Al tribunale per i crimini contro l’umanità la vittima citata non sempre è presente, spesso è costretta alle udienze nel tribunale per i crimini dell’umanità. In altre sedi occorrerebbe indagare chi è o che cos’è il soggetto.
La persona è alta, bionda, ben pettinata, ben fatta, glaucòpide, ma non ha seno e conserva entrambe le braccia, impeccabile anche alle otto del mattino, vestita della bonomia di uno sbirro elegante ma falangista, la camicia non sempre azul ma sempre in tono con il pullover o sweater o jumper o jersey di lana leggera e raffinata, buttato sulle spalle o annodato intorno al collo se non se ne dà la necessità; preciso che la mia idea archetipa di sbirro è geneticamente acquisita, non è frutto di esperienze dirette. Ho 14 anni, sono ospite dell’uomo, è il padre di un mio compagno di scuola, bello e impeccabile con tutte e due le sue braccia elastiche, biondo, glaucòpide come sua sorella bella e impeccabile con le sue braccia elastiche e ambedue le tette; non è un’amazzone pertanto ma le sue posizioni sono quelle degli arcieri in battaglia. Una famiglia di dèi, compresa la madre nel ruolo per lo più di ebe, colei che versa per gli antichi verdiani. Difficile non essere abbacinati da dèi simili; dèi che mi chiedono spesso, a tavola, notizie delle mie condizioni religiose che sono pessime ma allora ho una certa abilità nell’arrampicarmi su per vetri verticali, anzi a inclinazione negativa, pur di trovar una risposta che soddisfi l’esigenza degli dèi stessi di trovarmi un’anima, oggetto cui attribuiscono un valore estremo e cui tributano un culto speciale. Lascio loro credere ciò che desiderano arrossendo come un indio che l’abbia scampata bella alla mensa di hernán cortés e pur vi può sedere e godere degli stessi tournedos rossini di cui profitterebbe anche un predicatore domenicano se già fossero comparsi nel menu dei conquistadores. Enfin, passo per agnostico e francòfono che agli occhi degli déi pare un tollerabile compromesso tra un ebreo che non abiti lassù sulle torri di passy e un intellettuale, quale mi accingo a essere, povero per definizione specie di torri, eccettuando quelle portatili e d’avorio. Sono un proust glabro e bambino, non lo so ancora ma ne ho già i difetti, d’altro non dico e ignoro inoltre che la cosa meno tollerabile al mondo è essere tollerati e che la mia virtù è concentrata nel bilocale di cui mi vergogno, in cui sono nato e vivo e dove vivrò, poi mentalmente e a mio bell’agio a lungo, per sempre direi. Tra gli dèi giovani taccio quando non sono interrogato e questo è un inconsapevole piano tattico, cerco di capire la quantità di cose che gli altri giovani olympiens et olympiennes hanno da dirsi, nomi propri o impropri di solito, diminutivi, vezzeggiativi solo a loro noti; parlano di continuo, appena si vedono e, oh maraviglia, non hanno nessun bisogno di avere un argomento, anzi appena lo sfiorano si comportano come bilie d’acqua fredda che cadano in una padella rovente. La persona lassù, in cima ai suoi cento e ottantasette centimetri è padre e méntore dei piccoli dèi, suoi e altrui, lo juppiter pecunia unus inter pares; monsieur sa il francese cioè l’indispensabile a mantenersi alla sua quota olimpica, oltre ai già citati tournedos conosce cache-col, baccarat, ballon e corbeille, il recinto dove per poche ore alla settimana e molti denari all’ora, grida la sostanza dei suoi pensieri, compro, vendo, diecimila, no. Questo immagino io dell’antica borsa valori in cui la guerra e gli attentati che in essa si pianificavano alla vita quotidiana dei più, trattati da meno, era combattuta all’antica artigiana con fionde e balestre e in completi di merinos, i più ricercati dalle gerarchie ecclesiastiche, laddove oggi il campo di battaglia è una sconfinata piantagione di terminali luccicanti preposti alla continuazione del conflitto fino agli ultimi giorni per l’umanità. Coucou.
Ebbene io sono l’ospite che ascolta, da sotto i miei bassi nomi e cognomi, la mattutina dissertazione del biondo signore riguardo la necessità che i norcini di norcia così esperti nella castrazione dei maiali, egli dice e sospende a mezz’aria un mezzo pane imburrato tra le belle falangi sinistre curate da un noto barbiere pour hommes di foggia, siano preposti al taglio dei testicoli ai terroni, unica cosa che sanno fare, egli aggiunge perché tra terroni si tagliano sempre i coglioni; a giove si agitano le dita della destra adesso nella simulazione del gesto chirurgico, ricordati soggiunge e al piccolo si rattrappiscono i piccoli testicoli nei pantaloni, più all’idea del dolore che al pensiero delle conseguenze. L’uomo non sa che norcia è nota peraltro per la sua scuola chirurgica, per benedetto, il santo che ora et labora, per sertorio, il generale romano che sconfisse pompeo a sagunto ma non solo, per la guerra partigiana e per antonio ferri, ingegnere aerospaziale; il biondo dio dei panini imburrati quindi non è esatto nel situare norcia nella terra dei terroni ma questa partizione territoriale è siglata con un tratto delicato del coltello sulla tovaglia bianca alla mensa del mattino con ricco caffè e latte e pane e burro, si è detto, e miele del nord, miele milanese prodotto da api care alla madonnina, che di sicuro hanno sutto e suggono il polline alle sue stelline lassù. La croce del sud non sorride, priva di cielo, nella mente di monsieur.
Terrone – Wikizionario
Sostantivo terrone, sillabazione ter | rò | ne, pronuncia IPA/ter’rone/, etimologia da terra, cfr. Treccani. Dallo spagnolo terrón, masa pequeña y suelta de tierra compacta, cfr. Real academia Española-Diccionario de la lengua española. La dominazione spagnola in Italia iniziò in Sicilia, Aragonesi nel XIII sec., per poi estendersi a tutto il Meridione, XV sec. La presenza spagnola in alcune zone del Settentrione si concentrò tra il 1500 e il 1700. Nel XVII secolo in italiano, proprietario terriero, o latifondista, cfr. fondo magliabechiano-firenze biblioteca nazionale CXXXIV-II-1277, dagli anni sessanta del XX secolo termine dispregiativo utilizzato in Italia settentrionale per designare un abitante dell’Italia meridionale
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Chapeau, monsieur!
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