Many thanks to those readers from abroad, for their generous presence among my blog’s followers; a choice that I highly appreciate. Since its first issue, this blog had not even imagined the chance to be read by someone. Not by Italian speaking people nor, moreover, by English or Spanish ones. Both Facts and Fates seem to be contradicting that foresight. To them my gentle gratitude.
Mi trovo a leggere un passo del libello Che ogni italiano debba scrivere in lingua purgata italiana, di Antonio Vallisneri ( 1661-1771) medico o, seguendo un dizione antica, filosofo naturale, docente all’Università di Padova e membro della Royal Society, oltre che letterato e difensore della lingua italiana come lingua del conoscere*:
Nelle Spagne, nell’Olanda, nell’Inghilterra e nella Germania e segnatamente nell’imperiale cità di Vienna, vi sono intendentissimi della nostra lingua, e colà molti parlano e scrivono quasi meglio di moltissimi di noi, e nella Francia stessa, (…) molti in italiano pulitamente hanno scritto e scrivono, cercando insino le origine della nostra favella. (…) Se adunque gli stranieri stessi hanno csì in pregio la nostra lingua perché nel medesimo e maggiore non dovremmo averla noi? Quale storta politica è mai questa, di stimare più quel degli altri che il suo? (…) Io non so dunque né capir posso, come uomini (…) da una sciocca infingardaggine, o da un certo delicato fastidio guidati, sprezzino tanto l’italiano parlare. (…) Nelle scuole anche più illustri grammatiche di lingua italiana, né buoni libri italiani, non si leggono, (…) contentandosi che ognuno parli e scriva come il cieco popolaccio e parla e scrive.
Con l’occhio dell’anàtomo patologo, osservo un video che mette in scena tutta una scalmanata sarabanda di sbirri e queruli Piagnoni**dentro e fuori del teatro Valle in Roma, città aperta alle scalmane di tutti per tutto, senza orore di se stessa, avrebbe detto il benché romeo Ettore Petrolini. In un altro di questi video che vorremmo non vìdere una sgonellante con tanti capelli in più di una parrucca parla di cultura, in una sua brutta lingua zòccola. http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/06/11/teatro-valle-oggi-aperti-nuova-occupazione-ecco-la-devastazione-di-tronca-e-renzi/533496/. Ma quale mai cultura se po’ ave’ se è la lingua stessa ad essere compromessa da un uso livellato al basso del luogo comune, del cioè senza perché***, della borgata, sentire antropologico prima che ente geografico. Sono costretto a ricordare i tempi in cui sventolando una gonnella strapugnenta e uno zoccolo duro si aprivano, cazzocompagni, le casse degli assessorati alla cultura e giù, nella misura in cui, dàghela a dar spettacolo di suoni e canti della resistenza cilena nelle aule in dove che sse magna delli istituti d’ogni ordine e degrado. Con l’obliqua offa fornita da anime belle come quel tal Don Milani, si è affermò in tempi lontani una cultura del tutti per uno uno per tutti che tutto fa brodo di cultura, delle pubblicità prEgresso, del giornalaio elevato allo scranno di scrittore, di una lingua ridotta a strumento, cacciavite di ogni marketing e, a sua volta marketing oriented, facilona, aggettivo di infingardaggine parlamentare, non donna di province ma bordello che il Cul-si-Tura ma le gambe, ma le gambe a me piacciono di più. http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/06/11/polizia-sfonda-al-teatro-valle-rioccupato-ce-musica-classica-questi-li-arrestamo/533535/
Il linguista Apollonio Discolo,nel suo blog http://apolloniodiscolo.blogspot.it/, in sintesi del suo ultimo post, Émile Benveniste, come ciambella, riporta appunto questo passo del linguista Émile Benveniste (1902-1976):
En réalité la comparaison du langage avec un instrument […] doit nous remplir de méfiance, comme toute notion simpliste au sujet du langage. Parler d’instrument, c’est mettre en opposition l’homme et la nature. La pioche, la flèche, la roue ne sont pas dans la nature. Ce sont des fabrications. Le langage est dans la nature de l’homme, qui ne l’a pas fabriqué. Nous sommes toujours enclins à cette imagination naïve d’une période originelle où un homme complet se découvrirait un semblable, également complet, et entre eux, peu à peu, le langage s’élaborerait. C’est là de la pure fiction. Nous n’atteignons jamais l’homme séparé du langage et nous ne le voyons jamais l’inventant. Nous n’atteignons jamais l’homme réduit à lui même et s’ingéniant à concevoir l’existence de l’autre. C’est un homme parlant que nous trouvons dans le monde, un homme parlant à un autre homme, et le langage enseigne la définition même de l’homme–Émile Benveniste, La subjectivité dans le langage (1958), adesso in Problèmes de linguistique générale, Gallimard, Paris 1966, p. 259)****
Ebbene. Per timore della fine che prevedo non saprei come terminare, dunque non termino, mi appendo a una sospensione del giudizio. E fine.
Non c’è molto da commentare, tranne ringraziare Pasquale D’Ascola delle sue preziose indicazioni e incrementarne la portata. A proposito dell’inglese come lingua ufficiale delle discipline insegnate e praticate nel corso di laurea magistrale rendo noto che in Marocco – Paese notoriamente sotto il dominio francese fino a non molto tempo fa, talché i marocchini anche di ceto medio-basso parlano appunto il francese – nessuno si sogna di imporre la lingua dell’ex-dominatore come lingua ufficiale in nessuna scuola di ordine e grado. Ma tant’è. Analogamente al fatto che le guerre continuano ad infuriare sotto altre apparenze (al di là di quelle guerreggiate), così noi sottostiamo ad un dominio che nessuno chiama come tale, proni all’imperativo delle tre i di berlusconiana memoria. Sempre a proposito dell’inglese, nella Scuola Primaria esistono sezioni in cui il suo insegnamento assume particolare rilevanza. Fin qui tutto bene. Ma l’inglese non viene insegnato come tale, ma usato per l’insegnamento (per esempio in una classe IV nel caso che conosco personalmente) della geografia. Ora i programmi di geografia di IV elementare (pensati da non so chi per bambini di 9 anni) spaziano da nozioni di geologia a quelle della geografia comunemente intesa, fisica e politico-economica, con la necessità, da parte dei bambini, di concettualizzare nuove conoscenze attraverso un linguaggio tecnico, cosa che,come ogni pedagogista del linguaggio sa, presuppone una buona conoscenza del linguaggio discorsivo. Non è chi non veda l’impossibilità, per la scarsa “provvista” lessicale di chi sta imparando una nuova lingua, di stabilire relazioni tra un linguaggio tecnico e un linguaggio discorsivo. E non è chi non veda che di conseguenza non sia possibile un qualsivoglia reale apprendimento – in questo caso della geografia – se non come memorizzazione temporanea di definizioni di sapore sloganistico. Quanto poi all’okkupazione del Teatro Valle e delle delizie linguistiche ad essa connesse bisognerebbe aprire un discorso sulla cosiddetta cultura di massa…
LikeLike
Infatti le lingue ufficiali sono l’arabo e il tamazight. Ma il francese è la lingua d’uso in tutto il quotidiano e a scuola. Tanto che secondo me è meglio parlato laggiù che in larga parte della Francia moderna, incerta mi pare tra il ciabattare e l’incedere.
È lo slogan che piano piano sostiutisce il dire.
Cultura dismessa si potrebbe aggiungere caro Leo, dal prevalere dell’equivoco tra cultura e istruzione, tra cultura e tradizione che pure ne costituisce, che dici, lo scheletro, tra cultura e sapere che, certo sostituisce, a me pare, la benzina della cultura, precondizione quest’ultima, diresti tu, non risultato finale. La cultura è un atteggiamento? Una disposizione al conoscere, potremmmo affermare? E infine, torniamo a battere lo stesso tasto di qualcuno, a che cosa rimanda la cultura dell’infibulazione o dele magherie contadine? Dov’è la civiltà, ché lì casca l’asino, che le impedisce, rinnega, combatte, dimostra turpi o infondate?
La bisnonna di chi tu conosci, donna dotata come sai di più di un palla sulla sua corona, all’apprendere, siamo al principio del XX sec. che i figli del fattore sarebbero andati a scuola oltre le elementari sentenziò: “ne faranno degli spostati”. Non era reazionaria, ma in larga misura veggente la vecchia aristocratica. Non poteva prevedere di avere torto su una scuola che produsse Gramsci e altri tanti. Persino noi, a voler guardare. Ma vide giusto con cento anni di anticipo per quel che riguarda la congiuntura presente. Il termine spostati è un eufemismo. Il guazzabuglio pedagogico e didattico, quello che il Generali riferisce a “irresponsabilità intellettuale” e non solo, è tale per cui è improbo soffermarsi su tutti gli aspetti devastanti che la Verwerfung del sapere, che passa dal sapere a memoria la poesiola, dello scrivere a soggetto, della grammatica sistematica e non ipertestuale, del testo e non dell’ipertesto, del fabbricare e non del guardare, insieme con questa Verneigung del nostro essere stesso, passami il lacanismo, della Lalingua, produrrà e credo produca, da una parte schizofrenici potenziali, se non dichiarati, dall’altra senz’altro utili idioti, o soldati. Cui si addice l’ordine, il credere-obbedire-dibattere. Tutto funzionale alla fabbrica dei più utili alla sopravvivenza della specie e del sistema. Devastazione premeditata. Che ne dici? Grazie per questo elegante corollario. Dobbiamo resistere. Tuo aff.to P.
LikeLike
Sì, Pasquale, questo volumetto di Vallisneri-Generali è preziosa pietanza. E tu l’hai condita con aromi speciali. A volte si parla come si mangia.
LikeLike
Davvero, ti risponderebbe un fiorentino di fronte a una pappa col pomodoro. Un abbraccio P.
LikeLike
Apollonio ringrazia per l’amichevole e cortese menzione, caro Collega Blogger.
LikeLike
Igualmente ringrazio io per il succulento post di ieri.
LikeLike