Contravvengo, ma alla breve, alla promessa che feci a me stesso di non parlare o quasi dell’inspressività geografica del paese in cui vivo nonostante me ne indigni. Capita agli anziani irredimibili. Oggi mobilitazione per i diritti. In attesa di contromanifestazione controriformista.
Nel merito dei diritti non entro perché o un diritto è tale o non è diritto. Dunque non si discute come quello dei negri negli Stati, in illo tempore, o quello dei palestinesi. Negandolo o volendo normarne non le ricadute pratiche ma i contenuti, si nega la sostanza di un diritto e si fa del fascismo; che oggi, con l’elettricità e i doppi peti e i cachmere e le prefiche del capitalismo, s’è mutato in faxismo. Esso, da quantum, assume il carattere di una norma da discutere, stravolgere sub specie iuris civilis, abbassandolo sullo stesso piano di una circostanza, di un permesso di circolazione per euro da 1 a 10, di quelle tabelle senza fine che la burocrazia apposta con lo scotch per ogni dove, con lo scopo di confondere la visione al buon senso, che pure esiste. Questione di logica. Non oltre entro nel merito ho detto, anche perché della materia mi interesso poco; sono vecchio, odio quel termine da baldracche carabbibbitane che è gay, e sono oltre il tempo massimo anche per essere un omosessuale militante; né ho beni da trasmettere a nessuno, se si trascura il mio, approssimativo per me, valore umano. Il diritto però è diritto. Il diritto di visitare un malato, per amore non dovere, di trasmettere un’eredità, di affetti soprattutto ed agli affetti educare; di partecipare a un funerale per compassione, di costruire le proprie parentele non per sanguinamenti ma per affinità elettiva. Sono diritti e non c’è dio che li abbia stabiliti. Sono il dio diritto. Il diritto che gli arcobaleni e le arcobalene reclamano scenda in terra a miracol mostrare; il cui avatàr è quello dunque di esistere come persone e di dare a sé e ai propri nati il valore che hanno in quanto nati, per quale pertuso di chi o di che cosa, e per piacere di chi altro siano nati, sia chiaro o non chiaro; alla riproduzione di noi medesimi siamo programmati, sia o non sia congiunta da istanze narcisistiche. Di preciso come gli orfani di calcutta per cui tanto si sciolgono in trecce le marie maddalene e le vedove di gesù, tutti i delfini senza passaporti, anche fossero tanti piccoli hitler, fino a prova contraria hanno invece diritto all’accoglienza di quella grande convivenza, libera e condivisa che dovrebbe essere uno stato. E che non è, qui. È una mezzazaluna al gorgonzola che puzza di calzini.
Ora questa mezza caciotta statale, sta rivelando tutta la forza del suo essere faxista per tramite del peggio della sua rappresentanza bipedale, capibastone rivoltanti in testa, rispetto ai quali goebbels risulterebbe un piacevole ospite per un tè. Un faxismo incorporato, virale e virulento e per altro poco virile; gira a gambe larghe per far supporre grandeurs inusitate ma con sotto sotto la tonaca il nulla, un penìno piccino piccino invidioso ma della vagina; eiaculatore precoce, buono per l’attività che predilige ossia lo stupro del diritto. Il diritto non piace. Non piace per niente ai paesani faxisti. La loro levata di scudi denuncia ciò che sono i tutori della famiglia, faxisti. E faxista si svela, tanto per cambiare, l’anima della chiesa barocca; per bocca del suo uomo in bianco, rivendica paternità e maternità, oh come è paterna, della colonia faxista su cui tanto tempo ha governato con il suo coltello di toledo in pugno di velluto, colonia che ritorna a manifestarsi per quello che è sempre stata. Non diversa nella sostanza da un khomeinato. Anche gli ayatollah scìano a san moritz. Alla caciotta manca solo la polizia adeguata e i suoi conniventi filistei. Si capisce, si capisca che dare lezioni di diritto civile a quelli che vengono definiti popoli medievali lo può fare qualche svedese, qualche nomade làppone, qualche simpatico scozzese; per il resto ci vuole dignità, determinazione e molto coraggio: quello dei turchi, degli egiziani e oggi dei tunisini che scendono in piazza per il lavoro, è solo un esempio, e fanno sul serio. Punto. Mi perdóno per gli errori e le omissioni ma non per il dolore che provo ad uscire di casa. Ostentare le croci è ostentare il patibolo. Altro che.
Grazie Sdas per il rètore geniale che mi onora. Quanto al’ultima parte credo tu alluda all’ultima parte della intervista. Non so ma intuisco. In ogni modo la mia indignazione, addolorata, guarda con compassione a volte a una massa di persone cui il pretume, si assiste ai suoi rigurgiti, desidera di preciso togliere i diritti umani. Civili a parte. Non è di preciso un buon sentimento odiare ma è il meglio che si possa provare per costoro. Fossimo di qua da una barricata saprei che fare. Per fortuna la mia tastiera è spietata come un kala non è: infatti esso è solo un ordigno. La mia tastiera sono io. Stare attenti. Abrracci e auguri. P.
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L’ultima parte mi tocca da vicino…
E vedo i monti sorgenti solo nelle assolate e limpide mattinate rare…
Un caro saluto, retore geniale.
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