La signora Petronella esce, con le borse vuote, dal portoncino blindato del carcere in cui è entrata nemmeno un’ora fa per portare al marito, arrestato di fresco, la biancheria e gli oggettini d’uso, basta regolarsi come per l’ospedale, pennello da barba o flacone di schiuma, spazzolino, dentifricio, il liquido per i denti, rasoi, ma che il marito li usi in luogo del pratico rasoio elettrico è una pura illazione. Non è un’illazione che la donna, poco meno che settantenne, è convinta che su di lui sono state dette molte bugie, che lei non legge i giornali, quindi garantisce su sé stessa, ma lei lo sa. Non legge i giornali suona come una minaccia promessa, lei non legge tout court viene fatto di pensare, per mantenersi pura, per garantirsi intatta dalla minaccia che sovrasta gli innocenti a prescindere. Per non cedere alle voglie del nemico. A casa, si toglierà le scarpe e massaggerà i piedi, mangerà alle sette da sola, o forse con una caritatevole vicina, spaghetti saltati, una fetta di carne rossa fritta nell’olio, insalata che è da finire, un bicchiere, forse due, forse tre di vino. Alle nove televisione.
Il signor Petronella, anni 71, ha inseguito in auto e ucciso un uomo, migliore di lui o peggiore difficile a dirsi, uno che gli ha rotto uno specchietto della stessa auto e che gli aveva sputato in faccia, dicitur. Per punirlo, lo ha travolto e gli è passato sopra, con l’auto, due volte, la sicurezza si sa è tra le priorità dei pensionati italiani. Si dice accecato dall’ira ma l’ira, è noto non acceca nessuno, anzi rende capaci di atti precisi e determinati, almeno pare. Domani mattina e per i prossimi giorni, dovrà mangiare, urinare e defecare in compagnia di altri sei, sette uomini. Occorre immaginare lo smarrimento del signor Petronella, la sua scarsa confidenza con il disagio. La signora Petronella, dice il difensore, è molto turbata. E anche il signor Petronella, ci si aspetta che chieda scusa.
John A. Boehner , il volto repubblicano dell’America virile e virale, cerca in ogni modo di rovinare una moltitudine di altri uomini, negando al Presidente di quegli Stati il diritto di difenderli e, a quegli uomini, per il tramite di violenti tagli di bilancio, il già povero accesso alle protezioni collettive, sociali, al walfare, l’ultima frontiera delle minacce che incombono sul benessere del mondo del benessere. L’uomo forte fa da sé e ne ammazza tre. E salva la grande ecclèsia, l’unica vera, del capitale.
Un altro, certo Borghezio dalla facies apopleptica, signore è una parola azzardata per definirlo, uno che deve qualcosa a Martin Bormann, qualcuno avrà in mente di chi si tratta, assicura che le idee di un assassino di questi giorni sono le stesse di Oriani Fallaci come se Oriana Fallaci avesse avuto nella vita anche solo un’idea a parte quella di trasformarsi in bambina mai nata scrivendo l’ovvio gradito e sovrapponendo alla realtà la propria icona. Guardando quel Borghezio, si viene presi dal desiderio di ordinare un bombardamento a tappeto della Brianza almeno fino ai confini con la Svizzera.
Fino a quattro giorni fa solo un tale o uno Jedermann, un ognuno, un Breivik che sta in carcere. Si vedrà se dargli 20 o trent’anni, se il delitto, così ben ordinato e mastodontico per un uomo solo, è strage o crimine contro l’umanità. Incuriosisce il suo ritratto in grembiulino massonico e insegne e triangoli, tutti i giornali lo mostrano, ai fratelli non parse incongruo tra loro, la fratellanza non ha limiti. È in cella da solo, si deve immaginare una bellissima cella norvegese, guardato a vista, interrogato, l’avvocato dice che è pazzo. Non lo è. L’omicidio non pertiene al campo della follia. È una scusa che usavano anche i Rigoletti per farne e dirne di ogni. Rigoletto è impuro, deforme, scarso quanto a quarti ariani e un assassino.
Un altro ancora, del tutto anonimo mi passa accanto con la sua H. Davidson fumante, lo scappamento che scoreggia sonoro, mi alita in faccia una nuvola di fumo caldo. La moto monta sul marciapiede. Da sotto il casco dell’uomo sventola un cencio colorato, un insegna da pirata ma non dei Caraibi, la sigaretta in bocca posteggia, l’uomo non la sigaretta e ci si accorge che al posto del viso ha un’espressione senza espressività. La sua bella smonta dal sellino, si aggiusta sul pube giovane i pantaloni, leva il casco e mette in posa virile i capelli folti, da sotto i quali spuntano due occhi standard. Il mondo brucia e la baba si fa i riccioli, canta un adagio rumeno. Tutto qui.
Tra questi tipi non rintraccio differenze, a parte quelle tra chi sta in carcere e chi non ci sta. Umanità disumanata, scrive B. Brecht in l’Eccezione e la Regola. Europa fai paura.
Caro Pasquale, sono un tuo amico e collega. Quanto al bombardamento della Brianza, provo un duplice sentimento di triste ironia poiché Borghezio è, come me, in realtà piemontese, e sono io, piemontese, a vivere in Brianza…
Ciao,
MB
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io percepisco la disumanità come la follia del disconoscimento dell’altro come essere vivente, come mio con-simile. c’è solo la percezione dei propri pensieri folli che portano all’eliminazione dell’altro quando quest’ultimo si mette di traverso alla mia follia. che io riconosco però come ragione. oltre ogni logica umana.
e sono accomunati dal vuoto interno questi esseri, che non sono più umani, se mai in un momento delle loro vite lo sono stati. e contro il vuoto, contro il nulla, la ragione è disarmata, entra in stallo, non solo la loro, anche la nostra quando assiste a questi orrori.
forse un giorno l’uomo sarà davvero “umano” pur che nel passato ci sono stati uomini degni di questo nome. ma sempre troppo pochi in confronto al resto dell’umanità, vile, egoista, usurpatrice, violenta secondo una ragione che ai più non pare folle.
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Umanità disumanata, secondo B. Brecht, è l’appropriata definizione di tutti i terrificanti esempi descritti, dal caso di ordinaria follia cittadina del sig. Petronella a quello del repubblicano Bohener, fino al norvegese pluri-assassino per smania di tornare a pianificare l’annientamento del genere umano a lui inviso. Non c’è che augurarsi : libera nos a malo, ma basteranno gli esorcismi?
Mario Valente
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