Prescritto. Sono troppo vecchio, malandato e, tra pressione ballerina e dolori alle gambe, sarei d’impiccio alle truppe dei volontari. Ma non avessi vincoli e fossi più giovane , non ho dubbi, sarei partito volontario, o a menar le mani tra i fornelli da campo o in una ambulanza o persino a combattere, sapendo benissimo dell’opzione decesso. Pochi mi sembra intendano che l’Ucraina di oggi è il terreno dove di nuovo il mondo affronta il fantasma, chissà l’incubo, di ogni perdita: de la libertà dalla paura e dal bisogno, del diritto a vivere a prescindee da quel che ne pensa il proprietario del forno crematorio. Che è poi la sintesi della libertà fattuale non di quella idealistica e ideologica. Le carognate verbali, condivise di sicuro da torme di pensionati in tuta ginnica, pancia alcolica e gratta e vinci nei migliori bar di periferia, dette da quel Fenotipo del Papete a proposito di chi fugge dalle guerre, non fossero da campionario dell’infelicità di genere, sono da fiera delle castronerie. Però…
Quando nel 1974 alla scuola d’arte drammatica Piccolo teatro di Milano facemmo lo spettacolo di metà anno, Se questo è un uomo di Primo Levi, sapevamo poco di lui ma immaginavamo di renderci consapevoli, – fosse stato necessario, ai tempi si cresceva a pane e 25aprili – di un passato cui in tutto, gesto, atto, conferivamo un’aura da Iliade, di retorica epica. Il nostro maestro Checco Rissone era stato comandante partigiano nel Cuneense e per lui, cui ho nel tempo conferito lo statuto di genitore ulteriore, senza dubbio la sensibilità, a distanza di 30 anni dalla fine della guerra, era del tutto diversa dalla nostra, che di quei fatti avevamo una memoria sì ma retorica appunto. Si leggeva…
Peraltro mettere in parola, dire cose ragionate, razionalizzare, essere straniati dalla puzza, garantisce probabilmente l’esorcismo dalla paura. Da parte dei filibustieri di destra e sinistra uniti in un caldo abbraccio col monaco nero del Cremlino, si tratta di delirio sadico, Salò Sade e Cremlino. Hai visto le foto dei paramilitari fascisti di Serbia avvolti nella bandiere russe, incubi rigurgitati da un passato Gavrilo Princic e Trst je naš e l’ostia che li brusi e le stronzate circa l’occupazione della Nato, intesa come entità sovrannaturale, in Occidente. Alla NATO si aderisce volontariamente, tutti hanno aderito volontariamente, fu errore o si o no non dico di no, in un libero patto di mutua difesa non certo in punta di missile supersonico: ma appunto il discorso leghista e dell’internazionale fascista, anche pare dei repubblicani in Merica è, Povero dittatorello cosa vuoi che faccia sperduto tra i suoi missili. Mettere in parola vuol dire con molta probabilità dare voce alla paura. Evito di dire angoscia che saprebbe subito di Xanax e Woody Allen. Con estrema stanchezza pertanto ma scrivo lo stesso; benché sia pochissima la voglia di occuparmi d’altro. Non mi contraddico ripetendo che in generale e particolare mi mancano le parole. Mi manca però anche la loro assenza. Il silenzio, l’occuparsi dei propri fiori e piante ( potrei scrivere di un romanzo inutile di Houellebecq, Anéantir, ma è inutile) mi pare non meno complice tra i complici, le varie Marte Collot (leggerla per credere, povera pasionaria idiota) la Cina ( our position is objective and fair) e l’internazionale fascista stretti a coorte ( sintesi orripilante di quel che mi pare di vedere: dittature contro democrazie liberali, 0-0. Per ora). So benissimo che solo il fatto di apparirsi in questo modesto blog è un sintomo, per essere cortesi di una scioccheria da cui quasi nessuno è esente ¿fishing for compliments? Ma con l’attenuante sostanziale, per lo scrivente, che qui non si chiamano alla sbarra e non ci si nasconde dietro le false testimonianze di Heidegger o Nietzsche o AristotÍle, il re di quanti chiacchierano a Vànvera, località di villeggiatura nella geografia dei pinocchi.
Quasi per senso del dovere, dunque nonostante la poca voglia di apparire, la sostanziale inutilità di queste righe in questo blog, e sforzando il mutismo di risulta, ti scrivo che condividiamo la stessa paura per non dirla terrore.
Warning upsetting scenes. Bene. Mi pare che occorre al contrario abituarsi a fare gli anatomisti per procura e imparare a guardare i morti, a sapere delle donne violentate, sminuzzate dopo, indi rogo ( la donna come strega e buco da mandare in fumo per nascondere le tracce del desiderio); come si impara da piccoli a guardare i nonni e più tardi i padri, così inespressivi nella bara, mi pare utile e indispensabile non distogliere lo sguardo dal sangue, dalla macelleria, così enfatica nel sopravvalicare l’occhio. Guardare in faccia i morti. Se sono sciupati tanto meglio, così si constata che l’eroismo o il capochino passano per il tritacarne. Ricordo la testimonianza di un soldato inglese in un documentario BBC ( fidarsi, ricordo ma non situo più niente, il cosa prevale sul dove e quando) di alcuni anni orsono, La guerra è soprattutto puzza. La mia generazione, quelli cui non sono state cucite le palpebre, è cresciuta con negli occhi dell’immaginario le foto, ( la foto, l’immagine è sempre immaginario) forse soprattutto quelle in movimento del film di Hitchcock su Dachau e affini. Dei cumuli di cadaveri. Le immagini salvano il naso dalla puzza di morto e di vivo. Puzza. La tutina a righe che mi fu mostrata da piccolo in casa di un sopravvissuto di Mauthausen, mi impressionò: uscita da un cassetto del comò, lavata e stirata non so perché-percome puzzava ancora. Sarà perché ai tempi non c’erano detersivi in capsule a doppia e tripla camera, ammorbidenti, diserbanti, napisanti, solo Ava come lava (?) come può (!)
Ogni mattina mi sveglio con il sentimento della fine di tutto, fine delle casette, dei gerani, dei comodini, di frigoriferi, colapasta e scatole di tè, del diritto alle mie scarpe lucidate, alle ciabattine di plastica con fiori e senza, di tutto il corteo delle piccole cose di pessimo gusto, che arredano la scena delle vite più o meno miserabili che tutti conduciamo e che ci rendono simpatetici – salvo essere canaglie e ce n’è di quelle che si sbrodolano nel vocabolario ogni giorno – quanti tanti stanno perdendo tutta questa miseria, magari gli orsacchiotti e i gatti. Provo una pietà terribile e devastante, perché impotente, per tutto questo, proprio perché è l’anticamera di una eventuale nostra sorte. ‘Scolta Saba, In una capra dal viso semita/ sentiva querelarsi ogni altro male,/ogni altra vita.. Il buddismo la chiama compassione, alla lettera patire con. Me, mi interessa poco per me. Ho dieci, o quanti anni meno ancora da vivere, non so, abbreviarne la corsa mi fastidierebbe e capirei il razzo che mi colpisse, più del cancro. Raziono l’acqua, penso che potrebbe finire – tra l’altro non piove da 90 giorni, siamo a un passo dal collasso delle centrali idroelettriche – per lavarmi penso a chi non può farlo, così bagno il sapone, chiudo l’acqua e mi insapono, mi sciacquo di corsa. Di tutto penso che finirebbe in un nuvola. Su per un camino, virtuale non saprei dire fino a che punto.
Non credo che si può (indicativo presente) pretendere la resa di un popolo al nostro interesse, legittimo, di tranquillità e crepate o arrendetevi; non c’è posto qui sulla barca, affondate.
No, con questo criterio nulla sarebbe mai stato fatto per fermare o tentare di fermare il male il maligno – ha detto Massimo Recalcati ricorrendo a una dizione colorita, retorica ma efficace sul piano dell’immaginario collettivo – che vuole da sempre dominare il mondo e che certi figuri incarnano e sempre hanno incarnato meglio di altri. Il meglio del peggio è il pessimo. Tu dici arrendersi perché se ti bastonano in trenta cosa vuoi farci. Sì non è inesatto, se sono trenta. Mio padre mi insegnò però che se fossi stato attaccato da una bandera negra, usava durante la sciagura sessantottina, primo attaccarsi al primo che capitasse a tiro e morderlo in mancanza di altre soluzioni. Arrendersi al sopruso, all’abuso è certificarne la patente, è dire della donna violentata che però aveva la minigonna e cos’è tutta questa libertà di rossetto e tacco 12, è dire che i bambini in fuga dagli orchi stanno solo facendo un brutto sogno della propaganda capitalista. Ecco cosa blatera l’internazionale degli Jaghi.
Senza questo diritto del perdente possibile, non ci sarebbe stata la rivolta di Varsavia, né la resistenza afgana, i nostri padri non avrebbero dovuto resistere ai fascisti per timore di mali peggiori. Senza via Rasella non ci sarebbero state le Ardeatine, forse, ma queste non fermarono la Resistenza. Non bastonare Franco invece, non aiutare la repubblica spagnola con armi e aerei, fu abbandonare la Spagna a 40 anni di una disgustosa dittatura, prima disgustosa poi dittatura, e negare a un popolo le faticose conquiste del benessere dei poveri. Guarda, senza questo diritto nemmeno Maria Goretti. La libertà è una cosa modesta, a mio avviso, libertà di scegliersi le condizioni della propria modestia. Il diritto a essere stupidi e a battersi se è il caso a dispetto della stupidità, non si negozia. L’alternativa è lo stato etico; dai Robespierre agli Khmer rossi, quale sia la forma che assume, le differenze sono di metodo e di tecnologia. L’alternativa è accettare, anzi divulgare, la storiella che qualcuno ha diritto sopra tutto e ogni cosa a far fuori questo diritto e a imporre il proprio modo di comportarsi e dire. Arrestare, benedire, violare. Il consenso generato dal terrore e quello in grazia della modesta libertà di scegliere, di dire no infine, sono due cose diverse. Il terrore è la teoria di tutti i conquistadores, da Gengis Khan, a Napoleone, su fino a Hitler e ai suoi lugubri imitatori che si chiamino Komeini o Erdogan, Assad o Al Sisi. Il terrore che genera orrore. La Russia cos’è oggi se non uno stato fondato sulle convinzioni di un orribile prete demente e di un orrendo ex funzionario dei servizi sovietici che decidono chi può dire e che cosa. Chi può vivere e chi no. Così che vada al MacDonald’s.
Primo Levi meglio di me riassunse così e tanti saluti a ssoreta:
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi . Se questo è un uomo
Qui alcuni link dove potere donare per sostenere lo sforzo bellico alla facciaccia di tutti:
https://secure.avaaz.org/campaign/en/prosecute_putin_loc_rb/?caWaxlb
https://www.medicisenzafrontiere.it/landing/emergenza-ucraina/?donor_type=1
https://www.unhcr.org/it/cosa-facciamo/emergenze/ucraina/
https://www.savethechildren.it/
Rappelle-toi Barbara
Il pleuvait sans cesse sur Brest ce jour-là
Et tu marchais souriante
Épanouie ravie ruisselante
Sous la pluie
Rappelle-toi Barbara
Il pleuvait sans cesse sur Brest
Et je t’ai croisée rue de Siam
Tu souriais
Et moi je souriais de même
Rappelle-toi Barbara
Toi que je ne connaissais pas
Toi qui ne me connaissais pas
Rappelle-toi
Rappelle-toi quand même ce jour-là
N’oublie pas
Un homme sous un porche s’abritait
Et il a crié ton nom
Barbara
Et tu as couru vers lui sous la pluie
Ruisselante ravie épanouie
Et tu t’es jetée dans ses bras
Rappelle-toi cela Barbara
Et ne m’en veux pas si je te tutoie
Je dis tu à tous ceux que j’aime
Même si je ne les ai vus qu’une seule fois
Je dis tu à tous ceux qui s’aiment
Même si je ne les connais pas
Rappelle-toi Barbara
N’oublie pas
Cette pluie sage et heureuse
Sur ton visage heureux
Sur cette ville heureuse
Cette pluie sur la mer
Sur l’arsenal
Sur le bateau d’Ouessant
Oh Barbara
Quelle connerie la guerre
Qu’es-tu devenue maintenant
Sous cette pluie de fer
De feu d’acier de sang
Et celui qui te serrait dans ses bras
Amoureusement
Est-il mort disparu ou bien encore vivant
Oh Barbara
Il pleut sans cesse sur Brest
Comme il pleuvait avant
Mais ce n’est plus pareil et tout est abimé
C’est une pluie de deuil terrible et désolée
Ce n’est même plus l’orage
De fer d’acier de sang
Tout simplement des nuages
Qui crèvent comme des chiens
Des chiens qui disparaissent
Au fil de l’eau sur Brest
Et vont pourrir au loin
Au loin très loin de Brest
Dont il ne reste rien.
Jacque Prévert
Non capisco la guerra. Penso che sia la ineludibile risultante di forze che entrano in urto al di là, o al di qua, o al di sopra delle volontà individuali. É ovvio che chi ci si trova coinvolto debba prendere partito, specie se il caso lo ha collocato nella parte che la subisce, come avviene in Ucraina. Ma non sono vicino, né emotivamente, né razionalmente, a chi vuole alimentarla. Se fossi giovane forse correrei in soccorso di chi soffre, ma dico forse perché non so se me la sentirei di affrontare un ignoto foriero di possibile morte con il rischio di abbandonare le persone che amo, soprattutto i piccoli. Certo, chi resta può vantare di avere avuto un padre, o una madre, o un compagno, o una compagna che hanno sacrificato la propria vita per un nobile scopo, non solo, ma può irrobustire, con l’esempio di chi si è sacrificato, la propria consapevolezza etica e, forse, politica. Ma non so fino a che punto sia un vantaggio. La nonna paterna della mia consorte coltivò per tutta la vita il ricordo di un amore perduto gloriosamente nella Grande Guerra, col risultato che il proprio figlio venne messo in divisa a 12 anni (le foto che lo ritraggono sono grottesche) e che lo stesso finì volontario a spezzare le reni all’Albania per poi diventare partigiano. Comunque sospendo il giudizio. O forse sono semplicemente troppo vecchio
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Veda maestro, non si tratta di vecchiaia. È che non siete schizofrenico. È il fantasma del nemico che porta senza mediazioni possibili alla guerra, alle rivoluzioni. Senza nemico niente guerra: occorre fabbricare il nemico. Ovvero portarlo alla luce. E maieutica perversa. È il discorso del fascista, vedi Trump per non citare sempre gli stessi. Liquidarne l’assetto a una questione di squilibrio non credo porti a nulla. Appiccica una clinica posticcia. È materia di lugubre antropologia invece. Ogni ismo, egoismo compreso mi pare, si fabbrica sulla percezione di quel fantasma. Poi è una catena di montaggio che sfrutta la capcità devastatrice della specie: l’antropo che produce fantasmi e voci. Predicatori assassini, masanielli, imbonitori instillano le voci che sentono in chi le vuol sentire, mostra ombre a chi le vuol vedere. Non risulta che i gatti abbiano mai occupato l’Ucraina anche se quei poveretti scappano da lì persino con decine di portini dei loro gatti infastiditi e terrorizzati. I gatti non sentono voci. Ma le urla, i ruggiti, le sirene sì. I gatti non capiscono la guerra perchè non fabbricano nemici. e non li appendono ai lampioni. So ist es im Leben. Ich denke.
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Urge che i popoli si faccian astuti e inizino a schierarsi, neutrali, tutti. Così che l’uniche guerre a dar noia siano quelle in campo economico (e in campo di stadio). Make money it’s better than make flags (& guns).
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Sì, ma in mezzo ci sono situazioni che esigono la lotta. Per la sopravvivenza. Che è altro dalla lotta per la sopraffazione.
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