Il grande scafista

Ieri 6 marzo, Michele Serra nella sua newsletter settimanale Okboomer ne Il Post , ha scritto cose che suggerisco molto di leggere;  belle e meritevoli di lettura a prescindere da chi è Michele Serra. È per gli abbonati al quotidiano ma la si trova tuttavia cliccando nella barra del menu sulla voce newsletters. Il pezzo prima o poi la si troverà alla voce numeri precedenti appena sotto il logo Ok boomer. La newsletter è piuttosto lunga e non posso riportarla qui;  anche per ragioni di copyright. Ma oggi stesso ho replicato al pezzo di ieri per il gusto di farlo, per grande bellezza, così che riporto qui sans façon ma integralmente la mia lettera.

Screenshot 2023-03-07 alle 10.30.38Caro Michele Serra,
le dico, il pezzo di ieri 6 marzo, non saprei dire di preciso come mi ha toccato, mi ha commosso forse, e per due motivi. Uno: lei ha scritto della siccità nei termini più appropriati, e mi hanno di nuovo stretto appunto il cuore, ovvero che si tratta con molta probabilità della fine del mondo; la sua cisterna è un simbolico bunker, la città è, come bene lei dice, un’invenzione che diniega la realtà del campo su cui è costruita, radendolo al suolo quel campo, e che fantastica per sé stessa il ruolo che è proprio solo del campo, di fabbrica della sopravvivenza.

Due: lei pubblica e replica a una lettera abbastanza ben scritta di un giovanotto, circa il senso dell’esistenza in riassunti termini. Lei nel modo più impeccabile possibile e con un accento che mi è parso accorato, da anziano, mi permetta; io lo sono più di lei e mi fa piacere immaginare che lei non voglia essere chiamato di me più giovane ma di poco meno anziano. È d’accordo? Lei ha argomentato, dicevo con cautela e nel modo più razionale, corretto, amichevole, paterno credo, per non pizzicare le corde che a me sono sembrate religiose del giovine; non ha scritto quindi quello che mi permetto invece di riassumere: che l’esistenza umana, qualsiasi esistenza che respiri, dalle api, ( poarelle), ai gatti a noi stessi, nessuna specie ha un senso qualunque. Esistiamo per caso, per caso avveniamo, obbedendo a un meccanismo ben rodato di nascite e morti. Nessun gatto, che io sappia si è mai domandato che senso abbia la propria esistenza, gli umani se lo domandano da tempo rinunciando a rispondersi nel modo che a loro forse pare brutale, a giudicare come eludono la domanda con risposte che la contraddicono: che il senso è sopravvivere e moltiplicarsi.

Da qui nasce da sempre in modo inconsapevole l’invenzione di alternative: il fare arte ( artificio cioè) è una , forse la principale e artificio ( la città o la Brianza) è tutto il fare umano, spesso però legato a quel primo motivo, sopravvivere e moltiplicarsi; che è in sostanza il vitello d’oro. Agli animi religiosi non è mai bastato ( vai sul Sinai e vedrai che roghi) e cercare un senso di là e dall’altra parte, in metafisica, è stato mi pare lo sforzo fatto nei millenni; sforzo per cercare un Grande Scafista che traghetti oltre il dolore e la pena e la fatica e gli scacchi matti dell’esistenza. La morte che a noi compresi pare incomprensibile, paurosa o quanto meno seccante. Essendo in larga misura insopportabile a tutto questo si è cercata la mai-risposta risposta che sappiamo. Sciocchezze a mio modo di vedere, comprensibili ma non giustificabili, difficili da sovvertire come qui e adesso. Il senso, lei pero ha fatto bene intendere, lo si trova nel fare (bene) qualcosa, non importa cosa, sia la gru di Faussone*, sia boh( sarebbe meglio qualcosa di non pericoloso come invadere l’Ucraìna, tra l’altro invasa male).

Si passa il tempo in sostanza, come sto facendo io adesso, contento di arrogarmi il diritto di dialogare con lei che con tutta probabilità non ne può più ma non importa; a me l’illusione di avere annodato un legame che mi fa tirare avanti per qualche minuto in più. Da scrittore si figuri quante ore impiego nel ricaricare tutti i giorni la molla agli orologi del senso. Ma non credo che sia diverso per il consulente finanziario che, in più, costruisce però il suo vitello d’oro e se ne compiace e rallegra. Tanto ormai e per fortuna per lui nessuno scende da nessuna montagna a spaccargli in testa nessuna tavola della legge e poi la domenica via che va a messa e si contrita un po’.

Eppure i gatti e molti altri mammiferi manifestano con loro grande vantaggio rispetto agli umani, e a volte  in misura straordinaria, una affettività spiccata, gratuita, offerta per generosità e spesso superiore a quella di molti umani, per alcuni non pochi dei quali invece, è stata coniata la parola anaffettivo: la perdita, la rinuncia a qualsiasi senso, direi. In questo senso darsi un senso qualunque è indispensabile. Non so se mi sono capito, caro Serra che leggo con grande simpatia.

*Leggi La chiave a stella – Primo Levi – Einaudi 1978

About dascola

P.E.G. D’Ascola ha insegnato per 35 anni recitazione al Conservatorio di Milano. Ha scritto e adattato moltissimi lavori per la scena e per la radio e opere con musica allestite al Conservatorio di Milano: "Le rovine di Violetta", "Idillio d’amore tra pastori", riscrittura di "Beggar’s opera"di John Gay, "Auto sacramental" e "Il Circo delle fanciulle". Sue due raccolte di racconti, "Bambino Arturo e il suo vofabulario immaginario"" e "I 25 racconti della signorina Conti", i romanzi "Cecchelin e Cyrano" e "Assedio ed Esilio", tradotto questo anche in spagnolo da "Orizzonte atlantico". Nella rivista "Gli amanti dei libri" occupa da molti anni lo spazio quindicinale di racconti essenziali, "L’ElzeMìro".
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