Dumbo

Unknown

La signora Eva Green

Al paro di tanti altri prodotti americani moderni, sortiti dalle cravatte di giovinotti mondani del marketting, questo Dumbo è comme d’habitude una sintesi di astuzie atte a farne un prodotto di consumo ovvero l’indispensabile oggetto a obsolescenza pianificata pel desiderio delle folle, tuttavia, stante che per forza o per amore i giovinotti devono lasciare qualche po’ di briglia sul collo a tipi come Tim Burton – apprezzarne certe filastrocche o limericks scritte in passato non sarebbe male – dal suo stile solitamente eruttante, qualcuno ricorderà Sleepy Hollow etc., ecco risaltare qui immagini così dense da sembrare dipinte agli acrilici; pittorico è l’eccesso dei trucchi, Burton sa  che qualcosa si distingue grazie al suo opposto, così alterna pallori cerulei a maquillage da Toulouse-Lautrec; infine tutta una ridondanza di segnali visivi e non, la colonna musicale tende di regola la corda inversa a quella delle immagini, accorda e tiene sulla corda lo spettatore, chissà se ignaro o no, così da fare anche di Dumbo un’opera di un’arte tutta sua, quella di sfuggire all’occhiuta polizia della comunicazione, adattandosi o fingendosi adattata alla sua presenza o a’ raggiri sua. Burton non è un anarchico insurrezionalista ma riesce, suo malgrado o per ben temperata furberia, a confondere i suoi padroni; di coloro, in buonissima sostanza illustra non solo la ferocia genetica, propria al mondo umano in generale ma, in particolare, a quello americano, smascherandone con disinvoltura gli agìti più imperativi, la rissa, l’attacco per l’attacco, la mano pronta al bastone anche senza bastone, il comune luogo del volli-volli-fortissimamente-volli, del vincere e vinceremo, della risata troppo franca, dello sberleffo di potere dietro i modi facili quanto arroganti, celati dentro l’abito che raro fa il monaco, di regola il banchiere, e persino dentro i mutandoni della sensiblerie d’un tempo che fu, alla Disney. Così direi che per una precisa scelta estetica – mi pare normale per Burton che proprio in Sleepy Hollow deformava l’ottocento scientista nella sua perversione polimorfa – Dumbo è ambientato all’inizio dell’evo moderno cioè alla fine della guerra del ’14, che impresse per sempre all’umanità il suo autentico stigma, oggi marchio di fabbrica, che non è quello di Caino e basta ma, in termini di fabbrica, della meccanica, intesa a dominio e sterminio; il mio amico prof. Biuso, saprebbe citare a questo punto Heidegger con risultati molto più efficaci dei miei vagiti riflessivi. Aggiungo solo che la prima guerra moderna aprì la strada ai leviatani cingolati, alle masse e alla loro (auto)distruzione industriale. Alla devastazione fatta consumo e spettacolo della consumazione. Insomma vedere per credere; e, benché chiaro sia che chi scrive interpreta, tuttavia, rovesciata sossópra la medaglia, è possibile non solo che Burton sia del tutto inconsapevole d’aver messo in pentola gli ingredienti della ricetta; ma anche e all’opposto che questi ingredienti siano stati distillati ad arte dai suddetti cravattari del marketing; un po’ come mi dicono che fosse Com&Lib la fucina di note barzellette anticlericali. Farsi addosso la critica, non dico la polemica, per sopirla. È noto che in Italia la satira, massime la televisiva, salvo uno o due casi brutalmente levati di mezzo, non è più della Commedia dell’arte ma della Confindustria. E dunque, nel film l’anima artigianale e violenta del circo, sedotta in apparenza dal denaro e stordita dalla meccanizzazione dell’industria del divertimento, ovvero dello showbiz – spassosa la scena della visita al padiglione delle meraviglie del futuro rappresentate da frullini, frigoriferi e cucine automatiche, surrogato e concentrato di magnifiche sorti e progressive da esposizione universale – ebbene l’animella si ribella e riconquista la propria libertà e proprietà di mezzi; propriamente artigiani, rinuncia a conquistare, a controllare e recludere; Foucault guarda giù dagli occhi belli e rapinosi della signora Eva Green, protagonista femmina, douce France ma non tanto douce e sottomessa française; il cattivo, anzi i cattivi, gli americani, vengono sconfitti da un equipo atletico di piccoli e grandi alien, il direttore del circo non solo è l’italiano, Little  De Vito, ma risulta Medici nella finzione, lei la Green, anche lì più che l’orror o la mor’ potè l’amor e lei, completa di sontuosissime gambe e tutto il resto s’invalvola del bel mutilato e vedovo Collin Farrel, altra scelta che dico non casuale, e dei di lui picciotteddri. E Dumbo, diranno i miei piccoli lettori. Dumbo viene rispedito con la sua elefanta-madre per nave in India a cura di un simpatico addestratore di serpenti – bella la fugace scena in cui quest’ultimo, offeso dal, Questo lo saprei fare anch’io, di un monello chissà futuro imprenditore di carninscatole, gli scaraventa addosso il cesto con i cobra, e adess rangess pirla. L’elefantino, l’altro, ritrova la sua terra, una certa infanzia, vola libero di volare per volare accolto dai saluti della mandria, o tribù – non saprei come dire senza suscitar la stizza di qualche gruppuscolo in odor d’identità – di elefanti all’abbeveraggio e insomma, Shangri – là, facciam finta che ci sta. Inutile dire che la recitazione e tutto l’apparato illusionistico sono sorprendenti. Buona la visione. 

About dascola

P.E.G. D’Ascola ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: "Le rovine di Violetta", "Idillio d’amore tra pastori", riscrittura di "Beggar’s opera"di John Gay, "Auto sacramental" e "Il Circo delle fanciulle". Sue due raccolte di racconti, "Bambino Arturo e il suo vofabulario immaginario"" e "I 25 racconti della signorina Conti", i romanzi "Cecchelin e Cyrano" e "Assedio ed Esilio", tradotto questo anche in spagnolo da "Orizzonte atlantico". Nella rivista "Gli amanti dei libri" occupa da molti anni lo spazio quindicinale di racconti essenziali, "L’ElzeMìro".
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6 Responses to Dumbo

  1. Non mi ha convinto, ho.spiegato i motivi nella recensione, se ti va passa sul.blog ☺

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    • dascola says:

      Gentile lettore, grazie per la visita ma, le sembrerà strano, pochi sono più lontani di chi scrive dal volere quel che sia e voler convincere. Non ho dimestichezza con la verità, anzi ne sto alla larga da sempre, dunque non ho portato per portare dalla mia parte chicchessia. Avrà notato che non faccio recensioni, posso essere critico ma non sono un critico; da scrittore racconto, ed è il mio diletto nel caso del blog, racconto come vedo certe cose che mi colpiscono, si tratti di questa o quella realtà, dell’immaginazione per esempio nella quale ho speso gran parte della mia vita professionale e non solo. Tutto qui; quindi se non si è convinto, va benissimo, stia convinto che convincere non è il mio mestiere, bensì appunto, narrare. Piaccia o non piaccia mi interessa là dove può essere un’indicazione diciamo didattica, ma in genere poco, perchè so di preciso che cosa scrivere e soprattutto come, il gradimento altrui non è il mio orizzonte. Ma il fare bene una cosa a prescindere. Cordialmente Pasquale E.G. D’Ascola

      p.s. sono passato dal suo blog, ho letto, va bene, la sua è una recensione; una sola piccola nota, da professore qual ero; il simbolo di solito è il segnale di un’assenza, quindi non può essere di qualcosa. Come nei sogni sa, o come sulle porte delle latrine, gli omini appesi alla porticina, segnalano che là oltre la vescica o la fantasia possono svuotarsi.

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      • Il non mi ha convito non era rivolto al suo scritto che è interessante ma al film! Grazie per essere passato sul blog. Un saluto

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      • dascola says:

        L’equivoco succede, ma del resto lei avrebbe potuto benissimo riferirsi al mio post senza timore di urtarmi, come in effetti è stato. La mia lunga replica è dovuta al fatto che comunuqe dedico tempo a chi del tempo mi ha dedicato. Se vorrà leggermi ancora e commentare sarà il benvenuto. PAssa un buon fine settimana. DSC

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  2. Biuso says:

    Direi che in questo caso sono io, dopo la tua recensione, a non aver bisogno di vedere il film 🙂
    Grazie per il riferimento heideggeriano

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