Non voglio che si sudi al mio funerale. Morirò in inverno, è deciso. Ad Albosaggia c’è una bella ciminiera di acciaio che spunta tra un cimitero cattolico romano, così simile a un condominio a riscatto, e i bei boschi pagani, che salgono salgono oltre i limiti dei comuni, intesi come abitati, mortali. Niente sole dunque a tormentare i piedini dei bambini e nemmeno un giochino per tenerli fermi, asfalto mollastro, sandaletti nuovissimi e irrequieti nel sentirsi sottratti ai godimenti estivi, varici penitenti dentro calze contenitive. Sarà benedetta la neve ma non la pioggia ché qualche smorfioso c’è sempre, forzato al funerale, a lamentarsi, a salutare, Sai oggi siamo qui cosa vuoi dire. Gli pioverebbe nelle scarpe al tipo, che si ostina a non comprarle impermeabili e a sperare in una sua perenne California. Di me, in particolato, la parte più grossolana, intrappolata nei filtri fino alla prossima manutenzione programmata del camino. Il resto via via sciolta candela in fumo verso il cielo dove non c’è più niente da vedere, oh Alighiero, nemmeno una stellina, tutte esplose a milioni, or sono eoni. Dopo la fiammata, secondo l’ora che si avvicina o s’allontana, tutti a pranzo all’osteria cima undici, o a cena giù tra l’Adda e il Bernina.
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Allora, in ghiaietta finì mio padre, perchè dovetti aspettare dieci anni, nel ’94 non si poteva, per spargerlo ai quattro venti – alla lettera, tirava una bufera di metà marzo quando ottemperai alla sua richiesta. Adesso resti un chiletto di polvere, ma fina fina; una bellezza se appena appena c’è un rèfolo di vento. TI ringrazio per la confessione che mi ha fatto schiantare dalle risa. Capisco; nessuno vuole morire dopo i propri cari. Facciamo così, avvisiamoci quando non ci sentiamo troppo bene. Quanto alla lettura, suggerisco Pinocchio. Alla Carmelo, va Bene. Ridacchio ancora. Abbracci. Attento alle correnti d’aria.
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in effetti morire d’inverno è sicuramente più bello che d’estate; buona idea la cremazione, un modo astuto per non essere un morto dopo morto, cioè diventare rapidamente una ghiaietta grigia che, contrariamente ad un cadavere, nella sua scatola puo’ anche giovare d’un simpatico scra scra di maracas; però mi manchi già da vivo, figuriamoci da morto, non morire prima di me, ti voglio al mio di funerale a leggere un incredibile epitaffio con la voce macabrissima di Carmelo Bene; a presto
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Oh bè,il funerale garantisce lavoro certo più del matrimonio.
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Mi hai dato una grande idea, maestro caro.
Fino a questo momento mi ero limitata alla scelta delle musiche…
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però scrivi davvero bene!
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Caro amico, mi rallegrano il tuo affetto e la tua presenza, benché non ancora al mio funerale; sono sicuro che sarò il primo tra gli scrittori di insuccesso. Quanto alla giornataccia, no, sono sempre stato così. Feci scandalo a 15 anni quando una sera a cena dissi ai miei che in fondo la vita consisteva nello stare in trincea ad aspettare il fischio del sergente e poi tutti fuori e avanti tuti eroi e tuti acopati. Mio padre, animo sensibile fino allo spasimo si appartò nel suo cubiculum del nostro bilocale; mia madre rimproverandomi di fare di tutto per addolorarla, si ingozzò di pasta avanzata,come faceva sempre per soffocare le lacrime, tutte sue, della sua depressione. Bambino cattivo il d’iscola pensava solo di avere fatto un’osservazione pertinente il genere bipede terrestre. Rido perchè sono coraggioso e me lo riconosco. E un bosco, una fonte, un ghiacciaio mi sembrano meraviglie, lo sai. Ma anche in questo ho mancato. La gente ama chi si trincera dentro un pessimismo di maniera e un egotismo di professione. Così che la ben costruita ombra dei loro sguardi li faccia sembrare profondi. Ancora una volta come una trincea. Ti ringrazio, non sai quanto. Tanto che è una bella giornata. Un abbraccio
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perbacco, Pasquale, giornataccia?
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