L’impero e la vecchietta

L’impero e la vecchietta

Di qui si vede l’impero,
da lì, una vecchietta, con la sporta della spesa in mano. 
Quante vecchiette con le sporte
furono necessarie per costruire l’impero,
quante sporte restarono vuote,
quanti imperi crollarono nella polvere.
Onore ai costruttori degli imperi!
Onore ai loro distruttori!
Ma la vecchietta con la sporta
e i denti che le mancano in bocca
è comunque la speranza del futuro

Natan Zach, נתן זך, Berlin, 1930

Se cito Natan Zach è solo perché è un poeta; non ne so nulla a parte questo, e non voglio rovinarmi la biografia immaginaria che me ne sono fatto scoprendo che è un sostenitore accanito della politica democratico fascista di israele. Non si sa mai. So che ebbe delle noie quando affermò che era una follia mescolare il meglio della cultura ebraica europea che aveva costruito israele con i sefarditi iberici che paragonò a uomini delle caverne. È una constatazione e peraltro non propose, mi pare, di buttare a mare, tatuare o prendere le impronte digitali ai sefarditi, chiunque essi siano.

Non è nelle facoltà di uno scrittore andare oltre il ruolo di cassandra di tutte le epoche sbilenche in cui, malgré lui, si trova a vivere; nemmeno gli scrittori hanno il privilegio di scegliersi la data, il luogo e la temperie culturale in cui vivere. Vedi zach. Mi limito, perché non ho altri mezzi a osservare quest’avrupa frigida e fondo monetario orientata da lontano, da un esilio cautelativo per le mie già un po’ anziane coronarie. Mi limito a osservare che questo ben sostenuto governo italiano, il governo di tutti i governi, il taglia che ti passa, via ospedali e scuole, non chiese ed eserciti offensivi, perché questo è il ruolo del soldatino latino in afganistan; sul crocifisso e sul fucile giammai un risparmio. Del resto il nostro è un paese dove il singolo comune di milano, livida e sprofondata per sua stessa mano, ivano fossati,  statuisce 3 milioni di euro per elevare ben costruite transenne tra la città stessa e il rappresentante del dio degli eserciti in terra che, a motivo del suo ruolo belligerante, ha di che temere; non solo, ma che  se proprio dovesse trovarsi sulla strada della croce, vorrebbe d’oro lo strumento o lo farebbe disegnare da un noto architetto, meglio se di sinistra, tanto è lo stesso.

Ebbene, io posso indignarmi e nel segreto del mio inconscio vedere le armi brillare e far fuoco contro questa ben orchestrata orchestra autoconsensuale di consenso, in questo i giornalai giornalieri sono ineffabili nel difendere l’indifendibile e solo perché il precedente accozzo governativo lombrosiano era di sicuro molto più brutto a vedersi rispetto all’attuale concerto grosso di sobri consiglieri/ -gliere di amministrazione. Lo sogno e so che non è realizzabile per il semplice fatto che tutti noi abbiamo uno smart phone al posto della coscienza di classe e non solo, che non ci sono classi tranne una generica marmellata di subalterni cui tutti siamo stati inglobati.  In my opinion, le rivolte inglesi hanno ben dimostrato per ora la non attuabilità politica di una bella sollevazione con tanto di ghigliottine e rob et pierre a sganciarne il grilletto. La bellezza intrinseca della piazza disordinata di atene si è scontrata prima con le squadre catafratte delle polizie, tutte uguali, tutti feroci, tutte all cops are bastard, poi con il fatto che tutti i lanciatori di sassi a un certo punto si devono essere detti coralmente e oralmente, tutti a casa o il padrone di casa ci butta fuori di casa, mono, bi, trilocale con vista su spianata di cemento, se ci vede in una della milionate di fotografie svendute dai giornali alla curiosità dei delatori, la stampa libera ha trasformato tutti in delatori di sé medesimi e stop e, poi, compagni, ho perso il mio telefonino. L’unico posto che dimostra che si lotta per la vita e la tua morte è a gaza. È malsano ma conflittualmente corretto.

Non mi auguro di preciso l’evento perché non sarà indolore ma, come cassandra sulle torri di troia, me lo predico e mi metto in guardia dalla massa enorme e fantastica di diseredati africani; la libia ha avuto le sue elezioni grazie a tutte le f e le b  volanti del globo, l’europa, il più aggiornato modello di malleus maleficarum, si è fatta la sua immaginaria prova generale della conquista ed è convinta che dopo un buon bombardamento non c’è niente di meglio che indire elezioni, fanno figura e in fondo costano pochi miliardi di dollari, soldi ben spesi via, tanto poi si taglia una cattedra o un ambulatorio;  ma il  giorno in cui un buon comitato politico facesse capire loro, agli africani, agli arabi, che meglio di farsi prendere in europa sarebbe prendersela, l’europa, oh allora saremmo tutti morti; mi dispiacerebbe, ho solo questa vita da perdere e quella di poche persone che della mia vita mi sono quasi più care, ma capirei chi me la volesse togliere. Oh se lo capirei, quasi lo aiuterei. Spero che in quell’occasione si limiti a spararmi. Non capisco gli assassini disordinati e iracondi. Cou cou.

About dascola

P.E.G. D’Ascola ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: "Le rovine di Violetta", "Idillio d’amore tra pastori", riscrittura di "Beggar’s opera"di John Gay, "Auto sacramental" e "Il Circo delle fanciulle". Sue due raccolte di racconti, "Bambino Arturo e il suo vofabulario immaginario"" e "I 25 racconti della signorina Conti", i romanzi "Cecchelin e Cyrano" e "Assedio ed Esilio", tradotto questo anche in spagnolo da "Orizzonte atlantico". Nella rivista "Gli amanti dei libri" occupa da molti anni lo spazio quindicinale di racconti essenziali, "L’ElzeMìro".
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1 Response to L’impero e la vecchietta

  1. esalvi says:

    Primo requisito della buona intransigenza , che mi sembra l’autore stia manifestando sempre più chiaramente, è senza dubbio la saggezza politica, intesa come capacità di capire uomini, circostanze e tempi. È un sapere che non si basa su regole certe, ma sull’arte raffinata di interpretare parole, segni, gesti e sulla capacità di cogliere la “verità effettuale della cosa”, come scrive Machiavelli, che sta dietro ai veli della simulazione della dissimulazione e delle menzogne della politica. È la realtà delle motivazioni e delle passioni che spingono individui e popoli ad agire in un modo anziché un altro. Solo chi è in grado di intendere la geografia delle passioni può disegnare e mettere in atto strategie politiche vincenti.
    La saggezza che aiuta l’intransigenza viene da una conoscenza specifica che diffida di modelli generali. Tale qualità si acquista con l’esperienza e con la conoscenza della storia.
    Oltre che di saggezza, l’intransigenza ha bisogno di passioni. […] Da sola, la voce della coscienza morale difficilmente può vincere contro avversari agguerriti come le lusinghe, le promesse di onori e la pena e il senso di colpa che affliggono chi per il proprio ideale fa soffrire le persone più care; è necessario che accorra in suo aiuto una passione tenace quale lo sdegno, inteso come quel profondo senso di repulsione per l’ingiustizia, che è proprio degli animi grandi ; lo sdegno è, in senso stretto, l’ira dei buoni: l’ira per giusti motivi, l’ira nei confronti delle persone contro le quali è giusto provare ira.
    Lo sdegno è insomma l’ira guidata dalla ragione […]. Lo sdegno impone di operare anche quando le speranze di vincere sono esigue o nulle, quando bisogna agire nell’indifferenza dei più, e quando lottare espone a pericoli certi. Ciononostante, solo lo sdegno spinge a difendere la libertà nei tempi bui, quando i più piegano la schiena e si rassegnano all’oppressione. Bobbio l’ha definito “l’arma senza la quale non vi è lotta che duri ostinata, senza la quale, vittoriosi, ci si infiacchisce, e, vinti, si cede”. È la virtù dei precursori, degli anticipatori, di quelli che dimostrano che si può lottare e incoraggiano gli altri a seguire il loro esempio anche quando la prudenza, con buoni argomenti, consiglia di stare fermi, di tacere, di adeguarsi. La fatica di chi agisce per sdegno spesso non riesce ad incrinare il potere di chi opprime e a fermare l’oppressione. Essa ha tuttavia l’effetto di incoraggiare altri a seguire il medesimo cammino, a non arrendersi e a volte può dare anche la vittoria insperata. […]. Per i suoi presupposti – il principio morale e la grandezza dell’animo – lo sdegno è passione difficile. Lo insegnano soltanto, con l’esempio, i migliori ai migliori.
    Mi perdonerà Maurizio Viroli per aver letto e amato le sue considerazioni tanto da farle in piccola parte mie e ancora una volta un supporto allo sdegno dell’autore.
    Elisabetta Salvi

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