Quando si dice, non so se mi spiego, succede che non ci si sta spiegando per niente o è appena successo che non ci si sia spiegati del tutto.
C’è una sorta di saggezza nel tocco di campana della torre a Brugnano, non so se mi spiego; non mi spiego e lo so, finirei nel bozzettismo toscano e non è questo, non averne è il mio scopo. Sono qui a ritirare la biancheria secca e a stendere quella bagnata, quando rintocca la mezz’ora. Mi pare che farlo suonare sia un modo, il più pratico di segnare e segnalare il tempo lineare perché è la manifestazione stessa del tempo, fenomeno indipendente dal modo con cui si conviene che sia segnato. Non c’è nessuna garanzia che sia così e l’espressione manifestazione stessa del tempo, come certe belle affermazioni di corrente gironalismo, non è un lapsus avete letto bene, o di letteratura sentimentale, schiere di dame incapaci di ipèrbati, si scambiano ipèrboli à propos di ogni terza ristampa in tre mesi del mondo, è da vedere se corrisponda a un fatto corrente o se lo faccia sussistere nel momento in cui ne crea l’espressione o, se è la frase stessa in sé medesima che, esistendo, è fatto, un fatto nuovo. La tentazione del letterato è poetica, fabbricativa se pensa, il suo lavoro è di rendere il pensiero il più corrispondente possibile a quello che è, la scrittura è l’abito del pensiero; ma il pensiero, come molti abiti, abiti mentali, mi pare che viva in equilibrio tra luogo comune, cattivo gusto e rapace intuito, quello che ogni letterato immagina di possedere o spera di non perdere nella convinzione di averlo, il pensiero aquila che veleggia e carpisce. Veleggia sul vuoto e carpisce un topolino. Meglio un pensiero scoiattolo che sale in alto sul tronco, cattura una grossa ghianda e si siede a mangiarla. Questa, nello stesso tempo, è un’affermazione dubitativa e una cauta domanda. Metafora a parte.
Però è vero che quel suono di campana all’improvviso distende i miei gesti domestici che, mi pare e sottolineo il mi pare prudente, prendano il tempo giusto, né lento né veloce, il tempo giusto; non so se mi spiego che io non so spiegare perché, e se, sia giusto. Qui si confondono Sense and Sensibility ma insomma il Sense conta pure qualcosa e la Sensibility talvolta è fuori luogo. Qui, al sole e al vento di fornace di sud ovest che soffia dalla Libia, immaginando che quella sia la sua provenienza approssimativa dato che i termometri si ostinano a segnare + 36°, mi sembra che la questione si ponga in termini di Sense. Per contrasto, ambito Sensibility, penso a Parigi o New York o Londra o Berlino, alla pressione delle grandi città; io amo Parigi che potrei maneggiare con una certa abilità, credo che mi troverei bene a Londra, meglio a Berlino, e sono portato a credere che potrei volere essere in uno di questi posti, infernali se non si ha un bancomat ben fornito con tutta la banca che c’è dietro, una bella casa, se non si abita in un quartiere appetitoso e non si svolge un’attività appagante e redditizia, anche per caso, anche per un breve periodo. Conosco un po’ di New York, il turista dice bella New York e non pensa che ne sarebbe della sua vita se a New York non facesse il turista ma il cameriere o il macellaio, il poliziotto o il barbiere, o il benzinaio lungo una della grandi strade fuori della città. Torna beato il turista alla sua periferia nostrale e ad accumulare altro denaro per il prossimo viaggio nelle sue, incapaci di deluderlo, convinzioni. Ecco steso il bucato, vado a prepararne un altro. La lavatrice mi ama. Tra poco la campana batterà di nuovo.