Vlad Dracul

Ritorno a casa oggi dal supermercato e mi accorgo di fare un’asserzione da tempo di guerra, tempo di cui ho vissuto un po’ il dopo un po’. L’enunciato è, Oggi le patate sono andate al doppio, ne ho prese solo poche. Taccio della vecchina china e perplessa su un pacchetto a 3,35 al chilo di tre anonimi würstchen di suino. C’è sempre chi se la passa peggio di te sulla pubblica piazza, avrà ben pensato la tricoteuse al rotolare della testa di maria antonietta, come un cavolo, nel cestino per la spesa del boia. Oggi le patate sono andate al doppio ne ho prese poche, non ricordo di avere mai detto né di avere mai pensato di poterlo, più che altro doverlo, mai dire. Il fatto mi rimanda a tempi  al mio ricordo non estranei, a mio padre che, spalancata la bocca di un enorme pacco dono, in una certa vigilia di natale, lontana lontana, annuncia, Bene questo natale si mangia. Non me ne rammarico anzi, subito dopo avere detto, Le patate sono andate la doppio ne ho prese poche, mi è sembrato non di essere nel mirino della depressione ma di una pacata euforia. Sono tornato agli spaghi, ai fogli di carta da pacchi, alla carta oleata ancora buona, ai sacchetti per il pane, tutto salvato e ripiegato, della mia infanzia, al sapone sgrondato per non sciuparlo, alle scarpe con il giornale infilato dentro; ai, Non ce lo possiamo permettere, di mia madre, alle cene, incredibile dictu, con il caffellatte. Da quello arrivo, a quello vado, forse, ma non mi importa. Me ne rallegro.  So come si fa.

Mi viene in mente un ometto, fa draghi di cognome, di nome mario, forse anche maria e giuseppe; non lo so ma mi pare che gli starebbe bene una trinità, senta il lettore se suona, mario giuseppe maria draghi, suona sì, vero. Egli ha fatto un corso di inglese tempo fa e molti di buone maniere, sa come infilare un fazzoletto nel taschino della giacca che, grazie alla padronanza dell’inglese è del tipo che fa valicare tutte le barriere tra i più e i pochissimi. Sempre grazie all’inglese, al fatto che ha superato tutti gli esami di aritmetica da piccolo, e che qualcuno al posto suo dovrà pure lavorare fino a settant’anni egli, che ne ha 65, percepisce una pensione di 15.000 € al mese. Inoltre ha uno stipendio, non so se detratto e tassato l’importo della pensione, mi dicono di oltre 50.000 euro al mese e  benefici per le piccole spese che si aggirano, sempre mi dicono, intorno ai 20.000 € al mese; in tutto 85.000 euro, al mese; all’anno la somma, enunciata sulla pubblica piazza, e sempre che la cifra passeggi per i giardini pubblici, si legge così: un milione e ventimila euro. Il tutto per fare i conti in banca. Ora sarà chiaro a tutti che l’inglese e l’aritmetica portano lontano. Egli, il dracul, sale su un aereo dell’alitaglia, con un biglietto di economica, Uno sbaglio, egli dice in inglese alla hostess, sa prenotazione last minute; ma alla sua signora, non garba. Si richiede alla hostess che non sa che fare, e poi al capo cabina che chiama il capitano, di convertire i posti da ecconomy a bisinissi. Interrogato, voltò le spalle il capitano e disse, Io piloto, l’ aeroplano.

Vlad III di valacchia, valacchia valacchia dov’era la valacchia, detto dracul, il diavolo in rumeno, e insieme È›epeÈ™ o, in turco kaziglu bey: in entrambi i casi, l’impalatore. Vissuto tra il 1431 e il 1476, grazie al fatto che non si sa dove sia stato sepolto, a parte dalla storia che, come si sa è la migliore beccamorti, è rimasto alla storia, ah l’inganno felice, per grazia di bram stoker, l’inglese che tradusse per orecchie gentili la leggenda dei vampiri. Di vlad dracul è noto che del sangue era goloso davvero, non lo succhiava ma lo faceva buttare alle sue numerose vittime grazie alla pratica, popolare un tempo e oggi sostituita da metodi meno invasivi, detta dell’impalamento. Si rimanda il lettore appassionato a fonti sanguinose più esaurienti. Ed è tutto.

About dascola

P.E.G. D’Ascola ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: "Le rovine di Violetta", "Idillio d’amore tra pastori", riscrittura di "Beggar’s opera"di John Gay, "Auto sacramental" e "Il Circo delle fanciulle". Sue due raccolte di racconti, "Bambino Arturo e il suo vofabulario immaginario"" e "I 25 racconti della signorina Conti", i romanzi "Cecchelin e Cyrano" e "Assedio ed Esilio", tradotto questo anche in spagnolo da "Orizzonte atlantico". Nella rivista "Gli amanti dei libri" occupa da molti anni lo spazio quindicinale di racconti essenziali, "L’ElzeMìro".
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8 Responses to Vlad Dracul

  1. antonio says:

    Ciao! Vorrei solo dire un grazie enorme per le informazioni che avete condiviso in questo blog! Di sicurò diverrò un vostro fa accanito!

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  2. a.z. says:

    dimenticavo: buon ultimo … …. ….

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  3. a.z. says:

    Non c’è solo il citato draghi, ma ci sono tante altre persone nella sua di lui situazione: penso anche a quei nuovi parlamentari che in piazza annunciavano ai quattro venti di non volere “pesare” eccessivamente sul bilancio statale, ma una volta raggiunta l’agognata poltrona … bèh è tutta un’altra musica!
    Coraggio, consolati pensando che se hai gettato il lume Ikea, teoricamente, ne dovresti comprare un altro (con quali soldi? boh chiedilo al signore sopra citato) e faresti guadagnare sia il sig Ikea (che forse non ne ha bisogno) sia lo stato (Tasse, tasse, accise, ecc.) sia forse il povero operaio che ha forgiato il lampadario!

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  4. Massimo B. says:

    Ciao Pasquale,
    il sapone lo sgrondo sempre anche io.
    M.

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    • dascola says:

      Bene, siamo in due a essere pronti al peggio. Chissà non ho reso bene il pensiero, riferito a un mondo e a un modo di vivere, anche le ristrettezze anche il benessere, contrario all’attuale, basato sul gettare via, di là dal risparmio o dallo scialo, sul disprezzo per le cose, come se non ci permeassero, come se non fossero il nostro piccolo mondo e parte del mondo; non parlo di possesso, ma di relazione.Devo gettare un lume ikea perchè non ci sono ricambi e un enorme quantità di alluminio verrà fusa perchè non si prevede, a bell’arte, l’avaria del portalampade di cui l’industria, non produce il gemello; questa per me è patologìa e truffa; di là dalla constatazione di ordine economico, a me dispiace; scelsi quel lume e lui mi ha scelto, mi ha illuminato più di una lettura, mi ha fatto compagnia, mi ha illuminato; certo avrei potuto tenerne lo scheletro, ma non sono necrofilo; però soffro. La mia è una critica molto radicale al consumare che non per caso, riguarda le persone:il discorso pervade i luoghi di lavoro e le relazioni prossime. Potrei dilungarmi ma non è la sede e non ho un apparato mentale adatto alla dissertazione. Non sono né saggio nè saggista; in senso proprio greco sono un esteta e devo limitare il mio discorso alla modalità o all’indole, se vuoi, che mi è propria, che è narrativa. In ogni modo ogni commento per me è un boccata d’aria.

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  5. marinabo43 says:

    Il fatto è che io so l’inglese e non andavo tanto male neppure in matematica, ma sono nata piuttosto povera e non ho migliorato un granché nel corso della vita. Però l’aritmetica mi aiuta a calcolare che, lasciando a questo signore un lautissimo stipendio (diciamo per generosità 5.000 Euro al mese, non voglio ridurlo in miseria…) e pagandogli ragionevolmente pure i viaggi e le spese inerenti al suo lavoro, si potrebbero comodamente risolvere i problemi di una settantina di esodati, disoccupati o cassintegrati. Sono populista, lo so… e non me ne vergogno neppure un pochetto.

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    • dascola says:

      È ciò che penso anch’io in merito; vederne il capino in un cesto, suo e di molti o pochi altri non mi darebbe nessuna soddisfazione e, economicamente, sarebbe un ripiego più che una soluzione. Noi sappiamo pure che le strade delle rivoluzioni sono lastricate di lodevoli intenzioni e solide idee. Però un po’ di rivolta e di ribaltamento delle cose è transitoriamente indispensabile. Manca l’onestà. Quando qualcuno mi racconta che tali o altri personaggi, sono onesti, mi schianto dalle risa.Lo fossero per primi non accetterebbero. Poi sopravviene la rabbia. Aggiungo una postilla. Quando da giovane borsista lavoravo alla Scala, secoli fa ormai, correvano gli anni dei compensi da mille e una notte agli artisti, sai, si parlava allora di milioni di lire per una recita e di tenori che, per conseguenza, vivevano da sultani, di scenografi con triple regge, una a parigi, una a roma, una a istambul, di direttori d’orchestra a tassametro, di allestimenti destinati al macero ma costati quanto il bilancio di alcune famiglie per alcuni anni. Uno scandalo, sorretto dall’accettazione che fosse giusto così.Ricordo che uno dei padri del cinema, che fu per anni il mio ideale etico, C.T.Dreyer visse e morì a Copenhagen in un alloggio, di sicuro molto confortevole, ma di edilizia popolare alla periferia della città. Non c’è conclusione, dunque non concludo.

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