C’è qualcosa di sinistro nei piedi smaltati di fresco, nei sandali nuovi in tinta con la sottana, negli abiti ton sur ton con il fantasticare estivo che vedo ciondolare, travestiti che ballano*, nel peggiore dei distretti della migliore Malanno, la squadrista di sempre con una recente vocazione al verticale, detto sky-line. Niente di buono all’orizzonte vedo delinearsi nell’oscurità del dopo concerto. La musica che ho ascoltato non potevo immaginare quanto distacco avesse, e pertanto quanto presaga fosse… la musica se è tale è sempre presaga di un certo qual che essa non può mettere in parola ma che può palesare altrimenti, l’ho scritto… quanto fosse Cassandra di un domani che riproduce il niente. Domani le belle spalle e le brutte, già esposte con dovizia di particolari a calori di ogni tipo tranne che del tipo metereologico, tutte saranno ritte ai loro posti in agenzia. Malanno è una concentrazione di agenzie. C’è un’agenzia per tutto. E sandali, sandali a profusione.
La musica è di Gabriele Manca, il brano ha un titolo, Dispositivo per la continuità. In un concerto dei consueti zang tumb tumb après le déluge, di esso mi colpisce il carattere e la forza con cui mi colpisce. Ho un posto, in fondo alla sala, tra gli orecchianti fini. Sotto i suoni lunghissimi dell’inizio, stirati quanto non è immaginabile che i suoni possano nel pensiero musicale, sento macinare le pietre per una lapidazione di periferia. E ululano gli strumenti; vedo autostrade argentine che non ho mai visto; lampi blu della polizia, sento odore di kerosene, o forse è gasolio, tracciati di fiamme. Niente di buono all’orizzonte, minacce. Dopo essere stati straziati al limite e oltre il limite delle loro corde vocali, obbligati a cantare da un torturatore assai abile, gli strumenti, il corno di bassetto per primo, non so se dirlo lui o esso, vertice della cellula di una invisibile resistenza a sfaccìmmo ed a sfaccìmma**, allo σφάκελος***, esso di se stesso si fa percussione e trascina tutti gli altri a scivolare in un tango, a me pare tango; un tango di prigionieri sciancati in un hangar, stretti stretti a scarligare sulla loro stessa orina, innanzi al turpe inquisitore. Non ho idea se abbia o no parentela con quello di Dostoevskij. C’è qualcosa di perturbante, tanto che ad ascoltare il resto del concerto resto per educazione. Non esco contento, come dopo una seduta con una maga malevola. La musica anticipa ciò che fuori è in agguato a guatare vestiti che non riconosce simili. I fuori magneno e beveno, va’che müsica. Fuori c’è l’anticipo di ciò che per vocazione peggiorerà. Non so quanti in sala se ne saranno accorti. Io, per parte mia, non vedo l’ora di tornare al mio lago risorgente dall’acque. È tardi. Esso brilla ancora sotto i fanali notturni. Nel sonno la musica risuona.
sei tu, le valvole termoioniche sature ed elegantissime nella tua testa del tutto originale, che sanno trasmutare i suoni in parole scritte, ma penso che in buona parte sei tu la vera musica; sei eccezionale, pericolosamente eccezionale mitico Pasquale
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Ascolta Diego, pericolosamente eccezionale non me lo ha detto mai nessuno e mi fa congratulare con me stesso. Per un pacifico lacustre, essere ricosciuto come pericoloso è una grande soddisfazione. Mi fa pensare al killer di “Tre giorni del condor”. Ti ringrazio assa’assa’. Non sai quanto. Sono proprio contento Diego del riconoscimento. Saluti termoionici. Parapà.
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Fai entrare dentro questi suoni anche chi non c’era. Queste note lei fai quasi ascoltare.
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Alberto Magno, mi avvicini sempre di più al nostro comune mito, AMANZONI. Che posso dire, non saprei. Cercherò con ogni mezzo di tenermi a quell’altezza, senza cascare. Con ogni sentimento P.
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Come in una magia ero seduta accanto a te in sala. Poi due passi per Malanno. Alla fine ti ho accompagnato sul lago.
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Non so se è il gatto Pasqualino che ha scritto o no. Ringrazio tuttavia tuttavai, con un certo turbamento, la mia fiducia negli animali a 4 zampe non prevedeva la capacità dattilografica. Ma mi ricredo con sentimento. Baci sulle vibrisse. P.
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Mi spiace!
Inviato da iPhone
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Jacques Attali, in “Bruits” (PUF, 1978) sostiene che, se il rumore è violenza, la musica è sempre profezia, e addirittura che l’organizzazione del suono (al di là dell’eventuale volontà del potere costituito di imbrigliare, attraverso la musica, la violenza potenzialmente rivoluzionaria del rumore) è predittiva dell’organizzazione sociale. Se, per divertimento dialettico, vogliamo dargli retta, allora dalla perdita del centro tonale e di conseguenza dalla forma che da essa nei secoli si è venuta sviluppando, possiamo ipotizzare che ci troviamo di fronte al problema di una possibile perdita del Sé, in grado di determinarsi nel mondo e di determinarne – ovviamente in misura proporzionata- la forma, a favore di un indeterminato Sé in balia di reti di false relazioni che sono la non forma del suo consistere. D’altronde il senso di smarrimento di Pasquale all’ascolto del brano di Gabriele Manca – in ciò, quanto agli effetti sull’ascoltatore, simile ad altri brani – che lo spinge a tornare a “ravvisare i luoghi ameni” dice molto dell’efficacia del discorso musicale contemporaneo relativamente alla propria rappresentazione del mondo. Il quale, quindi, appare come per niente gradevole.
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Non saprei che cosa aggiungere se non, Leo, che sono contento di essere riuscito a provocare tanto commento. Grazie a te caro Leo per esserti speso in questa piccola ma non meno tempestosa lezione. Ti abbraccio P.
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Una meraviglia..Un giorno spero di avere anch’io una tua critica alle mie musiche…Anche negativa.
Un caro saluto, maestro!
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Eh, critico non sono proprio, ma illustratore in questo caso, casuale. Né per questo veritiero. Ma ho visto, credo lungo. Questo sì. Grazie davvero Mariangela
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