Temporale; non fosse che dura e dura e dura e sfida così la temporalità. Ha piovuto per tutto un giorno e il giorno prima e nella notte precedente e nella notte dopo, persiste adesso. Intride il paesaggio che tale non è se non nello sguardo di chi ne apprenda la configurazione e le variabili indipendenti e, come è evidente all’esperienza attuale, dense di fumi, di nubi, di ombre pallide. In assenza di qualcuno che lo contempli, o che lo incorpori a propria difesa, il paesaggio c’è e non lo sa. Una foresta.
Non un traliccio dell’alta o della bassa tensione; non una torre a guardia di antichità remote anzi per la verità, una sola, solitaria, diroccata di sicuro, alta, in cima a una guglia di roccia, per certo inaccessibile al passo che non sia ardito come sono ardite le capre, faticosa all’occhio che di essa soltanto la sommità distingue, confusa tra le piante che coprono golose, e per intero e così bene la guglia stessa che dire, C’è roccia là sotto, è un’invenzione più che la certezza o l’ipotesi di una fantasia conquistata dall’esperienza deduttiva.
Radure sparse, che illuminano qua e là di un verde molto più chiaro, brillante si direbbe, la scala dei toni gravi che denotano la densità della foresta. Il cielo è intonato alla sua terra. I serpenti, ci sono per quanto sia difficile rilevarne la traccia, di sicuro pregano il sole che torni a scaldare il loro sangue; se non sono affogati per imprevidenza nella tana, il topo, la lepre, il tasso, forse il gatto selvaggio, attendono rabbrividendo pazienti la remissione del diluvio. Il fango si sa che si rapprende, si ritira, che a volte rivela del cibo gradito ai più piccoli e che, per i più piccoli, può persino costituire la pania, utile però ai più grandi, acciò che dei primi possano fare il proprio estemporaneo pasto. Fruscii dal folto indicano che capre o caprioli o forse cervi ruminano, una foglia, uno stelo dopo l’altro, l’indubbia freschezza del verde. Sono bagnati fradici.
A sera l’allontanarsi delle nubi scoprirà un cielo al tramonto, già scolorito o quasi, notturno ad est. Il paesaggio ha, se ce l’ha, una bellezza interna, particolare, ma quanto sia difficile a dirsi per altri, abituati come sono a percepire e giudicare il mondo per rapporto, anzi in quanto contiguità di adami, gentili o carogne, belli o brutti, così fan tutti. Ufficio affari umani. Gli umani comprendono davvero e male solo se stessi per vittime o compagni. Ragione e sentimento per cui l’assolutezza, il non avere bisogno se non della propria necessità che è dei frassini, delle quercie e persino dei funghi, lo stare in relazione sì ma senza cercarla, da sù dai castagni fin giù fino alle più umili, nel senso di prossime allo humus e all’imo tra le piante, agli umani non suona né per sì né per no. È loro del pari oscura, la solitudine solida tanto dell’elleboro quanto del cucù, dei tanti che vivono d’acqua, insetti, vermi, luce e che altro non desiderano; ovvero che il poco presente posseduto non comprano né comparano a niente che per loro sia irraggiungibile o non pertinente. Gli animali vivono, eppure sanno della morte o non scapperebbero agli occhi dell’umano. L’uomo è la larvata falce. L’uomo è la morte. Una morte estranea al mondo.
Un capriolo o un dio o entrambi sono fermi in osservazione tra i rami sgrondanti. E con gran pena, dei loro occhi si potrebbe intravedere il lume tondo.
Bella amico mio.
Inviato da iPhone+393358248304
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Grazie Don Salvatore, tre parole sfuggite di getto all’iphone. Vuol dire che proprio hanno colto la luce, caro il mio pittore, dei tuoi occhi. Un carissimo saluto da P.
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Caro Pasquale leggerti è sempre un piacere. Soprattutto apprezzo il susseguirsi di sorprese e di sensazioni.
Ciao a presto Alberto Giordano
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Caro Alberto, inaspettato del tutto apprezzo io il tuo commento che puntualizza il sentire di un’anima attenta. Ti ringrazio assai assai. P:
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Pertanto carpe diem…
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Grazie amica cara, grazie per il tuo giudizio. Grazie per l’improvviso apparire tra le mie righe, a conforto. P.
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Meraviglioso.
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“Gli animali vivono, eppure sanno della morte o non scapperebbero agli occhi dell’umano. L’uomo è la larvata falce. L’uomo è la morte. Una morte estranea al mondo”.
Una definizione dell’umano folgorante e vera. Morte estranea al mondo, morte assoluta.
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Grazie Alberto caro,
ieri sera ho visto un filmetto della BBC dedicato a Vera Brittain la loro scrittrice pacifista; non sono, non siamo nuovi all’illustrazione della guerra che il cinema ha fatto e con probabilità saprà fare, perchè di guerra è intrisa la carne umana e la carne umana intride la terra e dunque è il soggetto migliore per il cinema; chissà perchè questo filmetto acquarellato, per niente o poco esplicito e desideroso di ostentare la brutalità o di turbare con la sua turpitudine, c’è riuscito tanto da comunicarmi in primis il desiderio di assistere alla proiezione fino al fondo quasi fosse un atto dovuto e poi una tristezza parca e rassegnata ai fatti. Una piccola scena mostra con molto affetto Vera china su un agonizzante tedesco che non sa chi lei sia, un’infermiera inglese, e che le farfuglia parole disperate e muore stretto a lei.Tuo P.
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