Una donna vecchia e sonora attraversa la strada richiamando, come fossero pulcini nell’aia, i suoi nipotini ruzanti sulle strisce pedonali. La sottana lunga, le calze pesanti di cotone, eppur la giornata è caldetta anzi che no [1], le scarpe anacronistiche, la camicia bianca, il farsetto, il fazzoletto, blu a fiori bianchi, ben teso in capo dal nodo chiuso sulla nuca. Non un capello sfugge alla sua morsa. Non è siriana, né turca né basca, né siciliana né drusa a dispetto degli occhi chiari che hanno visto i Lanzichenecchi anche se non li hanno visti. Parla il dialetto della Valsàssina e cammina per Lecco -Italia- una domenica mattina. Orario di Messe.
Un uomo sta bene nella misura in cui sta lontano da se stesso. Alla domanda se si sentono europei o italiani, un paio di giovanotti mondani colti dal microfono di una cacciatrice di attualità, sul far de’ navigli malannessi rispondono, l’uno con zuffo e baffo, Bè italiano sì, cioè calabrese di più, e l’altro, un Barbarabba, Io molisano; che sta, non si creda altrimenti, per nativo del Molise.
Delle risposte non c’è da ridere. Al contrario. L’appartenenza a un territorio credo possa far risalire al mito della madre terra, all’utero fecondo cui voler ritornare per sempre, al godimento originale, alla pulsione di morte, direbbe forse il gran viennese. È il desiderio. E c’è da credere che un giardiniere dello Schleswig-Holstein piuttosto che un allevatore su su nelle Shetland, darebbero le stesse o simili risposte. Alla domanda su che cosa possa legare tali distanti personaggi a un’ancóra più distante astrazione chiamata Europa è evidente che la risposta è,oNulla. Eppure è qualcosa.
L’Europa è un fantasma[2]. Evropi. Ευρώπη da εὐρύς, eurýs, lungo e ὄψ, óps, vista, da cui [la donna] dalla vista lunga. Si può dire che si aggiri dal tempo della fine dell’impero romano d’occidente. Ma ha da fare con il desiderio ed è piuttosto antico quindi. Lo evocarono i romani facilitati dal fatto che, ai loro tempi, né presso di loro, né presso i popoli bene o male conquistati all’idea che cìvis romanus sum, di nazione non esisteva il concetto. I barbari fecero fuori il progetto su cui tornò il barbaro Carlo Magno, affogando la propria ambizione di potere, che esercitò dalla Normandia all’Italia alla Germania, in un marasma di massacri, battesimi forzati, deportazioni di massa. Da un secolo all’altro, a partire proprio dalle guerre sassoni (772-804 d.C.) l’Europa è lì da vedere ed è bensì teatro stabile di guerre europee, proto-mondiali, diversamente classificate per durata, dei trent’anni (1618-1648), dei sette (1756-1763) o per scopo e fuoco, di successione spagnola (1701-13 Pace di Utrecht); di successione polacca (1733-1738 Trattato di Vienna); di successione austriaca (1740-1748 pace di Aquisgrana). Conflitti che stabiliscono legami logoranti e feroci tra diversi. Balugina il mito di un’Europa, consacrata alla ragione questa volta dalla Rivoluzione francese. Isolata dal resto del mondo, sotto assedio, l’urto da fuori la Francia da sola non avrebbe retto. La rivoluzione, l’unica autentica checché ne dicano in CL, era necessario esportarla. Fu asportata. Napoleone si impegnò nel tentativo di far fuori i vari potentati tedeschi, l’Austria-Ungheria, la Spagna stessa, e le appendici italiche. Ma Napoleone era basso di statura e guardare le cose dal basso non acuisce la vista, fa vedere miraggi. Mosca fu un miraggio cui soccombette. Francesco Giuseppe, per quanto non fosse un’aquila, era alto abbastanza da contemplare le cose dall’alto delle collinette di Grinzing. Così che l’esperimento di Europa meglio riuscito si potrebbe dire fu quello della duplice monarchia. Esperimento silurato dal prototipo del terrorista, quel Princip [3] che a dir le sue virtù basta guardarne oggi la fotografia di inclinazione lombrosiana. Occhi invasati e miopi, tipici del portatore malsano di cultura, visuale offuscata che non arriva là dove riuscì Leopardi, a vedere oltre l’érmo colle. Il nazionalismo è la massima espressione mortale della cultura dell’auto-affermazione, del guardarsi a solo nello specchio della propria adolescenza senza potere concepire la necessità di una civiltà, cioè di un limite all’onnipotenza del paesello bambinello da cui si proviene e nello stesso tempo, per paradosso, di un allargarsi – eurýs, eurýno, allargo – ultra confinario. Di un allontanamento, di un prendere le misure prospettiche. Tale è la differenza tra cultura e civiltà già chiara a Freud, Ci basta dunque ripetere che la parola “civiltà” indica l’intera somma delle opere e delle istituzioni in cui la nostra vita si distacca da quella dei nostri antenati animali e che servono a due scopi: a proteggere l’uomo dalla natura e a regolare i rapporti degli uomini tra loro [4]. Un uomo comincia a star bene nella misura in cui si tiene alla larga da se stesso. Dagli una patria e un’identità e ne farai un vero spostato e un attaccabrighe. Il secolo accecato, il presente e vivo, non capisce quanto siano lontani i lumi di una ragione malintesa monocola ché le ragioni sono dèe molteplici, multiple e multiformi. L’ultimo tentativo di Europa, minuscola, è al seguito della catastrofe del ’14 con il suo secondo corollario e dopo tutto quello che in Europa le patrie nane seppero concepire di malvagio, fascismi originali e compatibili, tutti ben imbanditi alla mensa di popi e papi, ex ammiragli, reggenti, marescialli, invasati generici, francischifranchi e fantaccini disoccupati. Tutte ciribiciaccole pro-dròmo suo. Tutti piccoli con limite tendente alla microscopìa. Esenti la Svizzera e uno degli stati scandinavi. Questa è la nostra storia però e, non rinnegata, non verworfen, la storia servirebbe a una critica degli atti. Negata porta al presente che è comodo alla pubblicità e ai bikers, ultima tra le mutazioni che ha subito il politico, da filosofo a unno a gasolina. Una civiltà, stante che è un’immaginazione, o una sublimazione delle spinte primitive che le culture, frutto del singolo portatore umano, hanno in seno, che è un atto artistico, di creazione di là dai fatterelli, ecco, direi che una civiltà si disegna su una tela vuota. Non su un foglio di calcolo usato, né in un libro di vecchia partita doppia. Tutti i progetti europei e anche nazionali nacquero da menti politiche, sostanzialmente fantasiose. Mazzini, Cattaneo. Manzoni. Teste. Mi si dica dove sono oggi. Quelle che sopravvivono, o si manifestano in territori protetti e inascoltati della riflessione o appartengono all’ottocento del pensiero. E anagraficamente sono in un’età che le rende innocue agli occhi del piratàme che dell’Europa si è impadronito, cioè della sua larva, gli a lungo citati finanzieri, senza che sia chiaro quanto un finanziere sia nocivo tanto alla cultura quanto alla civiltà, e gli esangui funzionari e deputati di Bruxelles; in sostanza parassiti, in senso zoologico, profittatori, boiarducoli ubriachi di vomito. Alla costruzione di uno stato immaginario occorreva un disegno di civiltà. C’era, fu rinnegato, verworfen. C’era, era il comune a tutti i popoli, culture europee, dibattito e combattimento per liberarsi; analogo a quello che condusse i valligiani di Uri, Schwitz e Unterwalden alla Ewiger Bund der Drei Waldstätten – patto eterno dei tre cantoni – per l’affrancamento progressivo dalla prepotenza asburgica -1° agosto 1291. Sembra retorica ma qualcosa si dovrebbe riconoscere agli stupidi svizzeri che, in tutta evidenza non sono così stupidi per quanto l’orizzonte loro sia limitato dalle Alpi del benessere. Ma è comodo dare dello stupido a chi arriva prima di te a costruirsi uno stato sociale quando tu sei ancora, per dirla con Tabucchi, un’oca al passo. Sembra retorica ma se c’è qualcosa che ha accomunato gli europei di ogni landa è stata la lotta contro i tiranni. Lotta guidata da ultimo e in larga misura dagli isolani e isolati inglesi. Se lo ricordino i polacchi, i danesi, i norvegesi, i francesi, gli italiani, gli spagnoli, gli ebrei, i tedeschi, i cechi, accolti in Inghilterra dal ’40 in avanti e prima. E prima che in America. Fu l’Inghilterra gabellata per anti-europea a costituirsi dell’Europa primo bastione, dell’Europa primo seme. Almeno in pectore. La lotta per la Liberazione l’aggregante. Una lotta di un fac-simile di ricostituita civiltà contro la traslitterazione nazista del Kulturkampf ottocentesco. Un fatto non un’ideologia. Dopotutto il bolscevismo fu soltanto, parafrasando Majakovski, lo zarismo+l’elettricità, ovvero per citare Testori, sovra un lago di sanguo i pali della lettrizità communale [5]. Su questo fatto, se ricordato, andrebbe a mio avviso, riposta la pietra di una costruzione europea politica, di idee, di un contratto sociale, di una costituente che non c’è stata, di una costituzione negata da beghe di bassa pantaloneria, di patte e non di patti, a partire dal ripensare ex novo non solo il patto in sé ma nello specifico il patto economico cui dar credito. La religione del capitale, il darwinismo sociale prospettato e attuato, con vari travestimenti abili dall’illiberalità del liberismo, ecco il veri sintomi della restaurazione compiuta da tempo e non ancora terminata, della patologia di cui, parliamoci chiaro, l’Europa, la sua pallida imago, per ora si è dimostrata prima afflitta, e in cui oggi s’è dissolta. Grazie al coraggio degli Inglesi. Dei vecchi, sì, gli altri sono imbambolati a sognare finger food, Chablis e voli low cost. Non c’è niente da salvare, la moneta, forse, i confini non saprei, ma se bastano due attentati e l’apocalissi della Siria per farli ridiscutere, in assenza di una politica europea e quindi si salvi chi può, meno male che c’è la NATO, i confini si potrebbero anche restituire ai legittimi geografi. L’Europa si può rifare solo a partire dal pensare anche modestamente ai quei quattro nomi che cita il professor Dario Generali nei commenti a Biuso http://www.biuso.eu/2016/07/02/brexit/, che suggerisco di leggere con passione; da confini sicuri in virtù di una solida neutralità di intenti, quale la rinuncia unilaterale alle armi e alle loro fabbriche. Pronti a difendersi peraltro, è dovuto a se stessi, mai ad offendere con la propria arrogante cicca ‘miricana e gli occhiali da bombardieri. Si dovrebbe costruire ex novo, a partire dalle differenze che le lingue e dunque le culture creano e che sono benedette perché sono e creano ricchezza, non per un‘identità europea che non c’è o che per ora è solo pronuba scimmiottìa dell’atteggiamento banderillero americano – non ci fossero le stelle e le strisce l’America non esisterebbe ché è federazione di ranchos, da cui la necessità di un mito, di Bibbie, di Lobbie e One God in which the dollars trust – ma per un’intimità con l’antichità , con il mito, comune a tutti gli europei, che non esistono ma vengono da lontano. Non dall’osteria dell’ultima cena ma dai banchetti degli dèi. Solo il venire da lontano può far continuare ad andare lontano. L’adolescenza non porta a nulla, ed è quello che viviamo, un episodio selvaggio nella storia del soggetto che si incunea tra le due storie fondanti le persone, quando riescano ad essere tali: infanzia e maturità, ammesso che di maturità per i popoli si possa parlare. Ma forse dopotutto sì. Fossimo almeno a corto di economisti e se in Toscana non fabbricassero ministri.
Nel carcere di Terezin, allo psichiatra dr. Peppenheim (1881-1943), Princip disse, (…) Suggerisco di inchiodarmi a una croce e bruciarmi vivo. Il mio corpo fiammeggiante sarà una torcia per illuminare il mio popolo sulla strada per la libertà [6].
Remember Dacca, reader dear.
Come, sempre, caro Pasquale, condivido la maggior parte di ciò che scrivi, nella lettera e nello spirito. E tuttavia sempre più mi vado persuadendo che per capire occorrerebbe un punto di vista più alto e più lontano… e sicuramente più distaccato. Forse il punto di vista degli dei, non coinvolti dalle vicende contingenti, non resi frettolosi ed ansiosi – di sapere subito, di capire adesso, di decidere, di influire sugli eventi – dal pensiero incombente della durata ridicolamente breve della vita. Come credo di avere già detto, i tempi della storia sono molto più lunghi di quelli nostri personali. Guardo, diciamo, agli ultimi due millenni – giusto per stabilire un tempo non troppo lontano – e mi chiedo come vedevano le sorti presenti a future dell’umanità quanti hanno vissuto, poniamo, sessant’anni (già erano tanti, allora…) fra il 997 e il 1057, giusto per buttare lì due date a caso. E poi penso a quello che posso vedere e capire e prevedere io (non parliamo neppure di decidere !!) vivendo fra il 1943 e non si sa ancora quando… e che cosa vedranno coloro che guarderanno indietro fra mille anni. E il discorso non lo concludo neppure…
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Sì caro gatto,
quanto agli Dèi c’è da dire che tranne quando scendono fuor dalle mura di ogni Troia da quel dì ad oggi, per palleggiarsi le teste altrui per mero diletto, come i mortali del resto fanno per ferocia naturale, essi hanno un punto di vista non tanto lontano nello spazio, ma credo proprio, distante nella dimensione appunto del tempo. La differenza di potenziale ci fólgora. Credo. Che ne dici? Tuo affezionato P.
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optimus, Optime Maxime! Paolo, che inoltra a Marilena.
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Hmm dottor Prato, che lusinghiero latinorum. Inoltra inoltra e se puoi inoltrati. Abbracci pasquali. P.
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Sto sempre imparando,
ciao
Massimo
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Che cosa Massimo caro, stai imparando; a parte quello per cui sono pagato dalla comunità non ho altri insegnamenti da impartire. Dunque, ma va bene così senza parole (Vasco Rossi)
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“Se c’è qualcosa che ha accomunato gli europei di ogni landa è stata la lotta contro i tiranni”, scrivi.
La radice di tale libertà sta in coloro che appunto all’Europa diedero nome:
“Battute e beffe sono dirette contro i potenti -non importa se divinità, sovrani o alti gradi dell’esercito- con stupefacenti esibizioni di irriverenza e coraggio morale che contribuiscono a spiegare come mai i Greci abbiano inventato sia la democrazia sia il teatro comico.
[…]
Nei miti degli antichi Greci, sempre diffidenti del potere costituito, l’origine del progresso umano è fatta pertanto risalire a una beffa primordiale nei confronti dell’autorità”.
(Edith Hall, “Gli antichi Greci”, Einaudi 2016, pp. 23 e 74)
Tecnocrati e banchieri dell’Unione Europea si prendono invece troppo sul serio. Anche per questo non vedono ciò che è a tutti chiaro. Il dio acceca la loro hybris.
Grazie, Pasquale, per un testo così denso, ricco, complesso.
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Grazie a te Alberto, per il denso, ricco, complesso; ma sai poi uno si accorge che ci sarebbe così tanto da dire, esaminare, sapere; i nostri Greci non la finirono mai. E guarda come sono finiti. Leggerò questa Hall. Quanto ai tecnocrati ho l’impressione che siano, per dirla all’inglese, clockwork oranges.
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