Vengo dal leggere un bel libro pubblicato dall’aristocratica casa Laterza, Questione di virgole-Punteggiare rapido e accorto, di Leonardo G. Luccone, dottore Leonardo G. Luccone immagino. L’autore par giovane e consustanziale al circo editoriale e perciò stesso a’ miei occhi un po’ sospetto; ha fondato uno studio e agenzia letteraria, Oblique, hmm, madre di un bizzarro concorso letterario detto OttoperOtto. Il sito di Oblique è nello stile di oggi, pieno cioè di richiami, strilli, occhielli, trendy, ma io dico confusionario perché appartengo a un gusto barocco sì ma muji, la marca giapponese del rigore formale, per fare un riferimento paradossale e commerciale. È noto infatti che detesto il grassetto, chi mi legge lo sa, detesto l’allineamento in voga oggi, l’automatico variabile; il mio testo, non mi caverete mai il participio passato di format, niet, il mio testo ha da essere composto, giustificato; il carattere, nada de font, limpido Times N.R. o Bodoni o Garamond; odio, alla facciaccia di chi ci vuol male per volemose bene, odio il bastoncino e uso il computatore solo perché la mia scrittura a mano ha il difetto di essere così illeggibile, a me persino, che un tempo usavo porre come scansione, segmentazione del testo dice lo Luccone, virgole certo ma pure un punto a mezz’aria, tra il greco e il pazzariello ogni tot parole, giusto per rintracciare il respiro dello scritto, o i blocchi sintattici; un’esempio non si può fare, la mia macchina offre solo il dot above. Bene, ho letto il libro del Luccone dimenticando di essere scrittore, benché ignoto ai più e privo pertanto di quell’autorità che deriva da notorietà, successo e buone frequentazioni. Dunque avrei potuto disdegnare il lavoro del Luccone dicendomi, Ma a chi te tu vòi insegnare te…ma aaacchi… virgole… sièè. E invece l’ho letto con curiosità il Luccone, crescente per di più, e penso che se dello stesso autore un altro volume affine vi sarà lo leggerò. Luccone non insegna a scrivere il così detto libro dei-tuoi-sogni, non mi parve, anche perché solo nei sogni e nell’oculato affarismo dei distributori di sogni e corsi di scrittura creativa è possibile, ma volge l’attenzione del lettore, magari adagiato nelle certezze e sicurezze di chi crede che scrivere sia solo questione di intuito e talento, a lasciarsi catturare dai dubbi sul proprio e l’altrui scrivere; ad accettare l’idea che la scrittura ha da essere una sintesi mediata e meditata tra contenuti nei pantaloni, e bretelle per reggerli; è metafora questa; ovvero sullo scrivere come gesto di civiltà, come habitus. Un libro, credo, alla lettura del quale dovrebbero obbligare chiunque abbia da scrivere tesi, trattati, avvisi sulle porte delle ASL, rapporti commerciali, pandette e regolamenti, lettere aziendali e aziendali romanzi o gemiti d’amore. Amore che dovrebbe essere soprattuto per la lingua, la nostra, la κοινὴ-koinè della mente chiara, strapazzata in continui sharing, posting, pasting pubblici, una gang-bang,… sia chiaro, l’inglese che va forte non è quel della povera Dickinson, dell’ossessiva Wolf, dell’ inguaiato Poe, ma un exploit (fr. ɛksplwà) di rutti che ritmano l’inconsistenza, l’assenza o l’incontinenza di un pensiero organizzato in italiano… Là dove c’è una penna dunque, ben venga un Luccone a ricordare che gli attrezzi dello scrivere sono il vestire l’abito che fa il monaco, in senso proprio. L’umanità è vero è sopravvissuta per mille e mille anni grazie ai peggiori, ai luridi, agli assassini agli accaparratori ma la civiltà, la sua idea, s’è conservata grazie ai meno adatti, ai pii anche sì, ai Copeau che sognava un teatro claustrale, ai monaci, sì o no mondani. Il volume non detta regole benedettine tuttavia, non prescrive; segnala che la punteggiatura è un problema, posso garantire che è tale, di meccanica ma celeste, dunque metafisica. Chiunque abbia voluto seguire un po’ la genesi delle revisioni di Proust ha visto come e quanto il più grande di tutti noi, disse di lui il mago Saramago, e per quanto egli s’adoperasse a trovare l’equilibrio e il peso, o prima o dopo o qui o lì, tra parola e segno di interpunzione; per dosare il passo del proprio discorso. Luccone, con il procedere e con le scelte letterarie del quale lo dico non m’ho trovato del tutto e sempre in accordo, cita in prima battuta il Cioran che, mi par di ricordare in Précis de décomposition, dice, Per una virgola si può morire. Questo è un segnale, il segnale che la scrittura ha da essere un gesto meditato, pulito come un bel suicidio; giacché ogni scrittura ha da essere un suici-d’io. Questione di virgole e con ragione per chi la dimentica, c’è da considerare i dubbi come (i vostri) suggeritori non trattateli come spie, sostiene Luccone.
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