Non si tùrbino i settentrionali pii, labbrata non è atto da confessionale benché della lingua sì si tratti che a tutti ci compete, il toscano e s’intende colpo dato sulle labbra col dorso della mano(1767) -cfr. Zingarelli-. Bin ban bon, ricordo bene la labbrata appunto, ma non troppo forte, per mano di mia madre, qui disait gifle, quando in un temporibus illis… ahaha indovinala grillo… ebbi la svedutezza di non dire, Oh oh buongiorno signora come sta, how do you do, dùddudùddudù, alla mamma di quel che diventerà il mio amico d’infanzia ed è ora di vecchiezza. Atti sbadatti. Mica finisco qui, mio padre esigeva che salutassi con un léggio stack di tacchi e un inchinetto picio picio, l’adulto qual ch’el fussi; e ierimo anarchici po’ bon e per un altro po’ poveri, ma mia madre, che aveva letto De Amicis per imparare l’italiano, recando un certo dolce in dono a degli amici più di noi malmessi ma che c’invitaro a cena, mi raccomandò, Tu di’ che non ti piace tanto, loro sono più poveri di noi. Fui imparato da i’ mi’ babbo a rannodarmi la cravatta e da mio nonno la papillon, si prescrivevano anche d’agosto i calzettoni con certi sandali cogli occhi dicevamo noi bambini – preso dalla lettera me li tenea anche sui ghiaioni marini in opposizione a tutte le predatorie snudezze femminine e d’ogni masculo le mutande mirilpisello signoramia; agli esami tutti in giacca e cravatta e mazzi di fiori alle madri di questo e di quello per ogni invito, festa o affini cui s’era invitati in questa o quella occasione; anche a un pomeriggio di compiti e merenda presso chicchessia seguiva telefonata di riconoscenza di ogni madre ad ogni madre. Tutto ciò detto per significare la lontananza di chi scrive dal monco mondo ch’eppur si vive e non si sa perché. Non ho rimpianti, vivo nel futuro benché di settant’anni fa ma: faccio un favore, forse due, notifico che pubblico questo o quello, non a estranei, gente che mi conosce e, gnanca un plissé un mi rallegro, vado a parlare gratis per qualcosa e mi interrompono presi da una loro epilessia, consegno un dono, un altro, scrivo una lettera, quelle che altri chiamano mail, per chiedere o dare informazioni o per illustrare qualche intrapresa altrui con parole belle -passo per un che a parole ci sa fare- gnanca una frase un rigo appena per accusare ricevuta, per replicare chissenefrega ma almeno con savoir faire o buon tuono ovvero uso di mondo… ma uso di che mondo che il mondo non c’è più mannaja la santa vinedda… enfin non fosse che per darmi atto che prendon atto che esisto, even if they do not give a damn, oh dear. Ci sono modi assai per infischiarsi senza fischiare troppo. Eccolo qui però un globo di muti, ciechi e sordi e divi; esigono di essere riconosciuti con parole altre che li elevino alla porpora (cfr.Treccani), tutti a reclamare diritto e identità… l’avete sì ch’avete l’identificità ma di méntule e vagine… e ti cancellano te nell’atto senza detto fatto. O ti insultano, ti gratificano col tu fascista, sapete se per caso te tu osservi che non si fuma in treno, o se tu scrivi un commento su un giornale… tapim tapum dieci corazzate sotto falso nome, ma si chiama nickname, ti scaricano addosso tutta l’artiglieria del loro livore perché, perchì, per cu autru fu… e allora puoi dirti nello specchio di chi non ha più brame: insultato dunque sono. La villania non svilisce solo me, ché questa è l’intenzione, è evidente. Potrei allungare a dismisura il brodo degli esempi qui e non è il caso. Intenda chi ha orecchie e voglia intendere. Non ho rimpianti, pochi, uno sì… di non avere me il privilegio di tirar labbrate.
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Ricordi bene, caro Pasquale. Se vuoi aggiungere qualcosa all’aneddotica, vale la pena di ricordare il trattamento che riservavo ad un collega di canto che ogni tre per due veniva in direzione a sottopormi problemi inesistenti. Lo collocavo di fronte a me e azionavo il condizionatore in modo che lo split indirizzasse la lama di aria fredda proprio sul collo del soggetto. Forse non era un’azione politicamente corretta, però a mali estremi estremi rimedi…..
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Ah sì certo, ricordo benissimo; Woody Allen ha scritto, Leggo per legittima difesa. Ma in quei casi mettersi a leggere non sarebbe servito a nulla né servirebbe. So per certo che nulla è cambiato laggiù dove noi sappiamo. E l’aria condizionata non può essere considerata bomba né chimica né batteriologica; anzi intelligente. Sempre sia lodato.
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Ormai è da anni che faccio un gioco. Quando mi capita di entrare o uscire da un negozio, o di dover praticare lo stretto passaggio che resta tra la solita auto parcheggiata sul marciapiede e l’edificio a fianco, mi diverto a dare il passo a chi è dall’altra parte per vedere di nascosto l’effetto che fa. Poiché nessuno mai ringrazia – a onor del vero qualche volte capita che qualcuno bofonchi qualcosa di indistinto guardandosi però bene dal dare segni di una mimica che ricordi un sorriso – allora mi esce dal cuore un sonoro grazie accompagnato da uno smagliante – per quanto permette la mia dentatura – sorriso. Ma il gurila che, ‘l se sa, el po no ves spiritus, non accenna alla minima reazione, non so se perché disgustato dalla mia dentatura o più probabilmente appunto perché il senso dell’umorismo richiede un’apposita formazione. Purtroppo non sono esperto di arti marziali e non ho nemmeno un fisico da Rambo, sennò altro che labbrata….
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Ero a fare due passi sotto la pioggia e mi sono fermato per ridere Leonardo; ricordo un tuo passato detto a un collega, mi par di ricordare che ne aveva fatta una delle sue, da professor di musica cioè; la tua ira trattenuta si esplicitò nel detto: mi rammarico che la rivoluzione francese mi abbia levato la possibilità di privilegi e servi, perchè altrimenti ti avrei fatto bastonare, da loro, non personalmente, per non fare fatica e non sporcarmi le mani. Con imperitura stima e affetto per il Bruce Lee che c’è in te. Psq.
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Se, invece di pretendere l’amore per il nemico, il Rabbi dei cristiani avesse prescritto un più modesto e utile “sii educato con chiunque” l’Occidente sarebbe stato più misurato e più sereno. Sarebbe stato più greco, insomma, invece che affondare nella dismisura che ordinando l’impossibile giustifica ogni possibile.
Tutto questo per dirti, caro Pasquale, che comprendo e condivido in pieno la tua apologia delle buone maniere, di solito nella Rete più sconosciute dei marziani.
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(…)la dismisura che ordinando l’impossibile giustifica ogni possibile…ma’nfatti ma’nfatti caro Alberto. Ti ringrazio assai assai di questa solitaria comprensione.
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