert et d’essayer de débusquer ce qui est moralement et légalement répréhensible.» Car, l’éditeur doit prendre des risques. «Le plus souvent, quand on a un doute, on interroge l’auteur.» À charge de l’éditeur d’accepter de le suivre ou non.
En 2005, une violente polémique avait éclaté à la publication d’un roman intitulé Pogrom, chez Flammarion. Dans ce roman, les personnages vomissent leur haine du monde entier jusqu’à verser dans l’antisémitisme. Un procès s’ensuit et la relaxe. Néanmoins, le livre a laissé des traces. À l’époque, l’édition s’opposait à toute forme de censure et estimait qu’il fallait éditer des romans, fussent-ils dérangeants. Au nom de Sade et de Nabokov. À condition qu’ils soient de qualité. Car au fond, la vraie question n’est pas ce que peut écrire ou non l’écrivain mais comment, ce qui nous ramène perpétuellement à la phrase de Wilde : «Il n’y a pas de bon ou de mauvais livre, il n’y a que des livres mal écrits.» La seule morale qui tienne est celle de la forme.
L’autre procès en vogue concerne ce qu’on appelle «l’appropriation culturelle». Un écrivain de sexe masculin blanc peut-il écrire sur une femme noire ? Car aujourd’hui des voix s’élèvent bruyamment, qui auraient fait bondir Flaubert (qui disait : «Madame Bovary c’est moi») pour réprouver ce type de récit. La romancière américaine Jeanine Cummins a été prise à partie en 2020 pour avoir dans un roman, American Dirt, raconté l’épopée des candidats à l’exil vers les États-Unis au motif qu’elle n’était pas «chicano». Mais qui peut croire qu’une seule personne issue d’une minorité puisse représenter toute la minorité ? «Quand on demande un avis à un Noir, on obtient son avis, pas celui de tous les Noirs», rappelle Tania de Montaigne.
Des «trigger warning» en littérature
Dans ce processus en marche, quelle est la prochaine étape alors, exiger un test ADN pour que l’écrivain soit irréprochable ? Récemment, Benjamin Lacombe a défendu avec Sébastien Perez «Histoires de Femmes Samouraï», en Italie. Ils ont effectué quatre années de recherches sur le sujet et en ont composé ce beau livre, féministe. «Et puis, une autrice a prétendu que nous n’étions pas légitimes, car nous n’étions ni femmes, ni japonais. Or, quand on écrit, on n’est pas assigné à un genre.» Faudra-t-il un jour avoir tué pour écrire un polar sur un assassin ?
Les éditeurs cherchent à se couvrir. Certains pratiquent le «trigger warning», qui n’existait jusque-là que dans les séries et les films : «attention tel sujet, telle scène peut heurter etc.» Les lecteurs sont ainsi infantilisés. C’est le cas par exemple, dans les romans de dark romance de Sarah Rivens, qui soit dit en passant, rencontre un immense succès auprès des adolescentes alors que ses livres reposent sur ces mêmes codes «virilistes» et «misogynes» qu’attaquent les sensitivity readers. Cette peur du risque chez les éditeurs se traduit par un «climat de surveillance et d’autocensure, estime-t-on chez Gallimard. On est sur une pente dangereuse d’ordre moral à laquelle contribuent les écrivains qui se soumettent.»
Cette question de la morale en littérature n’est pas nouvelle. Rappelons le procès qui est fait à Flaubert en 1857, son roman Madame Bovary est alors accusé d’immoralité. Mais son avocat, Maître Senard, montre alors que le roman est justement moral en ce qu’il peint l’adultère de manière à imprimer le dégoût du vice chez le lecteur. De même, la question de la vérité n’est pas non plus récente. «All is true !», disait Balzac en son temps. Oui, mais sans jamais oublier que son monde était une construction fondée sur des effets de réel ; il créait une illusion réaliste. Aujourd’hui, les wokistes les accuseraient tous les deux d’«appropriation» pour avoir écrit Eugénie Grandet et Salammbô.
Cette situation pose le problème de la création littéraire. Peut-on s’éloigner du réel ? Les auteurs le constatent. Alice Renard, qui vient de publier son premier roman chez Héloïse d’Ormesson, a ainsi remarqué qu’on lui demandait souvent si ce qu’elle écrivait était «vrai». Comme s’il lui fallait se justifier. Or, les auteurs ne sont pas des «menteurs». Ils ne décrivent pas, ils racontent, ils inventent, ils reconstituent. «La littérature est en train d’abandonner sa part de fiction et d’imagination pour la sociologie et le réel», déplore un éditeur. Est-ce pour cela que la littérature semble se superposer au journalisme, avec des récits, des exofictions… Or c’est dans cette faille que s’immiscent les sensitivity readers qui détestent la fiction. Le réel se vérifie, ce qui n’est pas le cas de l’imaginaire. Comme le journalisme a ses fact-checkers, la littérature devrait avoir ses sensitivity readers…
Pourtant, les auteurs interrogés sont unanimes : ce qu’ils écrivent est vrai du point de vue de leurs personnages. Certains font des recherches, d’autres vont sur le terrain et d’autres encore se contentent d’imaginer des univers. «Le roman, c’est le territoire de tous les possibles et le pays de la fiction n’a pas de frontières», explique Joffrine Donnadieu, auteure de Chienne et Louve. Or, comment peut-on imaginer que des livres censurés, mesurés, étriqués fassent rêver ? Réécrire des textes ne peut être que le fantasme d’Albert Cinoc, le tueur de mots, de Georges Perec ! Les classiques qui nous ont marqués sont aussi ceux qui nous ont bouleversés, choqués, troublés.
Qu’on ouvre Vipère au poing et l’on tremblera de rage devant la «Folcoche» d’Hervé Bazin, qu’on reprenne Dumas et l’on partagera l’envie de vengeance du Comte de Monte-Cristo. Les écrivains sont invariablement libres dans leur ton et leur histoire. Et si certains usent de la provocation pour dire la vérité, c’est peut-être parce qu’elle doit être provocante. Et, comme l’avance une éditrice, «ce n’est pas en effaçant des mots qu’on combattra mieux le sexisme ou le racisme». En passant au roman, le réalisateur Julien Birban le constate : «Quand je fais des films de publicité ou de mode, je passe mon temps à être censuré. Le roman, c’est justement l’occasion d’être libre.» Mais jusqu’à quand ?
En jeunesse, le pli a déjà été pris. Les albums de Martine ont été plusieurs fois révisés afin de «parler à la nouvelle génération, et d’être en phase avec son époque». Martine n’est plus «petite maman»… Même climat avec les «remaniements» du Club des Cinq. Ce qui est certain, c’est que cette affaire Kevin Lambert n’est que la première étape d’un processus qui colle à l’air du temps, celui de la surveillance de la pensée et du vocabulaire, de l’art de l’euphémisme. Pas sûr que la morale publique y gagne. Sûr, en revanche, que la littérature y perdra.

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Di questo paese non se ne può più

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Stairway di Edward Hopper

Di recentissimo a Vienna in visita al Kunsthistorisches Museum abbiamo pescato una masnada di napoletani tra i 15 e 45 anni ; un gruppo familiare che, armato di urla e lazzi e frizzi, in una sala di Schiele saltava e si sbarracava sui divani, si metteva in posa di dileggio davanti ai quadri, faceva in altre parole il casino da stadio cui è abituato. Tutti griffati dai piedi al collo ovviamente. Devo dire che rimproverati con asprezza tedesca, mi è consona, i peggiori in quella banda di adolescenti, cui includo i due adulti di riferimento, màtete e pàtete, i due peggiori abbassarono il capo e filarono via. Il sitz che si ordina ai cani funziona a volte con gli umani. Ma…

…ho letto e gustato questo bellissimo quanto inane fondo di Luca Sofri, direttore de Il Post, il quotidiano on line. https://www.wittgenstein.it/2023/09/12/la-risposta-e-nel-vento-2/. Nel pezzo, a metà strada, Sofri cita la desolata esternazione di Ferruccio Parri ( chi era costui? Questo nome non ti è nuovo?) circa quell’espressione geografica deteriore che è il popolo italiano. Durante la pandemia, in una piazza Maggiore semideserta, a Bologna l’analista dr. Recalcati parlò con grande, secondo me, acume e giustezza del fondo fascista, cioè triviale e rozzo, ma genetico di ogni italiano, mettendo pro bono nel calderone persino sé stesso: l’Ognuno. A prescindere dal fatto che direi per principio concordo con Parri…

«Mah, il popolo italiano, ecco. È la cosa che mi pesa di più. Man mano che mi sono fatto una conoscenza più profonda del popolo italiano, ho toccato i suoi aspetti di scarsa educazione civile e politica. Mi riferisco alla parte prevalente del Paese, non a tutto il Paese. Questo rafforzarsi costante del mio pessimismo, questa constatazione progressiva della non rispondenza della maggior parte del popolo è una delusione forte per uno che ha sempre ritenuto e ritiene di dover fare qualcosa per la vita pubblica».

… e con Recalcati, entrambi ben maggiori di me che imbandisco qui badgeless chats ovvero suggerite da un fastidio fisico per l’Italia – una nazioncina di sciabolette vanagloriose che mi privò dell’impero asburgico in cui nacque mia nonna paterna e inflisse alla mia famiglia i guasti della dittatura – a prescindere dalle nobilissime suggestioni suggerisco di cambiare i punti di vista. Qualcuno d’ora in poi obbietterà che l’estero non è di principio meglio, non ci credo ma può darsi : e allora? Si dice che la classe politica, che una mal identificata classe dominante egemone, che questi e quelli sono i colpevoli del degrado italiano. Certo se ne giovano. E il degrado beninteso che si nota sì al macroscopio, lo è anzi e soprattutto visibile al microscopio della buona educazione, del decoro inteso soprattutto come pudicizia o meglio come oRore di sè stessi, diceva Petrolini : ai miei tempi agli inquilini era fatto espresso divieto di panneggiare di mutande i balconi ( Ah i napoletani, lamentavano, ricordo, le signore milanesi) ; oggi nessuno lamenta l’ostensione di seni ciondoloni, obesità (sintomo a mio avviso di una avidità di possesso, di avere tutto per sè fin dentro di sé) e polpacci e piedacci dice il Taschera qui da questo ambóne ( peraltro ho visto qui decorarsi il lato strada di un bel condominio, signorile, architettonico, solo vendita e di recente e di bella fattura, in un men che non si dica, di stendibiancheria da quattro soldi e seggioline bianche di plastica ; il piccolo e il meschino sono ostentati, segno che il denaro per l’acquisto si ha ma non si è stati capaci di acquistare e conquistare un gusto, una sensibilità, un’attenzione) –. Vabbè parrebbe che il poppolo taliano abbia orgogliosa sicurezza delle proprie miserie, prepotenze, violenze, e che ne ostenti i segni come patriottici caratteri nazionali. Ma sono sintomi. Certo la politica e la sua continuazione con altri mezzi che è la propaganda quotidiana della stampa main stream fanno il resto, ma hanno ragione. Non i loro governi, non la mafia, non la camorra e simili, gli italiani sono i germi che causano l’infiammazione. Il resto è epifenomeno contrario. Ci si può lamentare dei taxisti, dei balneari, di Caivano, della signora Meloni che difende Dio( ma non è onnipotente?) a Budapest, di Lampedusa di che ti pare, ma tutto il male, lo scempio è eletto dall’italiano, che è meno che medio, infame, gretto, rozzo, ‘gnorante, votato all’incultura. Offrigli una scuola modello: ci accenderà un barbecue. Tutto ciò di cui si lamenta è prodotto da lui o dai suoi cani, a guardare i marciapiedi qui di Lecco che sono cacatoi da suburra cui nessuno fa caso. Segno che della propria cacca non si ha pudore. Che si cachi in Parlamento è secondario.

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L’ElzeMìro di Martedì 12 Settembre

Dopo Mezzanotte-La valvola a campana

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https://www.gliamantideilibri.it/lelzemiro-dopo-mezzanotte-la-valvola-a-campana/

in  http://www.gliamantideilibri.it a cura di Barbara Bottazzi

BAMANTI
Desideria Guicciardini-L’Elzemiro alla sua tastiera
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Commenti viennesi

Ricevo e mi pare interessante pubblicare qui, come pezzo autonomo integrale, due dei commenti che mi sono arrivati da Taschera circa i due ultimi miei post. Mi sembrano interessanti le associazioni, le implicazioni e le derive musicali, indizio di una mente che io conosco ma che mi sembra opportuno far conoscere (fuori dalla scatola dei commenti che non so quanti abbiano voglia di leggere o si accorgano di poterlo fare) per come sa associare, correre lungo il filo di Arianna  delle incognite dentro un labirinto formale, per poi uscirne. A riveder le stelle.

Dici magnificamente dell’essenza della lingua tedesca. Però i meccanismi ad orologeria possono essere forieri di rischi. Il primo e il più ovvio è la possibilità che si inceppi: il famoso sassolino che distrugge la macchina. L’altro è la tendenza a saturare il pensiero che esprime e a non lasciare spiragli verso prospettive inaspettate. Quando incontrai il sempre (da me) più che mai compianto Ferrara, rimasi sbalordito del fatto che per lui il massimo della soddisfazione interpretativa lo trovava nelle Ouvertures delle opere verdiate. Agli allievi preferiti dava sempre da dirigere, nel concerto di chiusura della stagione accademica della Chigiana, un’Ouverture di Verdi. Mano mano che ho approfondito la sua conoscenza e ho capito il suo modo di intendere la musica e la sua interpretazione ho capito il perché della sua predilezione. La musica italiana in generale sta alla musica tedesca come la commedia dell’arte alla tragedia shakespeariana o alla grande tradizione tragica francese o tedesca: l’interprete ha uno spazio ri-creativo molto maggiore nei confronti della tradizione musicale italiana piuttosto che in quella tedesca. L’eventuale sassolino nel suo labile meccanismo può essere accolto come una variabile che apre a delle prospettive non immaginate. E d’altronde se le premesse del meccanismo ad orologeria non sono fondate (socialmente parlando) su principi o valori etico-politici arrivare ai campi di sterminio è facile. Comunque quanto dici di Vienna risveglia nostalgie reali (i miei soggiorni di studio) e immaginarie: la perdita della cultura mitteleuropea che aveva il suo centro in Wien….

… Alcune considerazioni sul comportamento della signora al supermercato. Innanzitutto bisognerebbe sostituire il termine villania con quello di urbanità. Non mi è mai capitato di notare comportamenti villani in un “villano” mentre il cittadino in fatto di comportamenti scorretti non fa che scialare. Mi diverto sempre, quando mi capita di cedere il passo a qualcuno, a ringraziarlo della sua scortesia, visto che non vengo ringraziato, ma quello – o quella – ovviamente non capiscono. Poi c’è da dire che, per non venire meno al principio delle pari opportunità e al rispetto delle quote rosa, quello che veniva chiamato il gentil sesso sempre più replica i peggiori comportamenti di quello che veniva chiamato sesso forte. Per quanto riguarda la gentilezza viennese, non a caso Swarovski (da non confondere con il marchio dei gioiellini) considerava il buon papà Haydn come il massimo rappresentante della scuola musicale di Vienna: merito della sua levità, arguzia, letizia, piacere delle perfette proporzioni della forma, serena contemplazione della bellezza del creato. Però poi il nazismo è germinato in ambito austriaco… Leonardo Taschera

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