Mio padre nacque il 25 aprile del 1945, aveva 23 anni, 10 dei quali pagati cari al regime che, nel 1935 a 13 anni, lo fece espellere dalle scuole di ogni ordine e grado, come sovversivo, e vivere nel terrore per tre anni, 1942-1945, due bombe a mano in tasca per farsi saltare in aria in caso di cattura, due condanne a morte in contumacia, l’arte della fuga. Per qualche 25 aprile andai a mettermi sugli attenti, la retorica a volte è un prodotto interno lordo che rende al cuore meno duro il peso della memoria, fronte al piccolo colombario di cemento che custodiva la cenere, e quando potei ritirarla e disperderla qualche pezzetto di vertebra incombusta, che l’uomo era stato. Morì nel 1995, 4 aprile, prima che si avverasse il regime tuttora in corso e che chiunque fosse stato dotato di un po’ di veggenza e qualche grado di vergogna e di quel che se ciama avrebbe potuto immaginare tanto pessimo da non meritare recensione e magari uno sforzo per soffocarlo sul nascere. Del resto non c’è da stupirsi, la perfida albione ha tributato onori civili e militari, nonché le pompe religiose che le chiese non negano a nessuno, a una delle peggiori fasciste della storia contemporanea, la signora Thatcher. Peccato che non ci sia un inferno per contenerla, del resto lo privatizzerebbe, e questo metterebbe molti disagiati nella condizione di non poterselo permettere, dunque limbo, o mambo. Scrivo queste righe mentre delle sciocche campane suonano come suonavano in molti 25 aprili della mia infanzia. I parroci, per cancellare la memoria collettiva della Repubblica, utilizzavano il 25 aprile per le prime comunioni dei bambini di formazione cattolica, così amano dire tutti gli uomini di sinistra. Ci sono riusciti. Questa è la de-formazione cattolica che lo Stato identifica con le innocenti, finché son piccole, superstizioni personali di ognuno. A noi bambini cattivi, due o tre nella mia classe, ogni 24 aprile piaceva ascoltare, sulla lotta di liberazione, la nostra professoressa di italiano, Morelli, una che parlava davvero italiano, con tutte le é e le è e le ò e le ó al pósto corretto e che era stata staffetta partigiana a 14 anni. A noi bambini cattivi piaceva, il picciol petto gravido di commozione, recitare ad alta voce, l’onusto di senso politico, ma deplorevole esempio di lirica italiana che segue. Se qualcuno non l’ha tolta, per sostituirla con qualche gloria a qualche fascista come don giussani e/o padre escrivà, la lapide con il testo si trova dal 1952 nel palazzo comunale di Cuneo-Piemonte.
Dedico quest’ode a tutti i colpevoli dell’attuale stato delle cose, che s’impicchino, magari con qualche reggicalze, e non perdano tempo.
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio del torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA
Pietro Calamandrei, chiseloricordapiù
Caro Pasquale,
leggo sempre, raramente commento. Devo dire che l’immagine della Thatcher che privatizza l’inferno è irresistibile, e mi sembra perfetta per illustrare il folle cortocircuito in cui si è chiuso il nostro mondo.
A presto,
Massimo B.
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Cortocircuito sì, folle un po’ mascalzone tanto. Peraltro si osserva bene il fenomeno nel nostro specchio scuro. Grazie mille.
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