Caporetto 1917. sonada quasi ona fantasia.
Delio Tessa
Caporetto 2015
L’è el dì di Mort, alégher. A settanta anni dalla fine della guerra, dal primo di numerosi venticinquaprili mi viene da contare, a me che sono discalculico non specializzato, di contare sulle punte delle dita di cui dispongo, le magnifiche sorti e progressive… shh ecco il din don campanón della festa, richiamo alle svariate messe in su quel ramo del lago di como, santificcccazione dei santi, i loro, niente liberazione dallo stato pontificio ancora, anzi habemus pappam. Il mio calendarietto a sfagli mobili formato 6×9 insiste invece a voler spiegare che si tratta in maiuscolo di Festa della Liberazione. Già, a buoni conti abbiamo una repubblica e una democrazia apparecchiata sul modello di tavola dominante egèmone, formato G8, demofascista, così diversa, così sushi-fusion, dalla cina passando per la russia omofoba alla turchia, a israello il più bello tra i reami bombardieri, su su fino agli stati uniti, se ti accontenti e non blablateri, godi e noi ti garantiamo dicono le leggi ad hoc signo vices, non la sicurezza dal kalìkalàkalashnikòv quella no, ma dai manganelli dalla pulizia monacipale su su fino ai 400 erano giovani e forti della diaz. Tutte itifalliche le forze dell’ordine mondiale, hanno l’erezione in pectore. È il fascismo di oggi, militari impennacchiati con lanciagranate ad armacollo all’ingresso del dommmdemilan, città medaglia d’oro alla resistenza ma non al malaffare; la civiltà ha chiuso gli occhi davanti alla città. Expó il popò, vaselina a gogó. E dai, taci e acconsenti, senti senti che bei sentimenti in un presidente della repubblica, così bisbiglioso da confondersi con un confessionale o forse con una frusciante pagina di giornale repubblic’ano e che dice, egli, essere il malaffare una questione di resistenza, come dire, Dateci a noi dei bassifondi la caccia al bruto che adesca i bambini, die Stadt sucht ein Mörder, la città cerca l’assassino. Ma ci sono voluti 70 anni per sentirci dire che c’è differenza tra chi è morto o anche meno, si è rovinato la vita per far l’italia o si muore, e chi invece l’ha disfatta l’itaglia e glitaliani, reato che è stato prescritto non solo ai repubblichini, più proni che chini, ma di recente alla più grande banda del mondo, la banda en bonnet de bonne nuit pour coucher avec ensuite; girate girate per segrate, roggia e canale n°5, per credere. Stupratori d’anime, una specialità che a ben guardare è lo specifico dello stupro. Ah e abbiamo persino un governo allineato anch’esso alla dima di un sedicente sedicenne con una vasta preparazione in scolastica pubblicitaria, nascosto lui all’ombra del cespuglio di un boschetto con ambizioni forestali, della cui cavità vaginale ei si fa portavoce, Che grandi labbra hai nonna; metterò un cappuccetto rosso. Il 27 gennaio tutti loro signori a rammemorare i morti altrui, morti senza alzare un dito né per difendersi, né prima né dopo, mai un no anzi una gran consenzienzia; so di che parlo, avevo un parente a trieste, tutti internazionali laggiù noi di mare e di terran del carso, che sostituì il fez alla kippàparapà parapà e non si perse un sabato fascista finché, deo non obstante, passò per il cammin di san sabba e andò in fumo. Così oggi tutti allineati a difendere il dritto e il traverso del più forte. Per chi invece di dita ne ha alzate, con tutte le mani per negar arrosto ai regimi, a quelli no no, retorica garibalda a parte, gnanca un plissè scriverebbe Tessa, poeta milanese, per ironia della sorte, L’è el dì di Mort, alégher. Caporetto 1917. Delio Tessa