Venti di settembre

Leggere è un atto di responsabilità individuale, luterano. Scrivere è assumerla. Forse, viene fatto di domandarsi, per questo o per altri sordidi motivi, il nostro è un paese di letterati che non scrivono e di lettori analfabeti. Il borghese italiano, se legge, trascuriamo il caso di rumorosa afasia collettiva determinato dai tv-boxes, compra il suo Corriere_Che-Lo_Serve come atto di devozione domestica, direbbe Brecht, in ossequio alla madre vaticana diffusa cioè tutta la società italiana; lo stesso, passerà le sue domeniche a leggere i suoi giornalisti, i suoi magistrati che, fonti autoritarie di scrittura, sono i detentori del potere di scrivere e di venire pubblicati. Da noi Amos Oz o Philip Roth credo si pubblichino solo perché di successo e d’oltrecortina, la cortina d’ignoranza che circonda lo stivale con il tacco a spillo, quindi non coinvolgenti poco credibili in fondo, de kelli paìsi, cosa loro; la letteratura qui da noi è cosa nostra, per questo non la si vede, è latitante. Nel migliore dei casi la spacciano come critica, ossequiosa al potere consolidato, anzi pubblicata dallo stesso, benché in apparenza enatiodròmica. Nel peggiore, ma non è materia qui di trattazione, appartiene al campo dei rosellina rosellina perché t’alzi la mattina, perché mi preparo alla terza ristampa in poche settimane, rispose la bambina mai cresciuta al suo quinto successo editoriale della sua consueta saga, da leggersi come variabile masturbatoria ma familiare. L’unica cosa che sa, da noi lo scrittore nasce e vive e muore dentro un presepe di successo, il padre dentista suggeriva spazzolini ed edulcoranti in televisione, la madre preparava biscotti dal nome ritmato, Stringhetti, Briccoli, Ciocchini, l’unica cosa che sa è l’autorità fatta carne del sistema. E sorridono, sorridono tutti; come il loro caro leader; o parlano e mettono il broncio, idem, mai osservato essi, mai visto forse, il volto di Teresa d’Avila nello spettacolo del Bernini. D’altro canto la letteratura è samizdat. Impossibile prenderne in esame il valore o il perché presso la specie umana, questioni larghe per esaminare le quali occorre un vasto intuito e un fulminante studio. Da un esame l’Italia sarebbe esclusa, lo è, abbiamo un paio di romanzieri, molti ragazzini/e in crisi di crescenza e di pecorino e molti poeti, la poesia è mimetica, sfugge alla censura e si attesta su buone posizioni perché è facile dire oh che bella che bella la frisèlla di mia sorella; piacevano, un tempo lontano, alle professoresse di ginnasio gli autori, por si a caso fossero stati, in privato, anche dei mangia_professoresse. Atei persino, l’Italia è l’unico paese al mondo dove anche gli atei sono credenti accaniti. Del resto, non potrebbe essere altrimenti, sostituito da questi l’Ente, con il Nonente né Volente. La storia da noi pare sia stata promulgata prima che fosse vissuta. Anzi per evitare che potesse esserlo. Così mi pare che, dopo il rivoluzionario e abortito gesto di sbrecciare una porta per quanto Pia nel 1870, dal 2011 utile sarebbe che ciascuno si aprisse una breccia nella mente senza richiuderla più; se si preferisce una dizione più gentile, lasciare che le anime respirino. In pace.

About dascola

P.E.G. D’Ascola ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: "Le rovine di Violetta", "Idillio d’amore tra pastori", riscrittura di "Beggar’s opera"di John Gay, "Auto sacramental" e "Il Circo delle fanciulle". Sue due raccolte di racconti, "Bambino Arturo e il suo vofabulario immaginario"" e "I 25 racconti della signorina Conti", i romanzi "Cecchelin e Cyrano" e "Assedio ed Esilio", tradotto questo anche in spagnolo da "Orizzonte atlantico". Nella rivista "Gli amanti dei libri" occupa da molti anni lo spazio quindicinale di racconti essenziali, "L’ElzeMìro".
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