El mundo traidor

«La televisione è la forma nascosta e suadente ma implacabile del totalitarismo, oggi. Dove i vecchi totalitarismi si mostravano in tutta la fisica violenza della costrizione e della repressione, la loro versione consumistica invade le coscienze che neppure si accorgono di quanto accada, convinte come sono di essere libere nelle scelte, di essere chiamate a una sempre migliore qualità della vita. Attraverso il potere invasivo della televisione viene cancellata ogni differenza. Nessun totalitarismo, in effetti, era arrivato a tanto: produrre negli uomini asserviti la gioiosa illusione della libertà. La violenza dilagante in televisione è il grande eccitante in grado di tenere legati gli spettatori fino al prossimo spot. Nell’assoluto pragmatismo del mezzo televisivo, il qualunquismo – e cioè l’indifferenza a ogni riflessione critica sulla realtà – non trova più ostacoli poiché ha rimosso l’intelligenza». 

Un fantasma falsario si aggira per l’Europa, e nei paesi, come l’Italia, limitrofi al niente. È il fantasma, si può ben dire, di Umberto Eco. Il mio amico Biuso, che non diventerà autore di successo perché non esporrà e finora non ha esposto le proprie mutande nei meati del giornalismo e della televisione, parla in più occasioni della cosiddetta società dello spettacolo in quanto totalitarismo. (cfr. in particolare Alberto Giovanni Biuso –Contro il ’68- pgg. 100-101. Villaggio Maori ed. 2012). Della società costituita in totalitarismo incipiente. Essa intrattiene per trattenere in un dormiveglia, in una ipnosi che non permetta di discriminare. Ora che è di recente morto, il professor Eco, riderebbe forse che sì forse che no, dell’avere compiuto alla perfezione la propria opera al nero, la nigredo degli alchimisti sui quali egli avrebbe discettato con competenza se Marguerite Yourcenar* non lo avesse battuto di molte misure e con molta maggiore dottrina e filosofia; pas mal, da professore di una materia immateriale ad icona di questa stessa società di segni senza senso, un’eco. Nemmeno con molto talento equilibristico, un saltimbanco da funerale ha bene riassunto il processo e alle vivissime esequie** in 16:9 ha parlato delle barzellette, esagerando di certo  sulla quantità di ore passate e a contarsele, lui e la sua eco; nessuno passerebbe notti a farlo. Il punto non è questo, parlare di barzellette anche se ebraiche, è utile a un funerale; il punto è la rappresentazione di se stesso messa in atto dal saltimbanco nel ruolo di amico del defunto illustre. E dei comuni, così dicono i gazzettieri delle comparse nella rappresentazione, come condolenti. A fà cus’è? Si sono rappresentati tutti con lo stile che il totalitarismo prescrive, copricapo d’ordinanza e occhio volto alla telecamere, digito ergo sum; si è rappresentato il giullare in barba e baffi e papalina finti anche se veri. Il defunto illustre tale non sarebbe stato se non avesse costruito il proprio mito a propria volta e con sagacia mercantile di soubrette di classe, producendo opere, pur godibili (chi scrive le ha lette tutte) ma non più di quelle di Ken Follet e molto inferiori a un modesto Maigret; opere quelle del grande italiano però, di fortuna editoriale e fortissimo impatto emotivo sull’immaginario di chi colto non è ma che, en el mundo traidor (donde) nada hay verdad ni mentira; (y) todo es según el color del cristal con que se mira***, si riconosce come quell’altro nel proprio specchio dei desideri, quietandoli con la gibigiana di un Io prepotente quanto confuso  e tale che per il leggere di cose dotte e ridotte si illude di poterle assorbire e averle di poi assorbite per osmosi. Carmelo Bene ebbe a dire che, https://www.youtube.com/watch?v=KbNb0pEec8Y, che regista e direttore artistico del teatro italiano si figurava Giulio Andreotti. Parrebbe boutade se non fosse vero che la descrizione del personaggio del pupàro occulto occupa alla perfezione il piccolo schermo su cui proietta se stessa la società della reductio ad unum spectaculum di ogni cosa. Per sua fortuna Deleuze suicidò prima di assistere all’evento.

*Marguerite Yourcenar (1903-1987)- L’Œuvre au noir- Gallimard 1968(sic)

** Totò-Il medico dei pazzi-Mario Mattoli 1954

***Ramón de Campoamor (1817-1901)- Las dos linternas-

About dascola

P.E.G. D’Ascola ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: "Le rovine di Violetta", "Idillio d’amore tra pastori", riscrittura di "Beggar’s opera"di John Gay, "Auto sacramental" e "Il Circo delle fanciulle". Sue due raccolte di racconti, "Bambino Arturo e il suo vofabulario immaginario"" e "I 25 racconti della signorina Conti", i romanzi "Cecchelin e Cyrano" e "Assedio ed Esilio", tradotto questo anche in spagnolo da "Orizzonte atlantico". Nella rivista "Gli amanti dei libri" occupa da molti anni lo spazio quindicinale di racconti essenziali, "L’ElzeMìro".
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8 Responses to El mundo traidor

  1. dascola says:

    Ti auguro, come auguro a me stesso di non dovere lavorare troppo. Non troppo a lungo. In fondo è una perdita di tempo. Mi pare.
    Grazie per l’osservazione lusingante, Diego.

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  2. diegod56 says:

    Non ci crederai. Ma sai che ci pensavo proprio ieri sera? Ovviamente mi sono assolutamente risparmiato di vedere il funerale in TV, ed ho riflettuto ad alta voce con mia moglie, mentre sentivo la radio in macchina. «Quando morirà il Prof. Biuso ci saranno poche persone (io no ovviamente essendo già morto), e penso che se uno è stato un vero grande intellettuale la controprova è che sono pochi al funerale». Del resto i personaggi anche interessanti che dopo morti hanno peggio che le piramidi di tutankamen mediatiche (es. De André) mi arrecano fastidio.

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    • dascola says:

      Bentornato caro,
      Certo che ci credo Diego. Su tutto il resto siamo in sintonia perfetta. Leggi Nè di Venere né di Marte.

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      • diegod56 says:

        e che leggere te è una cosa seria, dovrei evitare di farlo mentre sto lavorando, altrimenti finisce che non lavoro…

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  3. Massimo Bertola says:

    Caro P D’A,

    leggo sempre tutto quello che mi mandi, qualche volta rispondo. La nostra ultima conversazione a Milano, in sala professori, verteva sull’attrezzatura giusta per la Nordic Walk. Ora trovo un improvviso, inaspettato link a Carmelo Bene, cui non pensavo da un’eternità.

    Rifletto, capisco che il segno più chiaro dello stato di rimbecillimento nel quale la vita quotidiana, moderna ci (mi) sprofonda lentamente, a piccoli colpi, è nella quantità di cose che una volta mi erano familiari e alle quali, da un po’, mi dimentico di pensare. Mi succede con la musica, i libri, i film, le idee: ne ritrovo all’improvviso la menzione da qualche parte e mi rendo conto, con un misto di stupore e vergogna, che anni e anni fa erano cose che nella mia vita c’erano, e adesso non ci sono più.

    A volte mi sembra che la mia esistenza si condensi nell’immagine dei duecento metri di strada che separano l’uscita della Metro San Babila alla svolta in via del Conservatorio, e alle poche decine di facce da culo che incrocio.

    Ti ringrazio per i tuoi post, sebbene mi facciano spesso sentire che una delle cose smarrite è l’abitudine a leggere una lingua articolata e complessa.

    Buone cose,

    MB

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    • dascola says:

      qualche volta rispondo
      Caro MB,
      se qualche volta rispondi nel mio linguaggio interiore significa che accogli le mie paroline come costituenti , anzi, stando a ciò che te tu scrivi te, ricostituenti di una domanda che ti interroga, in accordo con Lacan. La tua riflessione si aggira dentro questo maelstrom. La tua riflessione mi onora ma mi interroga a sua o mia volta. Così da impedirmi di risponderti. Posso soltanto ringraziarti e molto per tanta ricchezza. Un caro, riconoscente saluto.P.
      p.s. ah i duecento metri sì, ricordano talvolta il passo del dead man walking nel braccio della morte, sì.

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  4. Alberto G. Biuso says:

    Amico mio, grazie per questa pagina feroce e delicata, coraggiosa sempre. Ti chiedo di correggere un piccolo errore: le pagine da cui hai citato si trovano nella nuova edizione del volume, pubblicata da Villaggio Maori Edizioni e non da Guida. Concordo su tutto ciò che hai scritto e ti abbraccio, A.

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